Jobs Act, Ichino: «I sindacati come le agenzie per il lavoro? Non hanno le competenze»

Il senatore Pd: «Il servizio di ricollocamento che si pensa di affidare ai confederali richiede know-how che non hanno. Meglio sarebbe un'agenzia "esterna" magari in accordo con le associazioni datoriali»

Il governo continua a lavorare sui decreti attuativi del Jobs act da presentare entro maggio, in particolare sulle proposte per la riforma delle politiche attive. Fa molto discutere una delle idee allo studio dell’esecutivo: concedere anche ai sindacati la possibilità di svolgere la ricerca di lavoro per i disoccupati, entrando di fatto nel mercato riservato sino ad oggi ai centri per l’impiego e alle agenzie per il lavoro, come Gigroup o Manpower. I sindacati – secondo il progetto in studio – riceverebbe un voucher per ogni impiego, con il contratto a tutele crescenti, che riuscirebbero a trovare: ciò per i confederali significherebbe una ventata di introiti nuovi. Un no a questa idea arriva dal senatore Pd Pietro Ichino. «Non mi sembra che i sindacati possano candidarsi a svolgere il servizio» spiega a tempi.it.

Come funzionerebbe la proposta allo studio del Governo sui sindacati?
Il servizio di assistenza intensiva a chi cerca un nuovo posto di lavoro, oggetto del contratto di ricollocazione, cui è dedicato l’articolo 17 del decreto sul trattamento di disoccupazione, richiede competenze e know-how specifici, di cui i sindacati in quanto tali non sono dotati. L’accreditamento dei sindacati al servizio di ricerca del lavoro presuppone inoltre che l’operatore abbia accumulato un minimo di esperienza specifica nell’esercizio di questa attività.

In termini di efficienza per le politiche attive lei, dunque, non è d’accordo con questa proposta?
Per il motivo che ho appena detto, non mi sembra che i sindacati possano candidarsi a svolgere il servizio che è oggetto del contratto di ricollocazione. Altro è il discorso sulla possibilità che un sindacato promuova la costituzione di un’agenzia con quelle caratteristiche, magari in accordo con la sua controparte imprenditoriale e in forma di ente bilaterale.

Si dibatte in questi giorni sulle conseguenze politiche di questa proposta. Quali potrebbero essere le ripercussioni politiche di questo eventuale nuovo compito sui sindacati?
Una cosa è certa: il movimento sindacale è nato prestando assistenza ai lavoratori nel mercato del lavoro. Le prime Camere del lavoro e le Leghe bracciantili, alla fine dell’Ottocento e nei primi due decenni del Novecento, erano anche uffici di collocamento. E la Società Umanitaria, che ha svolto un ruolo tanto importante nel movimento operaio lombardo, era una modernissima “agenzia del lavoro”, che offriva servizi di collocamento e al tempo stesso di formazione professionale mirata agli sbocchi occupazionali effettivamente esistenti. I sindacati devono riscoprire, a un secolo di distanza, questa loro vocazione originaria di servizio al lavoratore anche nel mercato, e non solo nel posto di lavoro. Ma il servizio che è oggetto del contratto di ricollocazione è una cosa diversa, di natura specialistica: non può essere svolto dal sindacato in quanto tale.

Se la proposta divenisse legge e i sindacati dicessero di sì, si contraddirebbero con il niet già dato al Jobs act. Dall’altra parte, se dicessero di no, perderebbero flussi di denaro utili alle loro casse e magari anche possibili nuovi iscritti, rimanendo nell’opinione pubblica troppo distanti dai bisogni dei disoccupati. Su questo terreno secondo lei potrebbero generarsi delle divisioni interne ai sindacati o tra di essi?
Questa possibilità sicuramente c’è. Però credo che le confederazioni maggiori possano svolgere un ruolo tanto più positivo ed efficace, di servizio ai lavoratori nel mercato del lavoro, quanto più lo svolgeranno in modo unitario.

Foto Cgil da Shutterstock

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