La salvezza non riguarda solo lo spirito. Ecco perché dobbiamo seppellire i morti

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Caro padre Aldo, ho letto il tuo articolo sul “Memento mori”: mi ha messo con le spalle al muro. Poche volte penso alla morte, anche meno che “verrà e avrà i miei occhi”. Il mondo ci travolge col suo ritmo vertiginoso, ci impedisce perfino di guardare la realtà e di pensare. Solo la Chiesa ci “blocca” un momento ogni anno mettendoci di fronte alla realtà, il giorno 2 di novembre, commemorazione di tutti i defunti. Ed è per questo, come scriveva Eliot, che è odiata dal mondo: perché ricorda agli uomini questa verità. Eppure la familiarità con questa verità ci permetterebbe di vivere meglio, di vivere liberi e coscienti del destino e del valore di ogni cosa. Il peccato è la dimenticanza del significato e destino di tutto e di tutti, perciò anche del gusto, del bello che è il vivere quotidiano. Infine vorrei che lei scrivesse qualcosa rispetto al recente documento della Congregazione per la Dottrina della fede sulla sepoltura del corpo, in cui è affrontato anche il problema della cremazione.
Antonio

Ti ringrazio della domanda anche perché in questi anni ho accompagnato a morire più di 1.400 ammalati terminali, dando loro, quindi, una degna e santa sepoltura. Per questo abbiamo costruito un cimitero semplice ma bello nel verde di una fattoria che ci è stata regalata. Ogni tomba ha una croce semplice di legno con i dati del defunto e il perimetro caratterizzato da piccoli cespugli verdi di ligustrina. Lascio a un amico la risposta al tuo quesito.
paldo.trento@gmail.com

Per molto tempo la Chiesa si è opposta alla pratica della cremazione dei morti, perché percepiva in quel gesto una connessione con la concezione dualistica platonica, secondo la quale il corpo doveva essere distrutto per liberare l’anima dal carcere della materia. La Chiesa attualmente non la proscrive, perché non ha dubbi che questa pratica non sia legata in se stessa al dualismo platonico o alla reincarnazione. Cioè, anche se continua a preferire la sepoltura dei corpi, comprende le ragioni pratiche che in alcuni casi possono spingere a scegliere la cremazione: igieniche, economiche, sociali eccetera.

Correggendo gli abusi
Tuttavia, al di là dell’incenerimento, si sono diffuse pratiche che oscurano la fede cristiana nella resurrezione dei morti: la dispersione delle ceneri, la conservazione delle stesse nelle case, la loro divisione tra i cari, la trasformazione in ricordi commemorativi o gioielli, eccetera. È dunque opportuno ricordare che l’opera di misericordia che ci intima di “seppellire i morti” è ancora vigente, anche per le ceneri.

Necropoli o cimiteri
È un fatto storico che al tempo dell’Impero romano i cristiani costruirono cimiteri prima che chiese. Di fatto, i cimiteri furono i primi templi cristiani. Inoltre, per influsso della fede cristiana, si sostituì il nome con cui si designava il luogo destinato alle sepolture, “necropoli”, città dei morti, con “cimitero”, dormitorio (dal greco koimeterion). Il cristianesimo ha dato alla luce perfino un nuovo verbo latino: “depositare”. Nel rito cristiano il corpo è “depositato” nella terra in attesa della resurrezione. La deposizione è un’evocazione della promessa di Cristo di recuperare il corpo sepolto.

Gesù sepolto
La resurrezione di Cristo, il cui cadavere è stato “depositato” in quella tomba a Gerusalemme, è la chiave per comprendere qual è la nostra speranza. Perciò la santa sepoltura di Gesù è diventata il punto di riferimento della sepoltura cristiana.

La dignità del corpo
Nella concezione antropologica cristiana, il corpo non è un carcere dal quale il prigioniero debba uscire né un vestito del quale debba spogliarsi per cercarne un altro. L’essere umano è un’unità sostanziale di corpo e anima, perciò la promessa di salvezza di Gesù Cristo è rivolta all’uomo nella sua interezza, senza escludere la sua corporeità.

Inoltre, pregare
Quindi, alcuni degli inviti che ci vengono rivolti alla fine di questo Giubileo della Misericordia sono: compiere l’ultima delle opere di misericordia corporali (seppellire i morti) e allo stesso tempo praticare l’ultima tra quelle spirituali (pregare per i vivi e per i morti). Le due opere sono intimamente unite, per cui ogni volta che noi evochiamo il “riposo” dei nostri cari defunti, sentiamo la chiamata a pregare per il loro eterno riposo, chiedendo a Dio che arrivi il giorno in cui ci riuniremo a tutta la nostra famiglia in Cielo.
Monsignor José Ignacio Munillavescovo di San Sebastián, Spagna

Foto Ansa

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