In Brasile hanno già trovato il colpevole della pandemia: Bolsonaro

Una Commissione parlamentare, a emergenza ancora in corso, accusa il presidente di crimini contro l'umanità per la gestione del Covid. Martedì il voto in Senato

Manifestanti in piazza indossano maschere di Jair Bolsonaro rappresentato come un teschio per protestare contro il presidente del Brasile (foto Ansa)

Bolsonaro avrebbe commesso “crimini contro l’umanità”, nello specifico sterminio, persecuzione ed altri atti inumani collegati alla pandemia di Covid-19. È questa la conclusione della Commissione parlamentare d’Inchiesta (CPI) i cui lavori sono iniziati ad aprile e di cui è stata data lettura ieri nel Senato brasiliano.

Nove capi d’imputazione

Martedì 26 il malloppo di quasi 1.200 pagine sarà sottoposto a votazione in aula e, se approvato, il lavoro della CPI sarà concluso. A quel punto, toccherà alla Procura Generale della Repubblica verde-oro decidere se processare o meno il presidente del Brasile per crimini contro l’umanità ed altri otto capi di imputazione: epidemia che ha cagionato morti, infrazione di misure sanitarie preventive, ciarlataneria, incitamento al crimine, falsificazione di documenti privati, uso irregolare di fondi pubblici, prevaricazione e, dulcis in fundo, crimini di responsabilità.

All’ultimo momento sono state stralciate dall’impressionante caterva di accuse quelle di “genocidio indigeno” e di “omicidio di massa”. Insieme al presidente, gli undici senatori della CPI, sette dei quali dell’opposizione, hanno messo sul banco degli imputati altre 65 persone, tra questi i tre figli di Bolsonaro, Flavio, Eduardo e Carlos, quattro ministri e tre ex ministri, oltre a due aziende medicali. Come scriveva ieri il New York Times, un organo di stampa di certo non tacciabile di simpatie per Bolsonaro, «è incerto se il rapporto porterà mai a delle reali accuse penali visto il contesto politico del paese» ma «in un Brasile profondamente polarizzato potrebbe rivelarsi un importante strumento di ‘escalation’ nelle sfide di un presidente che tenta la rielezione l’anno prossimo e sta soffrendo un calo di popolarità». 

Una Commissione a pandemia in corso

A detta del senatore Randolfe Rodrigues, del partito di opposizione Rede, «Bolsonaro dovrebbe essere condannato ad almeno 78 anni di carcere e la speranza è che possa rispondere alle accuse nelle sedi penali qui in Brasile ma anche di fronte alla Corte Penale Internazionale». Per il presidente, che si è detto «sereno», invece, «la CPI non ha fatto altro che produrre odio e rancore». Nel mezzo ci sono elementi che, al di là dello schieramento politico di ciascuno, lasciano quanto meno perplessi.

Il primo è sul timing. Il Brasile è infatti l’unico paese al mondo che, per quanto è dato conoscere, ha deciso in piena pandemia di Covid-19 di istituire una Commissione Parlamentare d’Inchiesta per processare e possibilmente condannare il capo del proprio esecutivo ed un buon numero di ministri. Forse, e questa era l’idea iniziale del presidente del Senato Rodrigo Pacheco, sarebbe stato più opportuno aspettare la fine della pandemia prima di andare a caccia di responsabilità puntuali in una situazione in continuo divenire come il Covid-19.

A far cambiare idea a Pacheco, obtorto collo, non è stata però la rabbia delle piazze (sinora nella polarizzazione brasiliana le manifestazioni pro Bolsonaro sono state più partecipate di quelle dell’opposizione), né una prova in flagranza di reato, bensì un giudice della Corte Suprema verde-oro, ovvero Luis Roberto Barroso, già avvocato difensore dell’ex terrorista italiano, Cesare Battisti. Il tutto su richiesta di due senatori dell’opposizione, Alessandro Vieira e Jorge Kajuru.

«Responsabile dell’escalation»

Il secondo dato da sottolineare è la fedina penale del relatore dei lavori della CPI, il senatore dello stato dell’Alagoas, Renan Calheiros, che all’epoca del processo della Lava Jato – una Mani Pulite moltiplicata per cento che un lustro fa portò alla condanna di centinaia tra politici, faccendieri ed imprenditori – deteneva il record di oltre dieci processi presso la Corte Suprema. Tutti per corruzione. Che sia adesso lui l’autorità morale a leggere le accuse, pesantissime, contro Bolsonaro e famiglia, e a volere «entrare nella storia» fa un certo effetto a chiunque abbia un minimo di memoria.

Nel testo Bolsonaro è citato 380 volte, mentre la parola “genocidio” appare 85 volte. Dopo il voto di martedì prossimo, il rapporto, sarà trasmesso agli organi di controllo, la Procura Generale della Repubblica in primis, che possono aprire un procedimento sui presunti crimini segnalati. Questo perché la CPI ha sì poteri di indagine, ma non di punizione. Come sottolineato, inizialmente il rapporto accusava Bolsonaro anche di “omicidio di massa” e “genocidio contro i gruppi indigeni dell’Amazzonia” ma un giorno dopo che il New York Times ne aveva anticipato il contenuto, alcuni senatori hanno deciso di depennare questi due capi di imputazione.

Rimane invece l’accusa gravissima di “crimini contro l’umanità” perché, secondo la CPI, Bolsonaro si sarebbe reso colpevole della morte di oltre 300.000 brasiliani, metà del bilancio delle vittime da Covid-19 brasiliane. «Molte di queste morti si potevano evitare», ha detto Calheiros per poi aggiungere «sono personalmente convinto che lui sia responsabile dell’escalation del massacro». Complicato da provare, visto che la pandemia è stata un avvenimento unico e imprevedibile, e nel mondo, soprattutto inizialmente, sono state adottate politiche diverse tra loro per contrastarla. Da vedere se ne saranno convinti anche i giudici, in caso di processo.

Exit mobile version