Joker: un film cupo, pessimista, crudele e cattivo

Sono almeno tre i riferimenti all’opera di Alan Moore che possiamo rintracciare nel fresco Leone d’Oro 2019: la folla che veste maschere da clown ricorda quella che sfilava vestita da Guy Fawkes in V for Vendetta (più il film che il fumetto, a dire il vero); il concetto per cui, in un mondo impazzito, essere il comico sia l’unica cosa sensata (vedi l’iconoclasta Comedian di Watchmen); e ovviamente The Killing Joke che, nel 1988 con i disegni di Brian Bolland, mostrava le origini di Joker come stand-up artist fallito travolto da una sfortunata pessima giornata. Nonostante Todd Phillips, il regista, abbia detto di non aver usato fumetti come fumetti, è chiaro come Joker peschi a piene mani nel medium delle nuvolette per raccontare, ancora una volta, la realtà che ci circonda. E lo fa in maniera netta, crudele e spietata.

Contraddistinta continuamente da un cupo ed incessante tono di contrabbasso, la pellicola ci porta a Gotham City dei primi anni 80, ricolma di spazzatura fisica e umana. Uno scenario derelitto in cui le anime vivono in palazzoni malconci e viaggiano in metropolitane sporche, ai confini della città. Una periferia gigantesca e brulicante, un formicaio di violenza in cui tutti sono impuniti, e la violenza è l’unico modo di emergere. Arthur Fleck, ovvero il gigantesco Joaquin Phoenix sulle cui spalle si regge il film, è un magro pagliaccio, perseguitato da un disturbo che lo porta a ridere in maniera ossessiva e drammatica, soprattutto nei momenti meno opportuni. Lo scontro con una banda di teppisti, il timido sbocciare di un sentimento, la possibilità di una rivalsa, il possesso di un’arma: sono tutte scintille che precipitano Arthur in un abisso di violenza senza senso, che si abbatte contro chi lo ha danneggiato, fino a diventare cieco e senza senso.

L’immensa Ghotam City abbraccia lo spettatore in una violenta morsa, e non ci sono momenti di gioia che possano stemperare l’esistenza. Qualsiasi cosa innocente, come un lieve passo di danza, si trasforma in una potenziale arma, una ballata di sofferenza e di dolore. Molto interessante la presenza di Robert De Niro in un ruolo opposto a quello che interpretava in Re per una Notte di Scorsese, cui tutta la presente pellicola fa riferimento. La tv diventa uno strumento terribile, col quale poter sopraffare i deboli: rappresenta la viralità degli attuali social, che espongono al pubblico ludibrio vite indifese. Ma lo stesso schermo, in questo caso quello cinematografico, può essere usato anche a fin di bene, come nella bella scena ambientata al cinema durante la proiezione di Tempi Moderni di Chaplin.

Il clown Arthur Fleck è un piccolo ingranaggio del ciclopico meccanismo umano, impossibile da fermare se non con la violenza. Il finale tende verso l’azione delle masse, mascherate come turbe di cosplay, incomprensibili agli occhi del benestante Arthur Wayne, e ad una grande lotta per le strade, fatta di violenza e di incendi. Il fuoco non è però purificatore, perché il sorriso di sbieco ha contagiato tutti, un’umanità incapace di comunicare e ormai persa nel vuoto dell’esistenza. Un film cupo, pessimista, crudele, cattivo, che svela il volto del male, non lo giustifica ma lo presenta come inevitabile. Mancano i giustizieri, mancano i tutori della legge. Ma sappiamo che l’ora buia precede sempre l’alba. Batman tornerà a volare.

Joker, 129’, di Todd Phillips, con Joaquin Phoenix, Robert De Niro e Zazie Beetz, dal 28 settembre nei migliori cinema.

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