L’indisponibilità della vita nel dialogo tra Giovanni Fornero e monsignor Paglia

Tre osservazioni di metodo e una di contenuto sul dibattito tra il filosofo e il presidente della Pontificia Accademia per la Vita

«Come concepiamo la vita e come concepiamo la morte sono soltanto due aspetti di un atteggiamento di fondo unitario»: così Georg Simmel ha evidenziato l’intrinseca e inscindibile unione tra il sistema di riflessioni etico-giuridiche intorno alla vita e quelle intorno alla morte.

Da ciò si ricava, prima di qualsiasi ponderazione sul merito, un indirizzo metodologico secondo cui, al di là di ogni prospettiva, ciascuno è chiamato alla responsabilità di una coerenza di metodo per affermare il merito della propria visione, poiché soltanto l’unitarietà di senso del metodo adottato può costituire una garanzia adeguata per la solidità della teoria esternata.

L’indisponibilità della vita

Alla luce di ciò, occorre sottolineare la diatriba che da un paio di settimane sta vedendo impegnati Giovanni Fornero, noto allievo di Nicola Abbagnano ed esponente di primo piano di un pensiero laico da sempre aperto al dialogo, nonché autore della recente e corposa monografia dal significativo titolo Indisponibilità e disponibilità della vita: una difesa filosofico giuridica del suicidio assistito e dell’eutanasia volontaria edita per i tipi della Utet, e monsignor Vincenzo Paglia, presidente della Pontificia Accademia per la Vita.

L’affaire ha avuto inizio con le dichiarazioni di monsignor Paglia che nella trasmissione televisiva Rebus ha affermato che «non sono d’accordo con chi dice che la vita è indisponibile, tutt’altro, la vita è mia tanto che ci sono cristiani e non cristiani che danno la propria vita per salvare quella degli altri».

Fornero, quindi, dalle colonne de Il Riformista, dello scorso 20 novembre 2021, ha osservato che sebbene nel merito sia ovviamente del tutto d’accordo con monsignor Paglia, desta stupore che quest’ultimo abbia sostanzialmente e pubblicamente smentito la tradizione della documentazione ufficiale del Magistero su questo punto, ritornando sul tema con un secondo più esteso intervento sulla pagina dell’Associazione Luca Coscioni il 29 novembre 2021.

Eutanasia e accanimento terapeutico

All’intervento di Fornero è seguito quello di Fabrizio Mastrofini (dell’ufficio stampa della Pontificia Accademia per la Vita), sempre su Il Riformista del 25 novembre 2021, in cui l’autore, noto per il suo celebre volume del 2007 dal titolo Ratzinger per non credenti, ha risposto sostenendo che non è vero che per la Chiesa la vita sia indisponibile secondo quanto precisato da Fornero, e che come il Magistero rifiuta l’eutanasia, così rifiuta altresì ogni forma di accanimento terapeutico, suggerendo come sia stato Fornero, invece, a dare una interpretazione erronea delle parole di monsignor Paglia.

Ancora in data 30 novembre 2021 sempre dalle colonne de Il Riformista, Fornero, citando alcuni dei molteplici documenti del Magistero che sanciscono l’indisponibilità della vita, ha replicato a Mastrofini precisando che lo stesso Elio Sgreccia aveva osservato come «nel laico Fornero c’è l’encomiabile sforzo di riprodurre in modo fedele e documentato tutte le posizioni di pensiero, comprese quelle da lui non condivise».

Sul punto, data la delicatezza e l’importanza della questione, dunque, non si possono che effettuare alcune considerazioni proprio alla luce di quel rigore metodologico più sopra auspicato tramite il pensiero di Simmel.

Dialogo tra laici e credenti

In primo luogo: la vicenda è quanto mai paradossale poiché un esponente del mondo cattolico come Paglia esprime una riflessione che nel merito è condivisa da un esponente del mondo laico come Fornero ricordando questo secondo, tuttavia, al primo i fondamentali testi della Chiesa che sembrano essere stati trascurati.

Si evidenzia, insomma, per un verso l’esistenza di quel dialogo fecondo che esiste e dovrebbe sempre esistere tra mondo cattolico e mondo secolare per evitare la settarizzazione di entrambi, ma per altro verso che il mondo cattolico pare abbia perduto – al di là del merito – l’approccio metodologico necessario per affrontare le delicate problematiche quali sono quelle bioetiche.

Il dato magisteriale

In secondo luogo: chiunque all’interno o all’esterno della Chiesa intenda discutere delle posizioni morali cattoliche sui temi bioetici deve necessariamente tener conto del dato magisteriale, poiché, in caso contrario, sarebbe inevitabilmente incombente l’onere di motivare le ragioni di affermazioni che dai testi ufficiali del magistero intendono discostarsi.

La logica, insomma, è del tutto analoga a quella che lega i singoli giudici dello Stato con le pronunce della Corte di Cassazione in tema di diritto: le singole corti si devono attenere ai principi giuridici enunciati dalla Cassazione, ma se intendono discostarsene devono necessariamente motivare tale presa di posizione contraria, cioè esporre il ragionamento logico-giuridico alla base della loro convinzione.

Rovesciamento chiastico

In terzo luogo: nel mondo della secolarizzazione rampante, quale è quello attuale, si osserva, insomma, un rovesciamento chiastico tra il mondo secolare e quello cattolico, in cui il primo ha conservato l’ortodossia metodologica che è sempre stata tipica del secondo, ma si è dissociato dai contenuti morali di questo, mentre il secondo ha acquisito la fluidità dei contenuti morali che ha sempre contraddistinto il primo perdendo per di più il suo tradizionale rigore metodologico.

In questo senso le puntualissime osservazioni di metodo evidenziate da Fornero, pur laico e pur favorevole alla legalizzazione della morte assistita, non possono essere né ignorate né equivocate, se non si desidera tramutare la dottrina morale della Chiesa nell’esatto contrario di ciò che essa ha da sempre insegnato.

Una categoria giuridica

Ciò chiarito sulla dimensione del metodo, occorre una seppur fugace precisazione di merito.

Il paradigma dell’indisponibilità della vita, infatti, non significa né rinnegare la libertà e l’autodeterminazione, come comunemente si reputa all’interno del mondo laico, né, soprattutto, escludere la giustificazione morale del sacrificio individuale secondo quanto ha dichiarato monsignor Paglia nella suddetta trasmissione televisiva.

L’indisponibilità della vita, infatti, è una categoria giuridica che trova la sua giustificazione morale e razionale anche all’interno della tradizione della Chiesa e nei numerosissimi documenti del Magistero sul punto (che evidentemente non sono da circoscrivere soltanto al fine vita) come ha osservato Fornero, ma che nella sua origine e sostanza è di gran lunga più risalente rispetto all’avvento del cristianesimo medesimo, come, tra i tanti esempi possibili, dimostra il codice deontologico pensato dal padre della medicina, Ippocrate, già nel V secolo a.C.

Imitatio mortis

Per converso, l’eticità intrinseca del sacrificio personale al fine di dare la propria vita per gli altri (secondo l’ottica cristiana) non rende la vita semplicemente disponibile, poiché il paradigma sacrificale inscrivendosi nel solco dell’imitatio Christi coinvolge l’intera persona, in anima e corpo, all’interno di quella dimensione escatologica e soteriologica tipica del martirio che, in quanto tale, trascende le mere categorie della disponibilità e dell’indisponibilità della vita.

I martiri, infatti, non hanno semplicemente disposto della propria vita, ma con l’assenso al proprio sacrificio hanno trasceso ogni dimensione giuridica terrena, non disponendo della vita biologica, ma elevando l’intera loro stessa persona nella prospettiva della imitatio mortis del Cristo verso la vita eterna ultraterrena dal Cristo stesso promessa e garantita.

Premesse e conseguenze

In conclusione: la vicenda si offre quale banco di prova ideale per comprendere le tensioni intellettuali che da tempo si stanno venendo a determinare sia nell’ambito cattolico sia nell’ambito secolare, non soltanto sul merito della vicenda del fine vita, della morte assistita, della concezione della vita e della morte, ma anche su come ciascuno dei due schieramenti, secondo la più classica logica della maieutica socratica, possa esser di aiuto all’altro nel ricordare le proprie premesse e le conseguenze delle stesse, cioè, in definitiva, con un richiamo alla coerenza di sé secondo l’imperativo delfico del nosce te ipsum.

Foto Ansa

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