Contro il Lumen dei due papi anche il Diavolo si arrende

L'aveva già capito quell’inglese panciuto, Chesterton, a proposito di due omonimi degli ultimi pontefici: «Francesco ha sparso ciò che Benedetto aveva accumulato»

Mio caro Malacoda, non sono bastate le dimissioni di Benedetto XVI a fermare il progetto di un’enciclica sulla fede. Il suo successore, Francesco, l’ha presa e l’ha firmata. Certo, ci ha messo del suo, e gli esegeti d’oggi passeranno al setaccio della loro arguzia gli aggettivi e i pensieri (questo è pericoloso dei cristiani: pensano) di questa lettera separando quelli che ritengono dell’uno da quelli che ipotizzano siano dell’altro. Ma ciò che è grave per noi, Francesco ha fatto suo ciò che era di Benedetto. Come già disse quell’inglese panciuto, Chesterton, a proposito di due omonimi degli ultimi pontefici: «Francesco ha sparso ciò che Benedetto aveva accumulato».

Di che ti preoccupi, mi dirai tu, un papa fa il suo mestiere, parla della fede.

Innanzitutto non è così scontato, i cristiani oggi preferiscono parlare dell’amore, separano la luce della mente dagli affetti del cuore, la felicità dalla verità, l’amore dal sesso, il sesso dai figli, i figli dai genitori… separano. Questa lettera riscopre la superiorità antropologica dell’unità. Rimette insieme la luce e la forza, la fede e la verità, l’ascolto e la visione, il credere e il conoscere, il comprendere e lo stare saldi. Sbugiarda Nietzsche quando dice che «se vuoi raggiungere la pace dell’anima e la felicità, abbi pur fede, ma se vuoi essere un discepolo della verità, allora indaga». Mostra tutti i limiti di Wittgenstein che spiega il rapporto tra fede e certezza con «l’esperienza dell’innamoramento, concepita come qualcosa di soggettivo, improponibile come verità valida per tutti», chiedendo non tanto retoricamente: «Davvero questa è una descrizione adeguata dell’amore? (…) un sentimento che va e viene»? La risposta è talmente diretta e semplice che rischia di far presa su molti: «Solo in quanto è fondato sulla verità l’amore può perdurare nel tempo, superare l’istante effimero e rimanere saldo per sostenere un cammino comune. Se l’amore non ha rapporto con la verità, è soggetto al mutare dei sentimenti e non supera la prova del tempo».

Ti segnalo, infine, un altro passaggio pericoloso, perché rovescia una vulgata cui abbiamo assuefatto le menti degli uomini d’oggi: l’idolatria della legge. Il rispetto assoluto della norma è oggi considerata l’unica possibilità di una vita morale e di una convivenza sociale. Se rifletti potrai ben capire come anche il perdono sia una trasgressione della legge. Al massimo gli si riconosce una dignità etica praticabile però solo nel privato (a meno che serva strumentalmente per cause politiche o mediatiche, quando, a favore di telecamera, si chiede alla madre cui hanno ucciso la figlia se ha perdonato gli assassini). In queste pagine i due papi ne mostrano la superiore intelligenza: «La fede afferma anche la possibilità del perdono, (…) possibile se si scopre che il bene è sempre più originario e più forte del male, che la parola con cui Dio afferma la nostra vita è più profonda di tutte le nostre negazioni». Ti sembrano solo belle parole? Vuol dire che non conosci quella signora che poteva denunciare il marito fedifrago e ladro (centinaia di migliaia di euro, non briciole) ma ha rinunciato. A domanda della figlia: «Perché non l’hai fatto?», ha risposto: «Non voglio che tu abbia un padre in galera». Ti sembra non più buona ma più o meno intelligente, più o meno razionale di tanti indignati da piazza televisiva? Ecco. Noi abbiamo a che fare con gente così. E, purtroppo, non prevarremo!

Tuo affezionatissimo zio Berlicche

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