La crisi della nostra epoca non è economica né politica. Oltre a un’agenda ci vuole un “cuore”

La faccenda grave, il problema è per Caffarra «la tristezza dei cuori». La crisi di una civiltà, ha scritto circa 150 anni fa Baudelaire, è «l’avvilimento dei cuori».

Per una volta un cardinale di cervello fino ha echeggiato un poeta maledetto. Cioè uno che per la cultura del suo tempo era un “maledetto”, perché andava in direzione opposta al pensiero corretto e alla “presentabilità” di allora.

È accaduto che il cardinal Caffarra abbia riecheggiato Baudelaire. In cosa? Il fatto è che secondo il cardinale come allora secondo il poeta maledetto, il problema della nostra epoca non è la crisi economica. Né le crisi della politica. È qualcosa di più preciso e di più concreto. Chi indica nell’economia o nella politica la fonte dei problemi della nostra epoca spera di passare per uomo pratico, coi piedi per terra. Preciso. Ma il problema preciso, concreto, direi cellulare della nostra società è un altro. Ben più grande, diffuso, tremendo. Con conseguenze ben più gravi e ben visibili agli occhi di tutti.

Basta farsi un giro per strada, o in ufficio. Chi dice: «Il problema è la crisi economica», non dice in realtà niente. Sembra dire una cosa precisa. Mentre invece il problema preciso è altrove. In una faccenda che è causa della crisi economica. E chi dice che il problema è la politica non dice niente di preciso. La faccenda che determina le crisi della politica, la sua diffusa inutilità, o la sua vanagloriosa rappresentazione in puro teatro o in gestione del potere fine a se stesso, è un’altra.

E la faccenda grave, il problema è per Caffarra, come ha riferito Tempi nel numero scorso, «la tristezza dei cuori». La crisi di una civiltà, ha scritto circa 150 anni fa Baudelaire, è «l’avvilimento dei cuori». Per intervenire su tale avvilimento non basta nessuna agenda economica e nessuno slogan politico. Ma l’incontro con uomini diversi, non avviliti dentro.

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