Io sono l’autunno. L’autunno sono io

 

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Mi sono svegliata stamattina con la sensazione che nella mia camera fosse entrato qualcuno. Ma era soltanto il vento, che dalla finestra aperta si era spinto dentro, e gonfiava le tende. Un soffio d’aria quasi fredda, come la mano di un estraneo che ti sfiora all’improvviso. “Io sono l’autunno”, ha detto la folata, imperiosa e breve. E se ne è andata, ansiosa di entrare in altre stanze con le finestre aperte, di avvertire: io sono l’autunno, sono arrivato.

Allora ho richiuso gli occhi e mi sono tirata addosso le coperte, avendo per la prima volta, dopo mesi, freddo. Ho sempre amato l’autunno, la pioggia, le raffiche di vento che trascinano via le foglie fulve, come anime ribelli catturate. Ma quest’anno mi avverto addosso una lama fina, che taglia e ferisce. E nel buio uterino delle coperte penso alla sabbia di questa estate sotto ai piedi, alle due, bruciante come brace; rivedo la linea verde del mare, l’acqua chiara, oasi nell’afa, in cui con sollievo ci si tuffava. Rivedo le pareti di oleandri sgargianti lungo le sterrate in campagna, nel Livornese, risento il ronzio avido dei calabroni sui fiori. Le strade polverose nella siccità, e il disco rosso fuoco del sole che ancora alle nove di sera, calando, non smetteva di abbagliare; la biancheria stesa ad asciugare dietro casa, così asciutta, quasi rigida, all’imbrunire, e profumata, e tiepida ancora.

In realtà, mi dico però, tu non hai mai amato tanto l’estate, il caldo, la luce accecante. E allora com’è che quest’anno settembre ti insinua questo soffio straniero addosso, questa indicibile, quasi, paura?

È che a un certo punto della vita – voltate pagina, ragazzi, queste righe non vi riguardano – ti accorgi che l’autunno comincia a somigliarti: nell’ombra, nel prosciugarsi, nel sentirti spoglia, qualcosa ti è dolorosamente affine. A vent’anni mi inebriavano, le folate di vento e i mulinelli di foglie fiammanti, trascinate via. Ma mi sento foglia, adesso; una foglia, esattamente nel momento in cui è ancora verde, e attaccata al suo ramo, eppure in una notte la linfa nelle vene si è arrestata, e il verde si è impercettibilmente ingrigito.

Poi, oggi nella giornata di pioggia, di nuovo sono stata rincorsa nei pensieri dal ricordo del rosa fulgente degli oleandri, della sabbia ardente, degli ombrelloni sulle spiagge che si aprono come fiori giganti, insieme, al mattino.

Il fatto è, credo, che davvero non siamo fatti per morire; e il cuore, non appena avverte quell’orizzonte inesorabile, anche se ancora lontano, si inclina come una barca nel mare grosso. I campi di girasoli del colore dell’oro, l’aria ebbra di profumi, il canto delle cicale pazze di sole: cos’è l’estate, se non eco e insieme annuncio di un Eden perduto?

Mentre mi dico che oggi potrei dire, in realtà: “L’autunno, sono io”, non smetto di risentirmi addosso i profumi di erba e di mare di questo torrido luglio; ora però non con nostalgia, ma colmi invece di una muta promessa, di un segreto misterioso tesoro.

Foto pioggia da Shutterstock

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