Kebab staliniano «con doppia carne»

Un kebab a nord di Mosca in cui servono un piatto «staliniano con doppia carne», o il «Berija con salsa tkemali», consegnati da camerieri con l’uniforme dell’NKVD (il famigerato Commissariato del popolo agli Interni d’epoca sovietica) che invitano ad assaggiare le specialità del locale, lo «Stal’in Doner». Aperto da Stanislav Voltman all’inizio di gennaio, dopo aver servito 200 persone ha attirato l’attenzione non solo dei media, ma anche della polizia che l’ha fatto chiudere, almeno per ora.

«Non avremmo saputo nulla di Stanislav Voltman, classe 1993, originario di Kuvandyk, regione di Orenburg, ex seminarista, se non avesse deciso di fare qualche soldarello a Mosca», ha scritto il pubblicista ortodosso Andrej Vasenev. «Stalin è un marchio che tira, ed è assolutamente gratuito. Che ci vuole per averlo? La voglia di guadagnare un po’ di soldi e un pizzico di cinismo».

«Questa idea mi è venuta quando vivevo ancora ad Orenburg – ha spiegato il giovane imprenditore. – Riguardo a Stalin, per me era un modo per recuperare tutti gli anni  in cui mi sono interessato al personaggio, e tuttavia non sono un suo fan e non è il mio idolo. Non lo esalto e non lo demonizzo: simili personalità non si possono misurare con le categorie del “tutto bene” o “tutto male”, c’è sempre una zona grigia (…). Non sono un comunista né un liberale, non ho niente a che fare con la politica. Non avevo intenzione di offendere nessuno, perciò ho usato un design il più neutro possibile». Su questo, qualche dubbio c’è, prima di tutto la pagliacciata con le pseudo-divise, e lo slogan in bella vista «la vita è diventata migliore, la vita è diventata più allegra», pronunciato da Stalin nel ’35 mentre procedevano le epurazioni politiche. Anche la faccenda della zona grigia sembra appiccicata per relativizzare bene e male.

L’apertura del locale non è caduta nel vuoto: «In un paio di giorni tutta la Russia sapeva di me, non mi aspettavo un tale afflusso di tv, giornalisti», ha detto Voltman. Ma dài?!…
Convocato dalla polizia, gli è stato ordinato di togliere l’insegna e tutto il resto, altrimenti l’avrebbero fatto loro, «con o senza di te». «Opero unicamente nell’ambito della legislazione russa, quindi perché devo rimuovere qualcosa?» – si è difeso l’imprenditore.

E qui sta una delle questioni fondamentali. Vari media si sono limitati al sarcasmo, tipo: immaginatevi a Berlino un kebab «Da Hitler», con i camerieri in divisa grigia… Voltman respinge queste critiche proprio sulla base della legge: mentre Hitler là è fuorilegge, Stalin in Russia è tenuto in grande considerazione anche nelle alte sfere.
Secondo il direttore dell’associazione Memorial «per una persona che abbia un normale senso etico e morale è del tutto evidente che non si possa attribuire a caso il nome di Stalin o di Hitler».

«È una situazione paradossale – ha osservato il pubblicista Andrej Archangel’skij: –  siamo costretti a difendere il diritto di proprietà privata, il diritto a svolgere un’attività indipendente, a difendere i diritti di uno stalinista». E l’intervento della polizia è coerente con la linea della politica culturale che tende ad appropriarsi delle figure del recente passato e a disporre arbitrariamente della memoria storica. Secondo Archangel’skij, è come se avessero voluto far capire che «nessuno ha il diritto di prendere l’iniziativa nel caso del nostro caro Stalin, nessuno è autorizzato, lo si può fare solo con il nostro permesso».

Le autorità russe condannano le repressioni staliniane ma allo stesso tempo coltivano l’epos del Generalissimo che ha portato alla vittoria sul nazismo, e mentre gli eredi delle vittime del Padre dei Popoli attendono ancora il risarcimento promesso, al commissariato di Chimki fa bella mostra di sé il ritratto di Jagoda, l’ex-capo dell’NKVD, come se facesse parte dei ritratti di famiglia, come se l’attuale milizia fosse semplicemente l’«erede» degli organi repressivi di allora.

Dal sondaggio del Centro Levada dell’aprile 2019 emerge la percentuale record di apprezzamento nei confronti di Stalin (70% degli intervistati), e oltre un centinaio di statue e statuette sopravvivono in tutta la federazione, molte delle quali erette nell’ultimo ventennio.

Dalla banalità del male e le sue drammatiche implicazioni, qui con lo «Stal’in doner» siamo precipitati nella sua grottesca banalizzazione, nella migliore delle ipotesi per un’ingenua operazione di marketing. Basterebbe una visita al Museo del GULag, nella stessa Mosca, per farti passare la voglia di assaggiare un kebab «staliniano, con doppia carne».

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