Io, vescovo, che vivo da sfollato in mezzo alla mia gente

Spiegare a chi ha perso tutto che «Dio ama la vita e non ha creato nulla di male». Dopo il sisma la nuova drammatica missione di monsignor Brugnaro, vescovo di Camerino

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – «La situazione è drammatica e vivo anch’io da sfollato, provando tutte le difficoltà delle altre persone. Di questo sono contento, perché non avendo nessuna forma di privilegio posso capire meglio il disagio della mia gente». Monsignor Francesco Giovanni Brugnaro, vescovo di Camerino-San Severino Marche, ha 73 anni e l’arcivescovado della sua diocesi non è più agibile. La “sua gente” sono gli abitanti di tante città del Maceratese, tra cui Ussita, Visso, Castelsantangelo sul Nera, epicentro delle violente scosse del 26 ottobre, colpite anche dal terremoto del 30, che ha danneggiato e ferito anche quei muri e quelle pietre che erano rimasti in piedi dopo il sisma del 24 agosto. Restano comuni fantasma dove quasi tutte le case sono inagibili, i borghi svuotati e i centri storici rovinati se non cancellati.

A Visso il museo che ospita molti manoscritti di Giacomo Leopardi è danneggiato e le poesie sono state trasferite a Bologna; a Camerino, sede di una storica università, i collegi sono inagibili e gli studenti sono scappati. Anche l’arcivescovado non è più abitabile e monsignor Brugnaro è fuggito solo con quello che aveva addosso, lasciando indietro l’abito da vescovo. «La situazione è drammatica», racconta a Tempi da una struttura a sei chilometri da Camerino. «I nostri piccoli paesi sono completamente evacuati. Gli abitanti provano un completo disorientamento e le continue scosse che si susseguono senza posa gettano la gente nella disperazione. Qui ci si chiede: ma se continua così, che cosa ne sarà di noi?».

Per ora è impossibile riprendere quelle piccole attività «nelle botteghe o all’università» così importanti perché «fanno percepire che la vita ricomincia, anche se lentamente». Questo, secondo monsignor Brugnaro, accresce «l’esperienza di solitudine, soprattutto dei tanti anziani che abitavano i nostri centri e che ora si sentono anche esiliati, facendo fatica ad adattarsi alla nuova situazione».

In mezzo a questo dramma, il vescovo insieme ad altri sacerdoti cerca di «portare speranza e solidarietà morale e religiosa visitando gli sfollati». Il suo compito ecclesiale ora è completamente cambiato: «Il nostro dovere è alleviare le sofferenze e soccorrere le urgenze. La nostra è una pastorale dello sfollato: l’obiettivo è far riprendere una vita normale alle persone, anche aiutando le autorità a rimettere in piedi certi servizi, in modo tale che la gente si senta confortata non da promesse, perché il futuro è sempre incerto per tutti, ma da gesti e impegni concreti».

Brugnaro condivide gli stessi disagi della sua gente e anche le stesse difficoltà: «Quando contemplo la città svuotata», continua, «con i monumenti antichi che rappresentano l’identità delle nostre comunità sventrati, i campanili crollati, le opere d’arte espressione della fede autentica di questo popolo rovinate; ecco, in questi momenti sono un po’ spaesato anch’io».

Al vescovo gli sfollati pongono domande di senso davanti alle quali mancano le parole per rispondere: «C’è appena stata la grande lettura del Libro della Sapienza, dove si dice che Dio ama la vita e non ha creato nulla di negativo». Neanche il terremoto? «I cristiani devono avere il coraggio di alzare lo sguardo e affermare: noi siamo cari al Signore. La nostra carne sofferente, soprattutto in questi giorni, è stata assunta da Gesù e anche se noi ora non sappiamo come né perché, Dio ci è vicino. E questo non lo dico io, né la teologia: ce l’ha dimostrato Gesù salendo sulla croce. Ma con quel gesto non ci ha insegnato a soffrire, ci ha detto che il nostro destino non è la morte, ma un amore onnipotente che si prende cura di noi. Quindi, pur con le lacrime agli occhi, non dobbiamo perdere il bene più grande e definitivo, che è la fede e che deve esprimersi attraverso la solidarietà e la fraternità».

Foto Ansa

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