La scuola di Pioltello e la società multireligiosa

Solo riconoscendo l’altro e rispettando la sua identità, noi sapremo custodire e affermare la nostra storia, i nostri principi, il nostro impianto valoriale.

L’uscita degli alunni della scuola primaria dell’Istituto Comprensivo Iqbal Masih di Pioltello, 18 marzo 2024 (Ansa)

Ha fatto molto scalpore la decisione della scuola di Pioltello di chiudere il giorno in cui cade la festa di conclusione del Ramadan, Questo è un tema che merita un giudizio. Mi rendo conto che la mia posizione potrebbe andare in controtendenza rispetto al pensiero comune, però non voglio porre come punto di partenza un’idea, un principio o una posizione intellettuale, bensì un dato incontrovertibile di realtà. E noi sappiamo che ogni volta che prescindiamo dalla realtà, per abbracciare l’immagine che ci siamo fatti di essa, cadiamo in errori non solo di valutazione ma anche di prospettiva.

Dunque, il primo fatto da considerare è che in quella scuola quasi metà degli alunni sono di fede musulmana e sarebbero comunque rimasti a casa, in una realtà come quella di Pioltello dove vivono persone di 130 Paesi diversi. Oramai viviamo in una società multireligiosa. Non si tratta di un pericolo o di una preoccupazione, ma di un dato della realtà già assodato ed impossibile da confutare. Basterebbe guardare i cognomi dei nostri bambini negli asili lombardi, o i registri di nascita. Siamo nell’inverno demografico e i nuovi nati portano nomi prevalentemente stranieri. Ciò di cui dobbiamo renderci conto è che non si tratta di un fattore temporaneo, bensì di una deriva che tenderà ad aumentare.

Gli effetti migratori e la globalizzazione hanno già modificato radicalmente l’impianto che ha caratterizzato il ‘900. Il processo è irreversibile. Dobbiamo quindi porci la domanda: cosa vuole dire vivere in una società multietnica? A mio giudizio significa innanzitutto riconoscere e difendere il valore della libertà religiosa, che è sempre stata un indicatore del rispetto di tutte le libertà. Non a caso, l’insegnamento sociale cristiano pone, da tempo immemore, questo tema dirimente come punto di riflessione. Sia nella forma della libertas ecclesiae, di fronte alle potenziali pretese dello Stato laico e secolarizzato, sia nella libertà di ciascuno di professare la propria religione.

Benché questo tema possa apparire controverso, non possiamo nascondere che la legittima richiesta dei cristiani di veder tutelato il diritto di manifestare pubblicamente e apertamente il proprio credo in ogni luogo del mondo, debba valere anche per tutti coloro che noi ospitiamo sul nostro territorio.

La nostra identità

Come mi ha raccontato un amico, nessuno di noi ha da obiettare se la badante ucraina del nonno, di religione ortodossa, viene lasciata in ferie il 5 maggio, giorno della Pasqua ortodossa, o il 7 gennaio, giorno del Natale ortodosso, seppur non coincidano con le nostre festività. Non si capisce perché lo stesso criterio non debba valere per la scuola di Pioltello di fronte all’evidenza che fare lezione con metà degli studenti non ha lo stesso valore che farlo con la classe intera.

Questo significa genuflettersi di fronte al mondo islamico, o rinunciare alla nostra identità? Sarò provocatorio, ma è esattamente il contrario. Le identità si rispettano quando esistono e sanno riconoscersi. Detto in parole più semplici, non è chiedendo ai cristiani di togliere i crocefissi dalle scuole o ai musulmani di rinunciare alla festa del Ramadan che costruiremo una società multireligiosa che sa convivere in pace. Solo riconoscendo l’altro e rispettando la sua identità, noi sapremo custodire e affermare la nostra storia, i nostri principi, il nostro impianto valoriale.

Certo, insieme al dialogo e al rispetto di ogni identità dobbiamo chiedere la reciprocità di trattamento, che oggi non è garantita, ma non possiamo accettare che, se qualcuno, sbagliando, non la riconosce allora anche noi saremmo legittimati a fare lo stesso errore.

La Consulta interreligiosa

Indubbiamente la libertà religiosa nasce e si fonda sul rispetto reciproco e non può essere mai confusa con la libertà di prevaricare. Però se una scuola, nell’ambito della propria autonomia scolastica, che noi abbiamo sempre difeso, prende una decisione organizzativa, non credo sia il caso di invocare cedimenti inaccettabili.

Tutto questo non deve essere fatto in modo superficiale e non è esente da rischi e da problemi. Non mi sfugge che per alcune religioni, la dimensione trascendente coincide spesso con manifestazioni ed espressioni che hanno un contenuto squisitamente civile, finanche politico. Al tempo stesso però credo che, se noi cristiani, cattolici europei, non saremo in grado di dare una risposta credibile e seria al tema del dialogo interreligioso, sarà difficile che questo possa avvenire altrove.

In un mondo in cui vivono 746 milioni di europei su quasi 8 miliardi di abitanti, non è certo imponendo con la forza la nostra visione che potremmo pensare di avere un’egemonia sul futuro. Dobbiamo praticare una strada diversa, un cammino di pace, impostato sul dialogo e sul rispetto di ciascuno, rigettando vie imposte da chi detiene temporaneamente il potere.

Questo è proprio quello che stiamo cercando di fare in Regione Lombardia, dove con una delibera approvata questa settimana, abbiamo costituito la Consulta interreligiosa, voluta da una legge di qualche tempo fa, che prevede un luogo stabile di dialogo con tutte le confessioni religiose, rappresentate ciascuna da due esponenti, sui temi di natura etica che hanno a che fare con la sanità, il fine vita, le questioni bioetiche e le norme che disciplinano la vita comune. Sarà un’esperienza certamente interessante alla quale sono lieto di aver dato il mio contributo e nella quale sarò personalmente coinvolto. Una esperienza ispirata alla necessità dell’incontro, non dello scontro. Chi riconosce la propria identità non ha timore di incontrarsi con alcuno. Ma forse è proprio questo il problema in Europa.

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