Corpo a corpo con il carcerato afferrato dall’amicizia di don Roberto Malgesini

Incontrare il sacerdote assassinato a Como nelle pagine di Zef Karaci, detenuto albanese che ritrovò Cristo in cella: «Fino all’ultimo respiro, lui ha educato con la sua presenza»

A Como viene trasmessa l’orazione funebre per don Roberto Malgesini, assassinato il 15 settembre 2020 da uno dei senzatetto di cui si prendeva cura (foto Ansa)

È abbastanza lunga la lista di quelli a cui Zef Karaci, detenuto del carcere di Como giunto a fine pena, dichiara di dovere la vita: comprende pure Dante Alighieri (dunque gli è capitato quello che è successo anche al giornalista americano Rod Dreher, autore di Come Dante può salvarvi la vita), ma soprattutto include don Roberto Malgesini, il sacerdote della diocesi lariana amico e compagno di vita della gente di strada, che il 15 settembre di due anni fa fu ucciso a coltellate proprio da una delle persone che aiutava.

Don Roberto dava una mano anche al cappellano della Casa circondariale di via Al Bassone, e lì ha incontrato e si è aperto nella reciprocità con quel detenuto albanese, arrestato nel dicembre 2005 e condannato a una lunga pena detentiva, che ci teneva tanto a condividere con lui la riscoperta della fede in Cristo che gli era accaduta in prigione e la sete di vita che l’incontro col Nazareno, attraverso il volto e le persone di alcuni volontari che entravano nella prigione, aveva acutizzato in lui.

Un testimone «fino all’ultimo respiro»

Karaci, che oggi ha 38 anni e ne aveva 22 anni quando è entrato in carcere, ha scritto Don Roberto Malgesini – “Vai e prendi loro per mano” (Cantagalli 2022, pp.127, euro 14), ma non si tratta di una biografia del sacerdote martire della carità, e nemmeno del racconto del suo apostolato dentro al carcere comasco. È un corpo a corpo col lettore, che Zef coinvolge in tutti i modi nei propri tormenti ma soprattutto nelle proprie certezze di speranza sbocciate fra le anguste pareti della prigione, identico a quello che ingaggiava appena possibile con don Roberto.

Che viene descritto come uomo timido di poche parole, che teneva basso lo sguardo nel mentre che guardava dentro all’anima dell’interlocutore facendolo sentire amato, di sterminata capacità di ascolto e di pacificante presenza. Uno al quale si attaglia perfettamente una citazione da Pasolini: «Se mai qualcuno ti avrà educato, non potrebbe averlo fatto che col suo essere, non col suo parlare». «Lui non parlava quasi mai, ti guardava, ti osservava, ti ascoltava per ore, senza perdere nemmeno una virgola di quello che gli stavi dicendo, della tua ferita e del dolore che provavi. Entrava in quel dolore e lo viveva con te, senza darti istruzioni particolari su come vivere. (…) Tutta la sua umile vita era una testimonianza, così ha fatto fino all’ultimo secondo, fino all’ultimo respiro, lui ha educato con la sua presenza».

Le righe di Giussani

Poche o tante che fossero, Karaci ricorda anche le parole di don Roberto, le riporta estesamente quando racconta i dialoghi che con lui innescava appena possibile. E che sono la dimostrazione dell’unità che Cristo realizza fra esseri umani che dovrebbero essere fra loro lontanissimi, della verità di quello che scrive san Paolo nella lettera ai Galati: «Non c’è più giudeo né greco; non c’è più schiavo né libero; non c’è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù». Non c’è nulla nelle parole e nell’atteggiamento di don Malgesini che faccia pensare alla condiscendenza, al paternalismo: l’umanità dei due è perfettamente allineata, identico è il loro affidarsi a Cristo nel riconoscimento del suo amore e della propria piccolezza. Reciproca è la gratitudine per la testimonianza di fede e l’apertura di sé all’altro, reciproca la discepolanza.

Un bel giorno Zef sente il bisogno di condividere con don Roberto la meditazione di don Giussani sul “sì” di Pietro a Gesù che tre volte gli chiede se lui lo ami, contenuta nel libro Generare tracce nella storia del mondo. «Leggo insieme a don Roby queste righe di Giussani, e all’improvviso, alzando lo sguardo dalle pagine che stavo leggendo, mi accorgo degli occhi di don Roby carichi di commozione, pieni di lacrime. Mi disse: “Non ho mai sentito in vita mia uno che parla così del perdono, della possibilità di essere perdonato e riperdonato di continuo. L’ho letto tantissime volte quel brano dove c’è il “Sì” di Pietro, ma non avevo capito fino in fondo, non avevo compreso un Dio, che servo con tutto me stesso e con tutte le mie forze, che non si stanca mai di amarmi e perdonarmi. Ma adesso, visto che Giussani ha sconvolto me, e credo abbia stupito anche te, vista l’insistenza per leggerlo, vorrei che tu mi facessi degli esempi con la tua vita, vorrei capire come questo “Sì” simile a Pietro ha cambiato la tua vita. Te lo chiedo non per curiosità nei tuoi confronti, ma per me, vorrei che il tuo percorso, il tuo cammino potesse aiutare me».

L’incontro con Homo faber

Il fatto è che in prigione Zef ha fatto «l’incontro della vita». Su suggerimento del compagno di cella, ha chiesto di partecipare al corso di informatica organizzato all’interno della prigione da Homo Faber, un’iniziativa di alcuni volontari di Comunione e Liberazione che fanno caritativa nelle carceri. Lì conosce Patrizia Colombo, l’animatrice dell’opera, e per la prima volta dopo tanto tempo coglie «uno sguardo che mi attraversava tutto, il mio cuore e persino il mio male. Per la prima volta, coglievo su di me uno sguardo senza alcun pregiudizio, con un grande bene dentro, uno sguardo che mi diceva. “Ecco, sono qui per te, non temere”». Poi un altro amico lo invita al momento di Scuola di Comunità che si tiene una volta al mese, e lui accetta: «Furono straordinari per me quegli incontri, in quei giorni, feci l’esperienza di Nicodemo descritta nel Vangelo: “Come può un uomo nascere quando è vecchio?”».

Ma l’avvenimento decisivo coincide col giorno del funerale della mamma di Patrizia. Tutti si aspettano che l’incontro di Scuola di Comunità, previsto nella stessa data, sia malauguratamente rinviato. Invece lo tiene un altro volontario, che spiega che proprio Patrizia ha voluto che l’appuntamento non saltasse a causa del suo lutto: “Ale, vai dai miei ragazzi, al Centro stampa, non lasciarli soli, vai tu anche per me”. «Ecco, in quell’istante ho compreso tutto, ho sentito sobbalzare il mio cuore», scrive Zef.

Nulla ferma «un cuore che desidera»

«Non per paragonarmi a san Paolo sulla via di Damasco, rimasto folgorato, ma ho vissuto un’autentica e profonda conversione, con tutti i miei limiti e difetti, che pure sono rimasti nel tempo. Non vuol dire che oggi sono migliore e non sbaglio più. Sbaglio ancora, ma ora, ogni volta che sbaglio, provo un grande dolore, capisco che la mia vita ha valore ed è fatta per molto di più. Importante è fare memoria di quel momento d’illuminazione, per vivere con entusiasmo, come quella volta».

Don Roberto Malgesini – “Vai e prendi loro per mano” è libro specialmente indicato per chi sta male, per chi vede scivolargli via la speranza. Zef Karaci lo aiuta a ri-incontrare se stesso e a domandare, con la certezza che Cristo risponderà attraverso i volti di amici che aiuteranno. Si tratta semplicemente di riscoprire il desiderio grande e vero che sempre alberga in ogni cuore, al resto penserà Lui. Perché «Non c’è realtà o circostanza, pur brutta che sia, che possa fermare un cuore che desidera».

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