In Germania si dibatte sul sesso con gli animali. L’ultima frontiera di una società sempre più disumana

Che la Germania sia sul punto di mettere fuori legge e punire il sesso fra uomini e animali non è cosa che debba necessariamente attirare l’attenzione, ma il dibattito fra favorevoli e contrari e le motivazioni che vengono addotte da una parte e dall’altra sì, meritano attenzione, e anche parecchia. Perdonate se introduco un argomento del genere, che comprensibilmente suscita ribrezzo in moltissimi, reazioni divertite e commenti salaci in altrettanti. Il fatto è che oggi le perversioni sono diventate l’ambito eletto per la comprensione dei valori fondanti della cultura dominante. Non che confinate al patologico, si rivelano esemplari e chiarificatrici dei paradossi di un’intera civiltà.

Dicevo dunque che il passaggio dal permissivismo al proibizionismo, con la proposta presentata al Bundestag dalla Commissione parlamentare sull’agricoltura che prevede multe fino a 25 mila euro per chi abusa sessualmente di animali (ed estese anche agli eventuali prosseneti, a coloro cioè che dovessero procurare a pagamento bestiole per il piacere degli snaturati), di per sé non attira necessariamente l’attenzione. Perché in Europa le legislazioni in materia variano molto da paese a paese, e all’interno dello stesso paese cambiano anche a distanza di non molti anni. Il caso della Germania è certamente il più interessante, perché lì la zoorastia (chi ha studiato il greco antico comprende perfettamente la dotta definizione, in Italia spesso banalizzata in “bestialismo”) è stata legalizzata nel 1969, lo stesso anno in cui venivano depenalizzati i rapporti fra persone dello stesso sesso. Ebbene sì, nel clima sessantottino del pieno diritto individuale al piacere, omosessualità e zoofilia erotica sono state legittimate nella stessa ondata legalizzatrice. Che sdoganava gli atti sessuali con animali purché questi ultimi non soffrissero “un significativo danno”. A qualcuno l’abbinamento omosessuali/amanti dell’eros bestiale potrà dispiacere, ma la cronologia è la cronologia.
Meno di cinquant’anni dopo, le lancette del pensiero dominante segnano un’altra ora, e oggi la priorità è data alla protezione degli animali, che non devono in alcun caso essere sottoposti a pratiche per le quali non hanno dato il loro consenso, e che vanno dunque considerate come una violenza presunta.

Anche la progressista Olanda, dove pare che la pratica fosse diffusa al punto da attirare appassionati dall’estero, ha proibito il sesso con animali per proteggere questi ultimi da quelli che sono automaticamente considerati maltrattamenti in tempi molto recenti: parliamo del 2008.
Nelle secolarizzate Danimarca e Svezia, come pure in Belgio per quello che ne sappiamo, la pratica resta tuttora legale malgrado si levino le voci contrarie degli animalisti, ma anche nella conservatrice Russia di Putin non è proibita.
Nel Regno Unito l’evoluzione giuridica è andata nel senso della tolleranza: fino al 2003 per maltrattamenti sessuali ai danni di un animale si poteva essere condannati anche alla prigione a vita, dopo quella data la pena massima è stata ridotta a due anni di carcere.
In Svezia l’Agenzia per il benessere degli animali è intervenuta nel 2005 con un rapporto in cui si documentavano 119 casi di sesso uomo-animale fra il 2000 e il 2004, in grande maggioranza riguardanti cavalli. In alcuni di essi si erano registrati maltrattamenti: «Alcuni animali hanno sofferto ferite ai genitali a causa di penetrazioni vaginali e anali, come pure a causa di coltellate». Nonostante l’evidenza del sadismo l’agenzia non ha chiesto la messa fuori legge della pratica, ma soltanto provvedimenti contro le crudeltà a danno degli animali. In Svezia la zoofilia erotica è stata legalizzata nel lontano 1944. Anche lì, guarda caso, contemporaneamente alla decriminalizzazione degli atti omosessuali.

La cosa veramente interessante, dicevamo, è il dibattito fra i favorevoli e i contrari. Anzitutto perché dimostra che, per quanto rara, la pratica esiste, sia nelle forme crude e talvolta cruente che sconvolgono la sensisibilità comune, sia, più spesso, secondo modalità soft (ma permetteteci almeno a questo proposito di non entrare nei dettagli, e se proprio volete lavorate voi di fantasia per immaginare quello che può succedere di sessualmente rilevante fra un uomo o una donna e una bestia, maschio o femmina, al di fuori della penetrazione vera e propria). E poi soprattutto perché seguendo il dibattito si scopre che proibizionisti e liberalizzatori alla fine poggiano le loro argomentazioni sugli stessi valori moderni e democratici. Infatti alle associazioni per gli animali che caldeggiano la nuova normativa sulla base dell’idea che gli animali vanno protetti dagli abusi, risponde Michael Kiok presidente di Zeta, acronimo tedesco che significa “Impegno zoofilo per la tolleranza e l’informazione”: «È assurdo che ogni atto sessuale con animali sia punito senza la prova che l’animale ne abbia patito un danno». In Svezia la stessa agenzia che nel 2005 aveva chiesto misure contro il sadismo sugli animali ma non un divieto completo ai rapporti sessuali con loro, aveva chiamato in causa anche le sofferenze psicologiche delle povere bestie: «Anche se è difficile stabilire il grado di sofferenza psicologica di un animale, è probabile che sperimenti disagio o sofferenza psicologica anche in casi in cui non c’è prova di danni fisici».

Ma oggi l’argomento proibizionista delle associazioni per la protezione degli animali non pesca nei danni fisici e psicologici, questi ultimi difficilmente dimostrabili, ma su un giudizio morale relativo all’atto: il sesso con animali equivale sempre a uno stupro, anche quando non implica traumi fisici o di altra natura alla bestia, perché avviene in assenza del suo consenso. Il divieto viene collocato allo stesso livello di quello relativo al sesso pedofilo: così come ogni contatto sessuale con un bambino va considerato violenza sessuale o stupro e punito come tale in forza del fatto che il bambino non può esprimere un consenso valido, per la stessa ragione la zoofilia erotica merita di essere interdetta. Davanti a questo ragionamento la gente come Kiok non si dà affatto per vinta: «Noi trattiamo gli animali come partner, e non come strumenti di gratificazione sessuale», protesta. «Non li costringiamo a fare nulla. La disponibilità dell’animale è più facile da capire di quella delle donne», è lo sfregio finale.

L’argomento del consenso non è affatto la briscola che chiude ogni discussione. Intanto c’è da chiedersi se il sesso fra animali preveda il consenso: la gallina che cede agli assalti del gallo ha espresso una forma di consenso o si sta semplicemente sottomettendo a chi è più forte di lei? Molte copule animali sono veri e propri stupri durante i quali il maschio immobilizza la femmina fino a quando non ha soddisfatto le sue voglie. Altre sono apparentemente l’esito di corteggiamenti maschili o di comportamenti seduttivi femminili che potrebbero essere interpretati come forme di galanteria e di civetteria. Se gli animali sembrano a volte apprezzare il rapporto sessuale, a volte subirlo, si può immaginare che la stessa situazione ambivalente possa ripetersi nei riguardi degli esseri umani. Dunque il “consenso” dell’animale al sesso con gli umani andrebbe appurato di volta in volta, prendendo nota delle reazioni, di soddisfazione o di disagio, che lo stesso manifesta. La differenza fra un cane che fa le feste al padrone oppure invece cerca di morderlo, magari proprio “lì”.

«Ma i rapporti fra esseri umani e bestie sono contro natura!», potrebbe tuonare a questo punto un osservatore. Sì, ma solo in una prospettiva teologica e morale creaturale. Il problema delle odierne leggi sulla protezione degli animali è che prescindono completamente sia dalla tradizione religiosa che dalla filosofia kantiana che distingue fra esseri moralmente responsabili ed esseri non dotati di coscienza morale. L’essere umano creato da Dio per governare il Creato ha dei doveri che riguardano la sua posizione gerarchica superiore fra gli esseri viventi e il significato della sua propria sessualità, simbolicamente diversa da quella degli animali anche quando biologicamente pare essere la stessa cosa.
In una visione puramente naturalistica della realtà il sesso fra specie diverse non è affatto un tabù, ma un’evenienza registrata dagli zoologi come dagli osservatori occasionali. La maggior parte di questi connubi si rivelano sterili, ma non sempre: la lunga lista degli ibridi, animali generati dalla copula fra individui di specie diverse, testimonia che la pratica non è affatto contro natura nel senso naturalistico dell’espressione. Tigoni (progenie di maschio di tigre e femmina di leone), ligri (maschio di leone + femmina di tigre), leoponi (maschio di leopardo + femmina di leone), bardotti (maschio di cavallo + femmina di asino), zibralli (maschio di zebra + femmina di cavallo), cama (maschio di cammello + femmina di lama), wholphin (maschio di pseudo-orca più femmina di delfino), ecc. non sono frutto di fantasia, ma realtà zoologiche.

Come ha scritto il sulfureo filosofo australiano Peter Singer (quello che teorizza la legittimità morale dell’infanticidio perché nei primi mesi il neonato non sarebbe un essere umano in senso pieno), «l’esistenza di contatti sessuali fra esseri umani e animali e la forza del tabù contro di essi mostra tutta l’ambivalenza della nostra relazione con gli animali. Da una parte, soprattutto all’interno della tradizione giudaico-cristiana, ci siamo sempre concepiti diversi dagli animali e abbiamo immaginato che un ampio e incolmabile golfo ci separasse da loro. Solo gli umani sarebbero fatti a somiglianza di Dio. D’altra parte però ci sono tanti modi in cui non possiamo fare a meno di comportarci come fanno gli animali, o almeno come fanno i mammiferi. Il sesso è uno dei più ovvii. Copuliamo come loro. Anche loro, come noi, hanno peni e vagine, e il fatto che la vagina di una vitella possa rivelarsi sessualmente soddisfacente per un uomo dimostra quanto i nostri organi siano simili. Il tabù sul sesso con gli animali, pertanto, è sorto come parte della più ampia delegittimazione del sesso non riproduttivo. Ma la veemenza con cui questa proibizione continua ad essere sostenuta, la sua persistenza mentre altre forme di rapporti sessuali infecondi sono diventate accettabili (sesso con anticoncezionali, omosessualità) suggerisce che c’è un’altra potente forza all’opera: il nostro desiderio di differenziarci, eroticamente e in ogni altro modo, dagli animali».
Desiderio illusorio, secondo Singer, poiché nella sua visione gli esseri umani non sono altro che grandi scimmie dei primati. Ma la cosa interessante da notare è che le leggi volte a difendere gli animali dagli abusi sessuali umani non sono affatto centrate su una pretesa superiorità degli umani, come pretende Singer. Sono centrate sulla stessa idea che Singer esprime: animali e uomini appartengono alla stessa categoria, hanno la stessa dignità, per questo gli animali non possono essere usati come cose ma vanno protetti dagli abusi. Gli animali non sono strumenti per fini umani, come la civiltà occidentale ha ripetuto dal Genesi fino a Kant, ma sono esseri con la stessa dignità delle persone e con sistemi nervosi capaci di far fare loro l’esperienza del dolore: per questo vanno protetti. Molte delle loro sofferenze avvengono quando essi sono più deboli nel rapporto con gli uomini. Si tratta solo di debolezza, non di differenza sostanziale: infatti i sostenitori del proibizionismo zoofilo mettono sulla stesso piano il divieto del sesso con animali e quello del sesso di adulti con bambini; vogliono tutelare soggetti deboli coinvolti in una relazione diseguale. Non è diseguale la dignità dei soggetti – persone adulte, bambini, animali – è diseguale il rapporto di forza, che può quindi condurre alla sofferenza dei più deboli.

Chi l’avrà vinta alla fine? Io scommetto sugli infoiati per il sesso bestiale, almeno finché non uscirà di scena per autodistruzione l’attuale decadente società post-moderna. Perché, come ci ha insegnato Tocqueville, la passione per l’uguaglianza è la più forte delle passioni moderne, è lo spirito stesso dei popoli che si definiscono democratici: moderni e post-moderni non hanno risparmiato e non risparmieranno mai gli sforzi per costringerci a considerare uguali il sesso fra uomo e donna e quello fra individui dello stesso sesso, l’omoparentalità e la paternità/maternità tradizionali, la fecondazione assistita e il concepimento naturale, il sacerdozio maschile e quello femminile, le religioni, le culture, e così via, fino a imporci di guardare con la stessa ammirazione l’arte concettuale di Cattelan e Duchamp e quella rinascimentale di Michelangelo e Raffaello.

Chi porta l’asserita uguaglianza alle sue conseguenze ultime, alla fine l’avrà vinta, perché una volta eliminate l’idea (sacrale) di gerarchia degli esseri e dei valori potrà sempre dimostrare, secondo modalità empiriche e utilitaristiche, che rispettando certe forme e certe procedure la sua idea di rapporto fra pari è accettabile e sostenibile. Perciò, dopo il matrimonio fra persone dello stesso sesso aspettiamoci la riabilitazione della poligamia e infine, in un tempo forse non così lontano – non stiamo scherzando, siamo serissimi – il riconoscimento del matrimonio fra uomo (donna) e animale. Basta cominciare con un po’ di tolleranza. Quella che suggerisce l’impareggiabile Peter Singer: «Chi non ha mai fatto l’esperienza di un party disturbato dall’irruzione del cane di casa deciso ad afferrare le gambe dell’ospite e a sfregare vigorosamente il suo pene contro di esse ? Il padrone di casa normalmente scoraggia questa attività, ma in privato non tutti gli uomini e non tutte le donne sono contrari ad essere approcciati dai propri cani in questo modo. Occasionalmente possono svilupparsi attività reciprocamente gratificanti».

@RodolfoCasadei

Exit mobile version