Le quattro cose che sento ribollire nell’Italia rimasta senza casa politica

Se da una parte c'è una sinistra "stile Vasto" più un listone-legalità savianeo-carlodebenedettiano, dall'altra manca un racconto condiviso che dia orizzonte, fiducia e speranza.

Anticipiamo l’articolo di Oscar Giannino che uscirà sul numero 24/2012 di Tempi, in edicola da giovedì.

Più giro per assemblee territoriali di artigiani, commercianti, Api e Confindustria, più mi sembra che la domanda che vi ho posto due settimane fa abbia una risposta prorompente, nel tessuto produttivo italiano e soprattutto del Nord. Ci siamo lasciati dicendo «parliamone», e «facciamolo prima che sia troppo tardi, perché i tempi rischiano di collassare». Dove «parliamone» significa rispondere a una domanda precisa, se cioè per chi la pensi in maniera personalista, sussidiaria e di mercato contro chi oppone collettivo, centralismo e Stato, non debba metter mano alla ragionevole costruzione di una nuova offerta politica, rispetto a quella complessiva che oggi è ancora in campo, e anche rispetto a quella che ormai in controluce si intravvede in aggiunta.
Ho pensato all’inizio – persino speranzoso – che dall’esperienza del governo avrebbe potuto sortire una specie di prosecuzione politica naturale, di fronte alla crisi verticale di credibilità del vecchio centrodestra agli occhi dei moderati. I fatti si sono incaricati di smentire tale ipotesi. La dichiarazione di Mario Monti sui presunti poteri forti che l’avrebbero abbandonato non è figlia di un colpo di sole. Naturalmente, non è neanche vera. Del resto lo stesso Monti, intervenendo in replica sulla fiducia iniziale alla Camera, respingendo da sé l’accusa di appartenervi o di esser loro espressione, disse che a suo giudizio i poteri forti purtroppo in Italia non esistono, e magari ce ne fossero.

L’irresistibile sinistra “tipo Vasto”
No, la dichiarazione di Monti al di là della stizza per le critiche industriali e del duo Giavazzi-Alesina intende esprimere una consapevolezza precisa. Il governo tecnico non si è più ripreso dalla botta alla sua credibilità pubblica venuta con la deludente riforma del mercato del lavoro. Non sarà certo la designazione dell’arcigna e pettinatissima Anna Maria Tarantola alla presidenza Rai, a riguadagnare popolarità al governo. Ne sa qualcosa Corrado Passera, puntualmente messo nell’angolo dai no della Ragioneria di Stato, come avveniva ai suoi predecessori forzaitalioti ai tempi di Giulio Tremonti. La consapevolezza è che l’occasione sta sfumando, e appare lunare e cinico il rigore, declinato solo in maniera tassaiola e senza tagli allo Stato. Il Partito democratico muore sul serio dalla voglia di votare a ottobre, Stefano Fassina parlava a nome del partito e Pier Luigi Bersani è stato costretto alla smentita solo dal Quirinale. E se si dovesse votare nel quadro attuale, una sinistra “tipo Vasto” più un bel listone-legalità savianeo-carlodebenedettiano comporrebbe un’alleanza difficilmente resistibile. Sicuramente molto superiore nei consensi a quelli degli spezzoni che risulteranno dalla spaccatura del Pdl. Che cosa si sente ribollire, invece, nel cuore e nella testa, nelle delusioni e nelle richieste dei piccoli imprenditori italiani, ben distanti dall’ingessata ritualità della tradizionale vita associativa? Direi quattro cose essenziali, insieme a tante altre.

Manca una visione
La prima è che a nessuno o quasi dei vecchi attori (le eccezioni sono poche e personali, negli esistenti partiti) viene più riconosciuta una comprensione vera della piccola impresa italiana che lavora sul mercato domestico, piatto da anni e anni e ora in picchiata, né delle difficoltà dei bassi redditi dipendenti e pensionati.
La seconda, su spesa pubblica e tasse da record; una rottura profonda si è consumata, perché aziende alle prese con turnaround a doppia cifra pensano che sia una presa per il naso il fatto che lo Stato fatichi indegnamente, chiamando in campo Enrico Bondi, per tagliare in tutto un miserando 0,57 per cento del totale della sua spesa corrente in questo 2012.
La terza: esiste e persiste una questione settentrionale, delusa dal nulla portato a casa di anni di federalismo fiscale a chiacchiere dopo l’uno-due Imu e tesorerie accentrate sferrato sotto la restaurazione centralista montiana.
Quattro: manca un sogno, una visione, un racconto condiviso che dia orizzonte, fiducia, speranza. L’algida e stizzosa distanza di Monti si è rivelata inadeguata. Col suo loden e l’eloquio misurato, poteva e voleva ridare agli italiani il sembiante di una borghesia seria e compresa nei suoi doveri. È finito per apparire freddo e cinico, il prototipo intellettuale di chi, di fronte alla fatica e alla sofferenza italiana stremata dallo Stato che ruba e pretende di dar lezione, si volta sdegnoso dall’altra parte. È da questi quattro pilastri, che bisogna presto erigere qualcosa di nuovo.

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