La fine dell’umanesimo? Ma poi ci resta solo il non-senso (e la pornografia)

Oggi su Repubblica Marco Lodoli scrive che ciò che ci ha consegnato la tradizione è solo un fardello di cui liberarsi. Che ne sarà di Shakespeare? Rimarrà solo Rocco Siffredi?

Gentile signor direttore,
le scrivo per segnalarle l’articolo di Marco Lodoli apparso oggi su Repubblica: “La fine dell’umanesimo. Quell’altrove culturale dove vivono gli studenti”. Glielo segnalo perché Lodoli denuncia una verità terribile: ai giovani la cultura umanistica non interessa più. Secondo l’esperienza di Lodoli e di quanti insegnano nelle scuole e nelle università, agli occhi degli studenti di oggi l’immenso bagaglio di tesori di pensiero e di arte che che la tradizione ci ha consegnato è solo un fardello di cui liberarsi; gli scritti di Platone, gli affreschi di Michelangelo, i drammi di Shakespeare, le sinfonie di Mozart e tutte le altre opere del genio occidentale sono solo cose vecchie e noiose da abbandonare all’oblio. Tutto ciò che appartiene al passato perde di interesse per loro, che vivono nel presente assoluto dell’universo digitale e si ubriacano di sogni sul futuro. Ma Lodoli non si rammarica. La sua tesi è che la cultura umanistica ha “concluso il suo ciclo” e quindi è giusto abbandonarla al suo sepolcrale destino. Dunque, dal suo punto di vista non sbagliano quanti si disinteressano alla tradizione, ma quanti non si rassegnano alla sua fine. «Oggi loro sentono che la vita è altrove e la memoria non basta a reggere l’urto con le onde fragorose del mondo che sarà, che è già qui: serve energia, e quella non la trovi più nei cataloghi e nei musei».

Le scrivo perché mi piacerebbe sentire il parere di altri giornalisti, studiosi, professori e studenti. Magari si può avviare un dibattito. Nell’attesa, ne approfitto per esprimere il mio parere, per quello che può valere. Per non annoiarla, cercherò di essere sintetica anzi di più: ermetica.

In primo luogo, io penso che la crisi della tradizione umanistica non sia un fatto da accettare, ma una sciagura cui porre rimedio prima che sia troppo tardi. Io credo che non si possa togliere di mezzo la tradizione del passato senza togliere di mezzo anche il presente tecnologico e digitale. Studiando la filosofia, la letteratura e l’arte occidentale sono giunta a questa conclusione: la cultura tecnologica e digitale è figlia della cultura scientifica e la cultura scientifica è figlia della cultura umanistica. Come in un lugubre gioco del domino, prima cade la cultura umanistica poi cade la cultura scientifica poi cade la tecnologia e infine cade pure l’economia, e torna il neolitico. Pochi sanno che oggi non è in crisi soltanto la cultura umanistica: è in crisi la ricerca scientifica pura. Anche in quella che è oggi la nazione più potente della terra, la nazione che un tempo era all’avanguardia del progresso scientifico, la scienza è meno prospera della pornografia: in un articolo che ho letto qualche tempo fa, un neoconservatore americano denunciava che, secondo ricerche approfondite, negli Usa l’insegnamento della cultura scientifica è in declino. Alle industrie e ai centri di ricerca privati non interessa più indagare sugli infiniti misteri dell’universo: preferiscono fare ricerca applicata alla produzione industriale. Infatti la ricerca pura non garantisce profitti immediati, mentre la ricerca applicata sì. Ma il paradosso, la legge del contrappasso è che la ricerca applicata ha le gambe corte. Il paradosso è che i più grandi e determinanti contributi alla ricerca applicata li ha dati la ricerca pura. I telefonini cellulari, internet e gli i-pad sono frutti di quell’immensa mole di ricerche scientifiche pure, purissime, che alla fine degli anni Sessanta ci hanno portato sulla Luna. Ma appunto, questa scienza che ci ha portato sulla Luna è figlia di un pensiero umanistico. La navicella Apollo è stata sospinta sulla luna da una millenaria cultura umanistica che ha insegnato all’uomo occidentale – perché la Luna è stata conquistata dall’Occidente: diciamo le cose come stanno – a non vivere come un bruto ma seguire virtute e canoscenza. Glielo ha insegnato attraverso le poesie, i romanzi, le sinfonie, le sculture, i dipinti. E non a caso, i più grandi scienziati hanno sempre una vasta cultura umanistica. Einstein scriveva pensieri profondi.

E adesso arrivo subito, ermeticamente al punto: se dietro la cultura scientifica c’è la cultura umanistica, che cosa c’è dietro la cultura umanistica, nello specifico dietro la cultura umanistica occidentale? C’è la teologia cattolica (rileggersi gli scritti di Woods o, almeno, vedersi i suoi filmati su Youtube).

La cultura umanistica insegna all’uomo a seguire virtute e canoscenza perché prima la teologia ha insegnato alla cultura umanistica che l’uomo è fatto  somiglianza di Dio e che la ragione umana può conoscere e dominare l’universo. Ecco, la mia impressione è che l’umanesimo è in crisi perché ha finito di tagliare tutti i nessi con la teologia e con la fede. Quanto più si è allontanato dalla sua radice, tanto più si è avvicinato ad un nichilismo edonistico che coincideva con la morte stessa dell’umanesimo. Dopo essersi staccato dalla radice teologica che lo aveva generato e che lo nutriva, questo umanesimo ha potuto ostentare una salute prospera dal sedicesimo al ventesimo secolo. Ma oggi le riserve di nutrimento sono esaurite, e la pianta sta morendo di nichilismo. E quel che ne resta, è una non-filosofia che celebra il non-senso della vita, una non-letteratura che celebra la copula (vedi la trilogia delle Cinquanta sfumature di grigio, rosso, verde) e una non-arte che celebra la morte (vedi la mostra dei cadaveri imbalsamati, ampiamente pubblicizzata in questi giorni, nonché l’opera omnia di Damien Hirst). Ma non possiamo stare a guardare. Se non rifondiamo l’umanesimo, se non salviamo il bagaglio della tradizione – perché l’umanesimo del futuro può fondarsi solo sull’umanesimo del passato – prima verrà meno la scienza, poi verrà meno la tecnologia e infine verranno meno (anzi, già stanno venendo meno) le banche e le borse, e saremo di nuovo al baratto. L’unica cosa che continuerà a prosperare sarà la pornografia. Non a caso, i giovani non conoscono un solo verso di Dante e una sola melodia di Mozart ma in compenso studiano con scrupolo filologico l’opera omnia di Rocco Siffredi e Sara Tommasi.

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