La guerra al buio e al freddo, a 5.000 metri, di Cina e India con pietre e mazze

Il più grave scontro da 45 anni tra le due potenze nucleari asiatiche ha fatto più di 50 morti. E senza un colpo di fucile: tutto per conquistare pochi metri di confine

Più di 50 soldati sono morti nella notte tra lunedì e martedì nella regione contesa dell’Himalaya, quando truppe indiane e cinesi si sono confrontate a viso aperto a oltre 5.000 metri di altitudine in una remota area del Kashmir, la Valle di Galwan, nella regione di Ladakh. Senza sparare un colpo di fucile, indiani e cinesi si sono affrontati per ore, al buio, quando il termometro era già sceso ben sotto gli zero gradi, armati solo di pietre, mazze e bastoni di bambù, per difendere la linea di confine nello scontro più violento tra le due potenze asiatiche dal 1967 e il primo in cui si sono registrate vittime dal 1975. Nella notte sono morti 20 militari indiani e, secondo fonti americane, 35 cinesi. Decine i feriti. La maggior parte delle vittime non è caduta sotto i fendenti nemici, ma è deceduta assiderata scivolando o venendo gettata nelle acque ghiacciate e impetuose dello Shyok, il «fiume della morte» (così lo chiamano gli indiani) che scorre nell’area che viene descritta dagli eserciti come «un deserto di neve ad alta quota».

LE VERSIONI OPPOSTE SU CHI HA INVASO CHI

Il premier indiano Narendra Modi, che in quanto a nazionalismo non ha nulla da invidiare al presidente cinese Xi Jinping, ha dichiarato che «la morte dei nostri uomini coraggiosi non sarà stata vana. L’India vuole la pace, ma se viene provocata è capace di rispondere prontamente». Gli ha subito risposto il ministro degli Esteri del Dragone, Wang Yi, avvertendo New Delhi di «non sottostimare la nostra ferma volontà di salvaguardare il nostro territorio nazionale». Per tutta risposta, membri del Congresso hanno impiccato un manichino con il volto di Xi a Tirunelveli, mentre la popolazione ha bruciato foto del presidente cinese in tutto il paese.

Il 6 giugno i più alti comandanti in carica dei battaglioni lungo il confine conteso si erano accordati, dopo un mese di corsa alla militarizzazione, su come allentare la tensione lungo la Linea di controllo effettiva (Lac), che separa i due paesi. Dal 6 al 14 giugno, i comandanti si sarebbero incontrati regolarmente su come comportarsi per evitare problemi. Secondo la ricostruzione delle forze armate indiane, dopo essersi definitivamente allontanate, il 14 sera le truppe cinesi sarebbero tornate indietro e avrebbero sconfinato in territorio indiano per cercare di costruire una struttura di controllo nella Valle di Galwan e «cambiare lo status quo». La versione cinese, come si può immaginare, è esattamente opposta.

IL PRIMO CONFINE E L’AVVENTO DEL REGIME

Il motivo per cui entrambi gli eserciti si accusano a vicenda di aver varcato la Lac non è solo retorico, ma ha ragione storiche. La prima Linea di controllo effettiva, che oggi si snoda per 3.340 chilometri tra montagne, laghi e fiumi ma che allora si chiamava Linea di Macmahon ed era molto più contenuta, è nata nel 1914 da un accordo tra il Regno Unito, che allora controllava l’India, e il Tibet, che al tempo era ancora indipendente.

La Cina non ha mai accettato quella linea di demarcazione e negli anni Cinquanta, pochi anni dopo la nascita della Repubblica popolare cinese e l’indipendenza dell’India, sono cominciati scontri e diverbi. Pechino ha sempre sostenuto che il Tibet non poteva essere considerato un paese indipendente e che dunque non poteva firmare trattati per creare un confine internazionale. Nel 1962, l’Esercito di liberazione del popolo varcò il confine e dopo un mese di guerra (e migliaia di morti, soprattutto tra le fila indiane) l’allora premier Zhou Enlai dichiarò il cessate il fuoco, ridisegnando il confine in modo più favorevole a Pechino.

L’ACCORDO SULLE ARMI DA FUOCO

Nel 1967 le truppe cinesi aprirono il fuoco su quelle indiane presso due passi montani, Nathu La e Cho La, per impedire la costruzione di una barriera di filo spinato. La risposta non si fece attendere e dopo la morte di 340 soldati cinesi e 150 indiani, il confine fu spostato a forza più avanti in territorio cinese. L’attuale posizione è dunque riconosciuta come illegittima dalla Cina, ma anche dall’India, che la vorrebbe spostare ancora più avanti secondo il confine stabilito nel 1914.

Nel 1975 quattro soldati indiani sono stati uccisi in un’imboscata tesa su un passo montano dai militari cinesi e da allora, almeno fino a lunedì notte, nessuno è più morto lungo il confine. Negli anni, la tensione si è alzata e poi abbassata decine di volte, a seconda delle mosse più o meno azzardate dei due eserciti, ma non ci sono più stati scontri violenti. Nel 1996 Pechino e New Delhi hanno firmato un accordo che impedisce ai militari di aprire il fuoco lungo il confine di portare armi in un raggio di due chilometri dalla Lac.

TROPPE ARMI NUCLEARI PER UNA GUERRA

Questo è anche il motivo per cui lunedì notte i soldati hanno combattuto a mani nude, con pietre e con bastoni ma senza armi. Non sono più gli anni Sessanta, l’India ha circa 140 testate nucleari e materiale per costruirne altrettante, mentre l’arsenale della Cina dovrebbe contarne il doppio. Nessuno dei due paesi può permettersi una guerra né vuole scatenarla, per quanto nell’ultimo caso i due eserciti si sono spinti troppo oltre. Anche per questo, dopo la rabbia e le minacce, le diplomazie si sono messe al lavoro e i due paesi sembrano entrambi desiderare la via del dialogo al fine di allentare la tensione. Ma dopo oltre 24 ore di negoziati, non è stato ancora trovato nessun accordo.

@LeoneGrotti

Foto Ansa

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