Le rivolte rafforzano Trump. E non redimono l’America dal razzismo

"Se George Floyd è morto come morì Eric Garner, quando la Casa Bianca era guidata da Obama, vuol dire che il problema non è il presidente. Lui dal 'tutti contro tutti' ha solo da guadagnare". Intervista ad Alessandro Orsini

Ricordate Eric Garner? Era un nero, alto, corpulento, dai filmati di youtube si capisce fosse buono e mansueto. Fu fermato dalla polizia di New York perché vendeva sigarette ‘loose’, singole, lungo la strada, soffriva d’asma e inutilmente aveva pregato i poliziotti di non ammanettarlo ripetendo che non aveva fatto niente. “Con una manovra brutale l’agente Daniel Pantaleo iniziò invece a soffocarlo, il braccio al collo e la testa del premuta sul marciapiede. Per undici volte Garner disse queste parole, ‘I can’t breathe’, non riesco a respirare. Le stesse pronunciate il 25 maggio scorso dall’afroamericano George Floyd a Minneapolis. Il referto medico non lasciò dubbi, Garner era stato ucciso dalla pressione esercitata sul collo dall’agente Pantaleo. Era il 17 luglio 2014 e la Casa Bianca era guidata da un presidente nero e democratico. Se dopo otto anni di amministrazione Obama George Floyd muore come Eric Garner vuol dire che il problema non è Trump”.

LA RIVOLTA? “AVVANTAGGIA TRUMP”

Non solo, per Alessandro Orsini, direttore dell’Osservatorio sulla Sicurezza Internazionale della LUISS, coloro che in questo momento pensano che morti e feriti seguiti all’omicidio di Floyd e alle rappresaglie segneranno l’epilogo politico di Trump, e soffiano sul fuoco delle manifestazioni, rivolte e violenze nella speranza di accelerarne la caduta, stanno facendo un grosso errore: “La rivolta, questo tipo di rivolta, espressa in questa forma di insurrezione tutti contro tutti, senza alcuna regia, capi, obiettivi – spiega Orsini a Tempi.it – non può che avvantaggiarlo”.

Per un motivo semplice: intanto non si vota domani. E se le violenze degenerassero porterebbero voti a Trump. Lo sa anche Biden che, come ha già scritto Orsini sul Messaggero, velatamente prende le distanze, lo sa il Nyt, che scrive che l’insurrezione si sta affievolendo. E lo sa Trump stesso “che esaspera lo scontro. Intendiamoci Trump non fa nulla per contenere il suo suprematismo. Ma la condizione dei neri non cambia a seconda del partito guida alla Casa Bianca, non è cambiata con Obama e non cambierà con un Biden”.

NESSUN PRESIDENTE LAVA IL PECCATO ORIGINALE

Nonostante la complessa specificità delle circostanze che portano all’esasperazione in piazza – oggi una pandemia, trenta milioni di nuovi disoccupati – e delle dinamiche dei casi Gardner o Floyd (ma innumerevoli se potrebbero citare), il razzismo resta il peccato originale che nessuna legge e nessun presidente americano riesce a redimere. “Non è un problema di partito ma di società fin dai tempi della schiavitù. Oggi però dovremmo riflettere sulla forma di queste proteste”. Malgradi le tv, gli hashtag, i giornali, i social, la grande ondata emotiva che ha associato l’immagine di Floyd alle devastazioni, comprendendole e giustificandole, ha lasciato in fretta il posto alle immagini concretissime delle auto in fiamme, delle vetrine distrutte, dei supermercati assaltati, della gente a terra: “Nella psicologia collettiva superate le prime 24 ore si inizia a perdere il nesso tra la causa prima, in questo caso la barbara uccisione di afroamericano da parte di un poliziotto bianco, e il senso delle devastazioni”.

IL CAOS DEL “TUTTI CONTRO TUTTI”

L’uccisione di Floyd resta un fatto a sé, la rivolta, a cui non partecipano più solo i neri ma movimenti e adepti delle cause più diverse, diventa un altro fatto, da giudicare in base ai danni che colpiscono, senza alcuna distinzione politica, esercenti e proprietari, conservatori o liberal, di locali, auto, mezzi. È il caos del tutti contro tutti. Il disprezzo del suprematista non vale il rischio oggettivo di prendersi una pietra in testa in mezzo alla strada”, conclude Orsini, confermando che anche questa volta non si tematizzerà fino in fondo il problema della diffusione delle armi da fuoco che troppe volte trasforma un fermo in un omicidio e in un delirio di onnipotenza dei tutori della legge, o di giustizia e riforma delle carceri, “anche questa volta, cioè, non cambierà nulla. Non esiste – e le rivolte lo hanno dimostrato – qualcuno capace di esercitare la leadership dei ghetti e delle classi svantaggiate, non c’è organizzazione perché per avere struttura e organizzazione e cambiare il sistema occorrono risorse, è necessario l’avvento di una élite culturale. Spaccare tutto, o soffiare molto intellettualmente sulle fiamme delle rivolte perché i neri spacchino tutto non servirà a combattere il razzismo, non servirà ai neri per uscire dalla disperazione”.

Foto Ansa

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