La battaglia sulla trincea della realtà

Se passasse il pdl Zan, poi si potrebbe sostenere tutto e il suo contrario, tutto sarà vero e falso assieme. Realtà o percezione della realtà?

Nonostante la dura nota della Cei sul discusso pdl Zan contro l’omotransfobia e la misoginia, che salvo auspicabili marce indietro approderà alla Camera il prossimo 27 luglio, in ambito cattolico continuano a registrarsi voci e prese di posizione che lasciano piuttosto perplessi. Come quella della Cvx, sedicente comunità di vita cristiana che si definisce una non meglio precisata “associazione di laici legata ai Gesuiti”, che a proposito del pdl in questione ha detto di non ravvisare “nessun rischio effettivo per le libertà fondamentali di alcuno” e che “prende le distanze da qualsiasi strumentalizzazione politica del Vangelo”. Non solo. L’associazione, prosegue la nota, “sente forte l’appello del Vangelo a schierarsi aprioristicamente (sic!) dalla parte delle vittime. Per questo i luoghi della discriminazione e della violenza contro le donne e le persone Lgbt+ “sono chiamati” a divenire frontiera di missione”.

Ora, a parte il fatto che parlare di strumentalizzazione politica del Vangelo, e allo stesso tempo attribuire al Vangelo un presunto appello a schierarsi “aprioristicamente” dalla parte delle vittime, suona un pelo contraddittorio oltreché essere infondato sotto ogni profilo, che il pdl Zan non sia affatto innocuo ed esente da rischi come la narrativa mainstream vorrebbe far credere, lo dimostrano non solo le critiche piovute, tra le altre, da svariate e note femministe e i rilievi giuridici sollevati da eminenti personalità (non ultima, il presidente emerito della Consulta, Cesare Mirabelli), ma prima ancora il buon senso. Innanzitutto, come ha ricordato Michele Ainis sul Venerdì di Repubblica (leggi bene: Ve-ner-dì-di-Re-pub-bli-ca), è falso che “i diritti dei gay, delle lesbiche e dei trans non siano tutelati… In Italia gli omosessuali hanno gli stessi diritti degli eterosessuali, benché non possano sposarsi”. Si tratta piuttosto, prosegue Ainis, “d’offrirgli protezione contro l’hate speech, le parole d’odio che fin troppo spesso li prendono a bersaglio”. E dopo aver ricordato che i paesi in cui non esistono leggi in tal senso sono molti di più di quelli che hanno legiferato contro l’hate speech, Ainis arriva al punto della questione: il fatto cioè che ci troviamo al crocevia della democrazia e dei due valori che la fondano, ossia la libertà d’espressione e la tutela delle minoranze. E se si debbono soppesare svantaggi e vantaggi di “questo nuovo reato, probabilmente i primi surclassano i secondi”. Per tre motivi, dice Ainis: primo, perché esistono già ben 35.000 fattispecie di reato, con la conseguenza che “ciascuno può infrangere la legge senza nemmeno sospettarlo”; d’altra parte, “se la tua omofobia ti induce a pestare un gay, c’è già l’aggravante per futili motivi, non occorre forgiarne una nuova di zecca”; secondo, “per il valore pedagogico della tolleranza. Che s’esercita verso le opinioni sgradevoli o sgradite, non certo verso i bei sermoni”; terzo, e ultimo, nel caso in cui venisse approvata una nuova legge, “gli omosessuali diventeranno «soggetti vulnerabili» con tutti i crismi del diritto. Siamo sicuri che si tratta di un favore?”.

Ainis vede qui un rischio concreto, che cioè alla fine la legge possa rivelarsi un boomerang, perché “in generale le misure di speciale protezione verso questa o quella minoranza possono abbassarne l’autostima, e in conclusione aumentarne il senso d’inferiorità sociale”. Ma l’aspetto decisivo contro il disegno di legge in questione è che al pari di altri fenomeni a forte impronta ideologica e totalitaria – uno su tutti di stringente attualità: la cosiddetta cancel culture, che soprattutto negli Usa sta facendo strame del passato – il politicamente corretto alla base del retroterra culturale del Dl Zan è quanto di più liberticida ci possa essere.

Il punto, come ha lucidamente evidenziato l’arcivescovo di Trieste, monsignor Giampaolo Crepaldi, è che “in nome di alcune idee si ritiene di criminalizzare idee diverse. Se si concede la possibilità di censurare giuridicamente e penalmente non delle offese, ma semplicemente delle opinioni e delle verità di ordine antropologico e morale diverse da quelle dei proponenti il Disegno di legge, come per esempio la differenza fra uomo e donna, allora veramente la nostra libertà  – quella di tutti, non solo quella dei cattolici – è in pericolo. Si tratta di un disegno pretestuoso che va contrastato con forza”.

Eppure, da quando la Cei ha preso posizione, non è passato giorno senza che singoli cattolici o gruppi a vario titolo d’ispirazione cattolica abbiano espresso pareri diversi quando non in palese in palese disaccordo con la Cei. Né sono mancati casi a dir poco stravaganti, come quello di un’insegnante di religione (cattolica?) che sul quotidiano della Cei ha candidamente ammesso che lei ha “sempre pensato che di famiglie ne esistono di molti tipi e si tratta di famiglie vere anche se non sono basate sul matrimonio tra uomo e donna”, e che come insegnante di religione cerca di trasmettere ai suoi allievi l’essenza del cristianesimo ossia che Dio è amore e dove c’è amore c’è Dio (dal che se ne deduce, se tanto mi dà tanto, che anche un uomo che vive con un gatto è una famiglia, posto che possono volersi molto bene, giusto?). 

Ma non è tanto questo il punto. Il problema vero è che anche su un tema come questo, ci sia chi pensi che l’importante è il dialogo, il confronto, il dare voce a l’una e l’altra campana, il non arroccarsi su posizione rigide o portando avanti pregiudizi ideologici in un senso o nell’altro, l’essere aperti all’ascolto ed avere un atteggiamento inclusivo e rispettoso verso tutti, come se il dialogo in sé fosse un valore facendo finta di non sapere o non ricordare che esiste la verità. Tanto più, si dice, di fronte a questioni complesse e articolate  – come si vorrebbe quella dell’identità di ciascuno  – che meritano di essere approfondite e discusse perché la realtà è, appunto, più complessa di ciò che sembra e le cose non sono mai tutte bianche o tutte nere. Talmente complessa, ad esempio nel caso dell’omosessualità et similia, da far ritenere al Prof. D’Agostino  – con l’intento di criticare il ricorso all’iniziativa legislativa – che essendo “questioni antropologiche ancora assolutamente aperte… il rischio di imbavagliarne ogni forma di approfondimento scientifico e dottrinale è reale e molto pericoloso”. Si tratta piuttosto di “non porre limiti alla ricerca antropologica, per delicata che essa sia, su temi che solo da poco sono emersi alla coscienza di tutti e che richiedono lunghi e seri approfondimenti”. Sorvolando sul quel riferimento ad approfondimenti “dottrinali” che forse richiederebbe, questo sì, un approfondimento (in ogni caso, a meno di smentire san Paolo, approfondimenti dottrinali in materia di omosessualità sono piuttosto improbabili per non dire impossibili), l’antifona è più che chiara. 

Ma al di là dell’esempio citato, il punto da sottolineare è che se il metodo del dialogo e della ricerca, in senso lato, fosse adottato e portato avanti da chi ha una visione laica della vita, da chi non crede che esista una verità o comunque dei valori assoluti, nulla quaestio. Ma se simili argomenti, se un simile approccio viene fatto proprio in ambito cattolico, di chiunque si tratti e qualunque sia il suo stato o mestiere, beh, Houston abbiamo un problema.

Per capirci, lo stesso identico problema sollevato a suo tempo dal compianto cardinale Carlo Caffarra quando affermò che “una Chiesa più povera di dottrina non è più pastorale, è solo più ignorante”. E che ci troviamo di fronte ad un impoverimento anche dottrinale è dato dal fatto stesso, ripetiamo, che si stia qui a discutere di questioni su cui non c’è proprio nulla da discutere essendo già stato tutto detto e scritto in modo chiaro, limpido, cristallino. Per cui delle due l’una: o i cattolici pensano ancora di essere depositari della Verità (scritta ovviamente con la “v” maiuscola trattandosi innanzitutto di una Persona), e che tale Verità sia alla base di una precisa antropologia secondo la quale gli essere umani nascono maschi o femmine (“maschio e femmina li creò”), a prescindere da ciò uno “percepisce” di essere; oppure i cattolici non hanno più tale coscienza, e allora possiamo sbaraccare tutto oggi stesso e tanti saluti. 

Ciò che in certi ambienti sedicenti cattolici sembra sfuggire è la vera posta in gioco di tutta questa vicenda, il fatto cioè  – l’ha colto con la lungimiranza che gli è propria Costanza Miriano – “che questa è una battaglia di civiltà sull’ultima trincea, quella della realtà. Una legge che impedirà di dire che i maschi sono maschi e le femmine femmine è la fine della civiltà, della adaequatio rei et intellectus (corrispondenza tra realtà e intelletto), della Verità. Dopo questo, basta, potremo dire tutto: tutto sarà vero e falso insieme, perché se io posso dire che mi sento maschio, dunque sono maschio, vale tutto. Come quel genio spagnolo che a 60 anni stanco di lavorare si è dichiarato donna, senza fare nessuna operazione – in Spagna non serve – e si è aggiudicato il diritto alla pensione 5 anni prima. E tutti muti, perché discutere questo significherebbe mettere in discussione il principio, affermato in Spagna e molti altri paesi, che quello che conta è la percezione. O come il violentatore seriale che in carcere ha dichiarato di sentirsi donna, si è fatto trasferire nel carcere femminile, e ha stuprato due carcerate, mettendole incinta, perché ovuli e spermatozoi sono omofobi, si sa, e quindi non hanno tenuto conto del fatto che lo stupratore si sentisse donna”.

Questo, e solo questo è il punto: realtà o percezione della realtà? Primato dell’oggettività o primato dell’io? Insomma: l’uomo che si fa dio di sé stesso, che si autodetermina, che si ri-crea se non si piace, eccetera eccetera, o l’uomo che resta umano, accettando il suo essere creatura fatto “a immagine e somiglianza di Dio”? Se annulliamo il principio di realtà, se si darà una spinta ulteriore al dominio della soggettività, dell'”io penso, dunque sono”, inevitabilmente si spalancherà davanti a noi l’abisso senza fondo della nicceana volontà di potenza. Perché se non esiste realtà, se non esiste verità ma solo opinioni, ovvio che solo quella del più forte prevarrà. E sarà la fine. Altro che rispetto, inclusione, tolleranza, libertà. Non ci può essere vera carità senza verità, quante volte ce lo ha ricordato Benedetto XVI? Ecco perché è importante contrastare, opportune et inopportune, un disegno di legge che rischia di minare le fondamenta stesse della civiltà occidentale. 

Tra l’altro, è curioso notare che lo stesso concetto, pur partendo da altra angolazione e prospettiva ma sempre con sullo sfondo il tema più generale dell’omosessualità, è stato espresso dal Grande Imam di Al Azhar, Ahmed El Tayed (sì lui, lo stesso che firmò con papa Francesco il documento di Abu Dhabi sulla convivenza tra le fedi) in un’intervista su “La Lettura” del 1 marzo scorso stranamente passata inosservata, ma che avrebbe meritato ben altra attenzione. Al punto ci è arrivato poco a poco: prima ha fatto un’affermazione di carattere generale dicendo che “è questa infatti la libertà più importante: quella di difendere la civiltà e la cultura, e di convergere di lì verso una comune umanità”; poi ha specificato che “C’è chi cerca di imporre certi diritti umani che non sono veri diritti umani, ma deviazioni… Attraverso le convenzioni internazionali si cerca di imporci nuove forme di famiglia e certi diritti dei bambini; ma così si distruggeranno la famiglia e i bambini”. Infine è arrivato al nocciolo della questione: “Le tensioni dovute alla mancanza di libertà religiosa sono meno importanti; è davvero importante il diritto delle comunità di mantenere la loro cultura e la loro civiltà; se ciò non avverrà, si produrrà una nuova forma di scontro di civiltà distruttivo per l’umanità”.

Ecco perché non bisogna abbassare la guardia. In questa come in altre occasioni il contrasto all’omofobia e alla misoginia sono solo un pretesto, nobili concetti rivestiti con la suadente narrativa del politicamente corretto  e usati a mo’ di scudi umani per puntare al vero obiettivo: cambiare la percezione sociale dell’omosessualità. E non va bene. #restiamoliberi.

Foto Ansa

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