La “classe ghetto” di Bologna? Ma va là, è tutto il contrario. E «se dà risultati può diventare un modello»

Scoppia un caso intorno a una classe di soli stranieri. Sel va all'attacco ma è lo stesso preside a spiegare cosa è successo e il senso della sua decisione. Tanto che persino la Cgil parla di «lati positivi»

Bologna, scoppia una bagarre politica intorno alla classe di soli stranieri delle scuole medie Besta. L’istituto ha, infatti, deciso di creare una prima (1A) sperimentale composta solo da ragazzi stranieri di diverse nazionalità ed età (tra gli 11 e i 15 anni) che non parlano italiano. Ma il Consiglio di istituto della scuola, tramite una lettera inviata al Coordinamento dei Consigli di istituto, ha criticato tale decisione che «ha il risultato immediato di dividere». Le maggiori problematiche sarebbero dovute al fatto che la composizione sarebbe variabile (gli allievi possono essere essere spostati in altre classi) e il “contatto” con gli alunni limitato, avendo come unico riferimento italiano solo l’insegnante, «annullando tutte le potenzialità della educazione tra pari». Si teme quindi che tale scelta sia prodromica a classi differenziali. Inoltre il Consiglio è convinto che una scelta del genere contrasti con i principi di inclusione e confronto «ai quali la scuola si deve ispirare».

LA PROTESTA DI SEL. Particolarmente arrabbiato è il presidente della commissione Istruzione del Comune di Bologna, Mirco Pieralisi (eletto nelle file di Sel): «Sono in trepidante e furente attesa – ha scritto in una nota – di sapere quali siano stati i passaggi, non comunicati al Consiglio di istituto, che hanno portato alla formazione di questa classe di soli ragazzi immigrati di età diverse». Sconcertato si proclama anche Giovanni Paglia, deputato di Sel, autore di un’interrogazione al ministero dell’Istruzione.

«MA I GENITORI MI HANNO RINGRAZIATO». A spiegare i motivi che lo hanno spinto a tale decisione ci ha pensato Emilio Porcaro, dirigente dell’Istituto: la 1A sperimentale non è nata affatto come classe ghetto ma, al contrario, è stata istituita per integrare, per dare una classe a ragazzi arrivati ad agosto in Italia e per evitare l’abbandono scolastico». La classe è stata autorizzata dall’Ufficio scolastico provinciale perché gli alunni non parlano italiano essendo arrivati da poco nel nostro paese. «Fanno diverse materie coi compagni delle altre classi – ha spiegato Porcario -, mangiano insieme e partecipano alle uscite assieme agli altri». Per alcune materie, come l’inglese «molti fanno lezione con gli altri allievi», quindi «l’idea che ci muove è quella di insegnare loro l’italiano e, nel frattempo, fare in modo che si integrino».
Il progetto è nato ad agosto, quando alle Besta sono arrivate 18 famiglie che, col ricongiungimento familiare, avevano appena riavuto i figli. Stavano cercando di iscriverli in diverse scuole e alle Besta c’era lo spazio per accoglierli. Quindi, ha spiegato Porcaro, «ho chiamato l’Ufficio scolastico e ho chiesto l’autorizzazione per le ore, che ho ottenuto, e ho chiesto agli insegnanti se volevano assumersi l’onere di un progetto di formazione e integrazione». Da qui è nata l’idea di un progetto che, «grazie alla voglia di mettersi in gioco dei miei insegnanti, va nella direzione di aiutare i ragazzi e le loro famiglie». Proprio nei giorni scorsi, i genitori di questi studenti hanno eletto i loro rappresentanti nel consiglio di classe e, aggiunge il preside, «ho ricevuto da un genitore una lettera di apprezzamento per la nostra iniziativa».
Porcaro ha specificato che se questi ragazzi fossero giunti a giugno, cioè quando le classi non erano state ancora formate, essi sarebbero stati inseriti nei gruppi con gli altri allievi, ma, essendosi creata un’emergenza solo ad agosto «io non me la sono sentita di non rispondere». Inoltre i cosiddetti “contrari” all’iniziativa sarebbero solo una minoranza all’interno del consiglio di istituto, («cinque o sei su 18 componenti») comunque il loro parere non è vincolante rispetto ai progetti studiati dal consiglio docenti (dove i “contrari” sono 10  su 100).

SE DA’ RISULTATI E’ UN MODELLO. La vicenda ha comunque fatto molto discutere la città, anche con diverse sfumature rispetto all’opposizione “senza se e senza ma” di Sel. Per l’assessore comunale al Welfare, Amelia Frascaroli, non è il caso di «bollare» il progetto come «una cosa negativa, andrebbe conosciuto, prima». Per Giuseppe De Biasi, assessore all’Istruzione della Provincia di Bologna, si tratta di «una sperimentazione a tutti gli effetti» che «va nella direzione su cui Porcaro e le Besta lavorano da anni, cioè l’integrazione dei nuovi cittadini». Persino per Francesca Ruocco della Flc-Cgil si tratta di «un progetto di accoglienza che ha dei lati positivi». Se ben fatto, «è meritorio».
Infine, secondo la consigliera comunale del Pdl Valentina Castaldini, se il progetto «funziona e dà dei risultati concreti per l’integrazione», non solo non va criticato, ma «va preso a modello. Bisogna partire dal principio di verità che la scuola sta cambiando e che la vera integrazione degli stranieri parte dalla lingua». Se quindi, una volta conclusa, la sperimentazione delle Besta porta dei risultati («cosa che va verificata») significa che in quell’istituto «si è riusciti a fare ciò che deve fare la scuola, una personalizzazione, un passo per andare incontro alle esigenze del singolo, pur all’interno di una comunità e senza lasciare indietro nessuno». Per questa ragione, conclude, «Sel dovrebbe cercare di cambiare punto di vista e rovesciarlo, invece di criticare l’iniziativa a priori».

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