L’inconfessabile nesso tra neoliberismo e terrorismo

Ad accomunarli è un’insospettabile filosofia dell’azione centrata sulla figura della volontà di potenza illimitata per atomi senza comunità

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – A uno sguardo non superficiale e non modellato secondo la cornice cognitiva del pensiero unico, il nesso tra terrorismo e neoliberismo appare inconfessabilmente robusto. Ad accomunarli è un’insospettabile filosofia dell’azione centrata sulla figura della volontà di potenza illimitata per atomi senza comunità, soggetti di aggressività sovrana nello spazio sociale concorrenziale della guerra di tutti contro tutti. Sia pure secondo modalità e con esiti differenti, il liberista e il terrorista concepiscono lo spazio sociale nei termini hobbesiani di un bellum omnium contra omnes retto dal terrore ininterrotto e dall’insicurezza generalizzata, con annessa considerazione dell’altro come un rivale più che come un socius.

La figura del terrorista che si fa esplodere in solitudine o in gruppi ristretti, senza progettualità che non sia la morte altrui, si pone come direttamente compatibile con la scomparsa, tipica del quadro post-1989, di quelle che Peter Sloterdijk ha definito come le tradizionali «banche dell’ira». Nella forma di grandi collettori sociali come il Partito comunista o la Chiesa cattolica, esse immagazzinavano le energie psichiche dei soggetti e operavano un loro differimento dall’immediato dispendio, in vista di uno sfruttamento futuro che dava luogo a forme sociali di speranza e di riscatto.

Individualizzata e programmaticamente privata di ogni risvolto sociale, l’ira resta oggi sciolta da ogni progetto redentivo sociale e da ogni organizzazione politica: avvizzisce negli antri della coscienza degli individui privatizzati o si estrinseca nelle forme della tanatopolitica del terrorismo, figura estrema di un’ira intimamente nichilistica, individualizzata, distruttiva e affine al nichilismo dilagante nell’orizzonte del system market mondializzato.

Occorre, inoltre, rammemorare che anche l’esprit du terrorisme (secondo la formula di Baudrillard) si pone come figura dell’illimitatezza, coerente con le dinamiche del capitale in misura decisamente maggiore rispetto alla prospettiva di quella religione islamica della trascendenza che trova nel limite e nella legge il proprio costante riferimento: «il terrore eccede ogni limite», ha scritto Donatella Di Cesare nel suo bel Terrore e modernità. Trasgressione illimitata, superamento di ogni confine, violenza senza misura: sono questi i principali tratti che accomunano il fondamentalismo del libero mercato e il fanatismo del terrorismo.

Nichilismo e capitalismo
Il terrorismo, inoltre, risulta affine alle logiche del capitalismo assoluto giacché deterritorializza e globalizza il genocidio (in coerenza con i processi di mondializzazione desovranizzante) e rinsalda il regime di temporalità dell’eterno presente, ridisegnando il futuro come spazio aperto a infinite catastrofi a venire.

In questa luce, il terrore aspira a opporsi al mondo unificato dalla mondializzazione e poi ne riproduce fatalmente i moduli basici: fa saltare i confini, abbatte il limite, annulla le differenze, spingendosi a dissolvere, nell’atto estremo dell’esplosione, la distinzione tra il corpo della vittima e quello del carnefice. Sullo sfondo della nuova «ontologia dell’incertezza radicale» (Westphal), la tanatopolitica del terrore instaura il quadro ideale di paura generalizzata che, secondo le coordinate teoriche di un Hobbes riletto nel quadro della dissoluzione degli Stati nazionali e della convergente reistituzione di uno status naturae planetario, permette alle nuove figure del potere di legittimarsi.

In particolare, esse si garantiscono quella securitas che ha come presupposto la riduzione della libertà, il controllo panottico e un nuovo pactum unionis globale fondato su un altrettanto nuovo pactum subiectionis sconfinato. La fobocrazia, ossia la forza del terrore gestito ad arte dal nuovo potere denazionalizzante, svolge un ruolo di prim’ordine nel nuovo assetto dei rapporti di forza post-nazionali, giovando alla tenuta e al potenziamento del sistema globocratico più che alla sua eventuale messa a repentaglio (come i suoi architetti falsamente aspirano a far credere).

Dissolti gli Stati nazionali ad opera dei processi desovranizzanti del free market system, risorge con l’ordine del terrore la guerra civile planetaria. Era, del resto, lo Stato nazionale a garantire quella separazione tra religione e politica e quel primato della seconda sulla prima che oggi, nella costellazione post-nazionale, viene fortemente messa in discussione, in re, dal nuovo ordine mondiale denazionalizzato.

Ad accomunare i due mondi storici che, secondo la narrazione egemonica, dovrebbero porsi come antitetici è la grande seduzione del nulla di cui entrambi sono espressioni. Il nichilismo è l’orizzonte comune tanto al terrorismo, quanto al capitalismo assoluto. Lungi dallo scaturire da un sovraccarico di valori o da una loro presunta radicalizzazione, il terrorismo coincide per sua essenza con la perdita nichilistica dei valori e, dunque, con la situazione, profetizzata da Nietzsche, per cui «i valori supremi si svalutano».

@DiegoFusaro

Foto Ansa

Exit mobile version