Le vite parallele dei due Mattei

Entrambi rottamatori, entrambi molto “social”, entrambi marciano politicamente verso destra. E hanno in comune lo stesso problema freudiano

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Malgrado la sua esperienza perfino il vecchio Plutarco, duemila anni fa mitico autore di quel capolavoro eterno che sono Le vite parallele, oggi proverebbe certamente stupore davanti alla serie praticamente infinita di coincidenze nelle loro esistenze. Perché davvero sono due incredibili “bioi paralleloi”. Tutti e due sono diventati segretari di partito da quarantenni e nello stesso esatto momento, il dicembre 2013; ed entrambi sono stati appena confermati al vertice di quei due partiti vincendo i rispettivi congressi con un ampio margine di vantaggio sui concorrenti. A partire dal gennaio 2014, inoltre, tutti e due hanno scelto la strada di un energico rinnovamento delle rispettive organizzazioni: nemmeno si fossero consultati preventivamente, hanno “rottamato” di pari passo le vecchie guardie e hanno mandato in pensione o emarginato i politici più navigati e insieme più ingombranti.

Concordemente, i due segretari hanno anche rinnovato l’armamentario ideologico di entrambi i partiti, e lanciando parole d’ordine di netta rottura con il passato li hanno sospinti ambedue verso destra. Infine, forse perché figli di una medesima generazione, molto “social”, hanno fatto anche la stessa scelta mediatica e personalistica: hanno puntato su cento comparsate in televisione, su raffiche di messaggini via Twitter, su migliaia di clic su Facebook, e su annunci ogni giorno più roboanti. Al contenuto, insomma, hanno preferito la propaganda battente e la più intensa personalizzazione del partito, sperando che l’attivismo frenetico dell’uomo solo al comando potesse bastare ad annichilire ogni avversario, interno ed esterno.

Oggi, diciamo così, i due hanno entrambi anche lo stesso problema freudiano: sono nella difficile condizione dell’adolescente che deve “uccidere il padre”, ovviamente in senso figurato. Ma finalmente con una differenza. Perché Matteo Renzi, appena confermato segretario del Partito democratico con il 60 per cento dei consensi, deve vedersela con i guai giudiziari del padre anagrafico, Tiziano, da mesi indagato a Roma per traffico d’influenze nell’inchiesta sugli appalti miliardari della Consip, la centrale degli acquisti della pubblica amministrazione, e ora anche per una telefonata intercettata mentre parla con il babbo. Mentre Matteo Salvini, appena uscito vincitore da un congresso che all’83 per cento lo ha ripiantato sullo scranno di segretario federale della Lega Nord, è alle prese con il padre-padrone del Carroccio, Umberto Bossi, che con la minaccia di uscire dal movimento che ha fondato gli crea non pochi imbarazzi.

La passione per i telequiz
Buffo no? Tra i due Mattei la serie di coincidenze e punti di contatto sembra quasi un gioco letterario, cinematografico. E può andare avanti ancora a lungo. Hanno avuto una comune passione giovanile per i telequiz: tutti ricordano che Renzi nel 1994 ha vinto 48 milioni di lire alla Ruota della fortuna, giocando accanto a Mike Bongiorno; ma pochi sanno che nel 1985 Salvini ha partecipato a Doppio slalom su Canale 5 e poi, nel 1993, anche a Il pranzo è servito.

In realtà, i due Mattei sono tra di loro lontani mille miglia: lo sono, è ovvio, per la diversa estrazione ideologica e culturale, e per le posizioni politiche. Anche se, com’è evidente, nel carattere non sono poi così distanti. Spigolosi, duri, un filo prepotenti, entrambi amano poco chi cerca di fare loro ombra. Ecco, per certe caratteristiche potrebbero essere tutti e due del segno del Leone (però Renzi è nato l’11 gennaio, quindi è Capricorno; mentre Salvini è del 9 marzo, perciò è dei Pesci), se non nutrissero entrambi una sottile inclinazione alla sfiducia nel prossimo e una tendenza alla coltellata obliqua, che un segno zodiacale solare rifugge.

Sono insomma un po’ due fratelli diversi, Renzi e Salvini, eppure assai simili. E non soltanto per le strambe coincidenze tra le loro vite parallele, ma anche per la strada che li ha condotti alla politica. Perché entrambi, per tutta l’esistenza adulta, non hanno fatto altro che quello, e cioè politica. E tutti e due hanno cominciato a farla da ragazzi, negli enti locali delle loro città, Renzi a Firenze e Salvini a Milano.

Ora, confermati padroni dei rispettivi partiti, i due sono però entrambi davanti a un bivio complesso, che allinea problemi diversi su piani sovrapposti. E i due Mattei devono decidere velocemente che cosa fare. Renzi non ha soltanto il problema delle indagini giudiziarie aperte sul barbuto genitore. Non le teme, e l’ha fatto capire in un lungo video pubblicato su Facebook, dopo il caso giornalistico scatenato dalle rivelazioni del Fatto quotidiano sulla telefonata tra lui e suo padre Tiziano, intercettata dalla procura di Roma appena lo scorso 2 marzo.

Concorrenza a sinistra
Però il Matteo del Pd ha anche il problema dei fuoriusciti. Massimo D’Alema e Pier Luigi Bersani, sempre più pungolati a sinistra dalla nuova formazione politica di Giuliano Pisapia, Campo progressista, rischiano di essere concorrenti meno fragili di quel che può sembrare a prima vista. Soprattutto se, come pare, Renzi punterà a un sistema elettorale proporzionalista che possa garantirgli possibili, future alleanze di governo con il centrodestra moderato di Forza Italia. Allora il gioco sarà evidente, e il suo Pd dovrà subire gli attacchi concentrici da parte del M5S e della sinistra postcomunista.

Il Matteo della Lega, invece, ha altri problemi. Il più impellente è la grana crescente dei conti in rosso. Per penuria di euro, l’antieuro Salvini prima ha dovuto chiudere La Padania, poi ha svuotato quasi per intero la sede, il palazzone milanese di via Bellerio. Ma non basta. Perché è vero che dopo la schiacciante vittoria contro il semisconosciuto Gianni Fava, l’unico altro candidato alla segreteria federale, il partito ora sembra anche più suo di quanto lo fosse alla fine del 2013. Questa è la facciata, però. Perché se alla fine di altri mille litigi il vecchio Bossi veramente lo mollerà, per creare un nuovo Carroccio federalista e indipendentista, e se il Senatùr riuscirà magari a trascinarsi dietro un governatore in carica e uno del recente passato leghista (sembra improbabile, oggi, eppure c’è chi già fa esplicitamente i nomi di Roberto Maroni e di Roberto Cota, da poco rilegittimato e rilanciato politicamente dall’assoluzione piena nel processo torinese sui rimborsi regionali), per Salvini potrebbe essere un bel guaio.

A quel punto, esattamente come Renzi, anche il Matteo leghista potrebbe perdere fette di voto verso quella che sarebbe la sua ala moderata, meno lepenista e più indipendentista, soprattutto nelle regioni settentrionali. Tutto sta nel vedere se l’elettorato leghista sia pronto a una chiamata alle armi da parte del suo antico condottiero: l’impressione è che, soprattutto tra gli attivisti più anziani, a Bossi siano già stati perdonati molti degli errori causati dall’eccesso di familismo e dal “cerchio magico”. Se tutto questo dovesse realizzarsi, Salvini rischierebbe grosso anche nella competizione, ormai sempre più aperta e diretta con Silvio Berlusconi, per chi alle prossime elezioni otterrà la palma del più forte nel centrodestra. Buffo, no? Anche in questo insieme di problemi che si presenta loro, i due Mattei hanno qualcosa in comune. Scissioni. Nuova concorrenza “a sinistra”. Vecchie glorie pronte a mettere i bastoni fra le ruote… Proprio due vite parallele.

@mautortorella

Foto Ansa

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