José Sanchez Del Rio e i martiri guerrieri

La canonizzazione del giovane cristero messicano riapre il dibattito sulla liceità per i cattolici di imbracciare le armi.

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Dopo averlo percosso e seviziato, i soldati gli strapparono la pelle delle piante dei piedi e vi gettarono sale. Poi lo fecero camminare a piedi scalzi fino al cimitero, e lì lo uccisero con un colpo di pistola mentre continuava a gridare «viva Cristo Re! Viva la Madonna di Guadalupe!». Era il 10 febbraio 1928, e José Sanchez Del Rio non aveva ancora compiuto 15 anni. Domenica 16 ottobre papa Francesco lo proclamerà santo, dopo che al ragazzino messicano trucidato dai soldati del presidente massone Plutarco Elías Calles sono stati riconosciuti due miracoli, il secondo dei quali avvenuto nel 2008: una bambina malata di Tbc e colpita da ictus guarì inspiegabilmente. Nel 2004 Giovanni Paolo II aveva emesso il decreto della sua beatificazione e l’anno seguente, sotto Benedetto XVI, era stato beatificato insieme ad altri 11 martiri assassinati negli anni della persecuzione religiosa in Messico «in odio alla fede», come ebbe cura di sottolineare il Papa, «cristiani attivamente impegnati nella difesa della libertà religiosa e della Chiesa».

Un “normale” martirio, dunque, e una normale procedura che ha portato al riconoscimento della santità? Decisamente no: il piccolo José non è stato una vittima inerme, faceva parte dell’esercito dei cosiddetti “cristeros”, i messicani di ogni classe e ceto sociale che nel 1926 insorsero in armi contro il governo che aveva soffocato la libertà religiosa dei cattolici, e che per tre anni tennero in scacco le superiori forze avversarie, in una guerra civile che causò circa 100 mila morti, senza contare le vittime indirette. José Sanchez Del Rio voleva poter combattere armi alla mano, come due suoi fratelli più grandi che si erano arruolati, ma a causa della giovane età dovette accontentarsi di fare l’aiutante di campo di un generale ribelle e poi il portabandiera. Partecipò però armato di fucile alla battaglia che si concluse con la sua cattura e col successivo strazio. Una foto color seppia lo ritrae con la sua arma e una bandoliera piena di proiettili a tracolla, lo sguardo fiero e il mento sollevato.

La canonizzazione di un minorenne che morì partecipando a una lotta armata in nome della fede cristiana riapre il mai sopito dibattito su argomenti che non passeranno mai di moda: il diritto di cristiani e non cristiani alla ribellione contro un governo tirannico, la liceità o meno del ricorso alle armi, le condizioni per la “guerra giusta”, ecc. Alcuni vorrebbero dichiarare chiuso il discorso, evidenziando che se ancora nel 1944 il gesuita Angelo Brucculeri elencava le cinque condizioni per la “guerra giusta” secondo la dottrina tradizionale cattolica (in latino: auctoritas principis, iusta causa, ultima ratio, recta intentio, iustus modus), già nel 1963 nella Pacem in Terris Giovanni XXIII scriveva che «riesce quasi impossibile pensare che nell’era atomica la guerra possa essere utilizzata come strumento di giustizia». Ma quel «quasi» apre un varco nel Mar Rosso del “no” alla guerra in ogni caso, nel quale hanno cercato di infilarsi più volte i patriarchi delle Chiese orientali aggredite dall’Isis, i quali a più riprese e a più voci hanno invocato un intervento militare internazionale che rendesse giustizia alle vittime dei jihadisti di al-Baghdadi. È possibile che papa Francesco colga l’occasione della canonizzazione di José Sanchez Del Rio per tornare sull’argomento. Nel frattempo Paolo Valvo, un giovane storico milanese, ha dato alle stampe un volume dal titolo Pio XI e la Cristiada, edito da Morcelliana, che rende conto del tormentato dibattito e delle oscillazioni di linea all’interno della Curia vaticana al tempo di papa Achille Ratti, colui che si trovò a vivere negli anni della persecuzione anticattolica in Messico e Spagna e dell’ascesa dei due totalitarismi, quello comunista e quello nazista. Senza dimenticare i complicati rapporti col regime fascista in Italia, col quale Pio XI concluse sì il Concordato nel 1929, ma anche esecrò pubblicamente dopo la promulgazione delle leggi razziali nel 1938.

Il Papa solidale coi perseguitati
Sintetizzando la sostanza di un libro di 540 pagine, elaborato a partire dai documenti che gli archivi vaticani hanno reso disponibili nel 2006, si può dire che il Papa e i suoi successivi segretari di Stato non hanno mai messo in dubbio il diritto dei cattolici messicani di agire collettivamente contro il loro governo perché ritirasse i suoi provvedimenti liberticidi. Non hanno mai approvato apertamente la lotta armata ma non l’hanno nemmeno condannata, e hanno infine cercato di favorire una soluzione negoziata del conflitto non per un’ostilità di principio al ricorso alle armi da parte dei cristiani, ma per motivi pragmatici legati alla difficoltà pratica di vincere una guerra contro forze superiori e dunque alla previsione che, al termine della guerra, le condizioni di vita e di libertà religiosa per i cattolici sarebbero state peggiori che all’inizio. Nel corso della crisi Pio XI scrive ben tre encicliche e una lettera apostolica sulla situazione che il Messico vive. In esse ha parole molto dure per il governo che opprime i cristiani, e molto solidali coi perseguitati, ma non si espone mai sulla delicata questione della resistenza armata, che pure era in corso e stava causando migliaia di vittime. È solo nella più tardiva delle encicliche, la Firmissimam constantiam, pubblicata nel 1937, che Pio XI si esprime esplicitamente sui diritti politici dei cattolici e sulla questione del ricorso alle armi. L’enciclica mira principalmente a perorare l’importanza e a ribadire la priorità che i cattolici messicani dovranno dare all’Azione Cattolica, la realtà creata da Pio XI come associazione privilegiata per la formazione del laicato cattolico. Ma egli non si tira indietro quando si tratta di giustificare l’attivismo politico dei cristiani di fronte all’ingiustizia.

«(…) Deve peraltro ammettersi», vi si legge, «che la vita cristiana, per svolgersi, ha bisogno pure di ricorrere a mezzi esterni e sensibili; che la Chiesa, essendo una società di uomini, richiede, rispetto alla naturale esigenza della vita e del suo necessario incremento, una legittima libertà d’azione, e che i suoi fedeli hanno diritto di trovare nella società civile possibilità di vivere in conformità ai dettami della loro coscienza. È quindi naturale che, quando le più elementari libertà religiose e civili vengono impugnate, i cittadini cattolici non si rassegnino senz’altro a rinunziarvi. Tuttavia la rivendicazione anche di questi diritti e di queste libertà potrà essere più o meno opportuna, più o meno energica, a seconda delle circostanze. Voi (papa Ratti si rivolge ai vescovi messicani, ndr) avete più di una volta ricordato ai vostri fedeli che la Chiesa è fautrice di ordine e di pace, anche a costo di gravi sacrifici, e che condanna ogni ingiusta insurrezione e violenza contro i poteri costituiti. D’altra parte fra di voi si è pure detto che, qualora questi poteri insorgessero contro la giustizia e la verità al punto di distruggere le fondamenta stesse dell’autorità, non si vedrebbe come dover condannare quei cittadini che si unissero per difendere con mezzi leciti ed idonei se stessi e la Nazione, contro chi si vale del potere per trarne a rovina la cosa pubblica. Se la soluzione pratica dipende dalle circostanze concrete, dobbiamo tuttavia da parte Nostra ricordarvi alcuni princìpi generali, da tener sempre presenti». Segue un elenco simile a quello del padre Brucculeri. E un’importante precisazione: «L’uso di tali mezzi e l’esercizio dei diritti civici e politici nella loro pienezza, abbracciando anche problemi di ordine puramente materiale e tecnico, o di difesa violenta, non entrano in alcun modo nei compiti del clero e dell’Azione Cattolica come tali, benché ad essi appartenga preparare i cattolici a far retto uso dei loro diritti ed a propugnarli per tutte le vie legittime, secondo l’esigenza del bene comune. (…) Del resto, questa stessa attività civile dei cattolici messicani, svolta con uno spirito così nobile ed elevato, otterrà risultati tanto più efficaci quanto più i cattolici stessi avranno quella visione soprannaturale della vita, quella educazione religiosa e morale e quello zelo ardente per la dilatazione del Regno di Cristo che l’Azione Cattolica si propone di dare». Quel che più colpisce della posizione di Papa Ratti è che combina una lucida coscienza dell’inadeguatezza del laicato cattolico, in questo caso messicano, che ha bisogno dell’opera di formazione religiosa e umana dell’Azione Cattolica, col riconoscimento pieno e inequivoco dell’autonomia del laicato, che arriva fino al diritto alla lotta politica e all’insurrezione, se esistono le condizioni lecite.

L’arma dell’apostolato
Se sull’opportunità della rivolta cristera Pio XI può avere avuto un’opinione esitante per tutta la durata della crisi militare, approdando poi alla convinzione che fosse controproducente a partire dal 1929, sulla sua liceità non ha mai avuto dubbi, così come sulla distinzione di compiti e di vocazione fra il laicato in generale da una parte, la Chiesa gerarchica e l’Azione Cattolica dall’altra. Il materiale messo in luce da Valvo con la sua ricerca è illuminante. Una nota del 7 giugno 1928 del vescovo di Morelia monsignor Leopoldo Ruiz y Flores, demiurgo degli accordi che misero fine all’insurrezione nel 1929, recita: «Mi disse il Papa: “Io non ho condannato, né posso condannare secondo la dottrina di san Tommaso, la difesa armata, ma non posso né devo approvarla o incoraggiarla; e questo è il dovere dei Vescovi e dei Sacerdoti”». E ancora più istruttivo è un intervento del cardinal Eugenio Pacelli, allora segretario di Stato, a conclusione di una riunione della Congregazione degli Affari ecclesiastici straordinari nel dicembre 1931. Nella riunione si sono affrontati punti di vista opposti, perorati dai diversi cardinali: alcuni favorevoli alla ripresa della lotta armata perché il governo non stava rispettando gli accordi sottoscritti, altri contrari per varie ragioni i quali chiedevano un’aperta sconfessione dei cattolici messicani che avessero ripreso le armi. A tutti Pacelli risponde trasmettendo la posizione che il Papa gli ha espresso nel corso di un’udienza personale poche ore prima: «La Santa Sede non può che benedire e incoraggiare tutti quelli che difendono i diritti di Dio e della Religione; però nelle condizioni attuali non può né autorizzare né incoraggiare la resistenza armata. Nelle condizioni attuali: perché, se vediamo la storia, i Pontefici hanno più volte non solo autorizzato, ma anche promosso le crociate esterne ed anche interne, come le guerre contro i Turchi, gli eretici. È vero che si difendeva anche la civiltà; ma Pio V, che ha vinto la battaglia di Lepanto, è quello che ha fatto per la guerra contro i Turchi quello che ha fatto Pio IV per il Concilio di Trento. Ma nelle condizioni attuali non può la Santa Sede né autorizzare né incoraggiare, non vogliamo dire disapprovare. Del resto unione, tutta l’unione possibile, nella varietà delle condizioni, e coltivare molto bene l’Azione Cattolica e usufruire bene l’Azione Cattolica, la quale invece di armare di spada e di moschetto, arma delle armi dell’apostolato».

Per tutta la durata del suo pontificato Pio XI darà prova che l’opposizione dei cristiani all’uso delle armi non può essere una questione di principio, ma deve essere sempre valutata in termini di realismo. Nel discorso davanti al Sacro Collegio il 24 dicembre 1934 si schiera enfaticamente in difesa della pace: «Se veramente si vuole la pace, Noi invochiamo la pace. Ma se per avventura ci fosse chi – per supposizione impossibile, per un fenomeno nuovo di manìa suicida e omicida delle nazioni – proprio preferisse non la pace ma la guerra; allora Noi abbiamo un’altra preghiera che, purtroppo, diventa doverosa, e dobbiamo dire a Dio benedetto: dissipa gentes qui bella volunt!». Cioè: disperdi le persone che vogliono le guerre.

Folgori e statue
Quando nel marzo 1936 giunge la notizia che Hitler ha rimilitarizzato la Renania, la reazione di Pio XI è ben diversa, secondo quanto Valvo ricostruisce: «È emblematico lo sfogo del pontefice riferito dall’ambasciatore francese presso la Santa Sede, al quale Pio XI si rivolge polemicamente, per chiedergli se non ci siano più uomini come il generale Foch, rimpiangendo che la Francia non abbia mobilitato immediatamente 200 mila uomini contro Hitler, cosa che le avrebbe permesso di rendere un “immenso servigio al mondo intero”».

Col suo rispetto per l’autonomia del laicato, trent’anni in anticipo sul Concilio Vaticano II, Pio XI era quasi sicuramente d’accordo col commento di G.K. Chesterton, tratto da Ortodossia, che Valvo propone in apertura del suo libro: «È vero che la Chiesa ha ordinato ad alcuni uomini di battersi e ad altri di non battersi, ed è vero che quelli che si battevano erano come folgori, quelli che non si battevano come statue. Tutto questo significa semplicemente che la Chiesa ha voluto servirsi dei suoi superuomini come dei suoi tolstoiani. C’è qualcosa di buono nella vita guerresca, per cui molti uomini eccellenti hanno scelto di essere soldati; c’è del buono nella idea della non-resistenza, per cui altri hanno preferito essere quaccheri. Tutto quello che la Chiesa fece (fino al punto in cui credette di farlo) fu per impedire che una delle due cose cacciasse l’altra: dovevano esistere fianco a fianco».

@RodolfoCasadei

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