Ilva, arcivescovo Santoro a tempi.it: «Scongiurata una “guerra tra vittime”. Dopo il decreto la mediazione è possibile»

Intervista all'arcivescovo di Taranto: «Inutile piangere sul latte versato. Le circostanze ci insegnano a non ripetere errori passati, servono a convertirci e ad aumentare la nostra fede»

A due giorni dall’annuncio del decreto del governo che permetterà all’Ilva di Taranto di riprendere la produzione e avviare il processo di ammodernamento dello stabilimento, interviene l’arcivescovo della città, monsignor Filippo Santoro, che in quest’intervista a tempi.it dice: «La politica, sia nazionale sia locale, ha le sue responsabilità. Ma è inutile piangere sul latte versato. Dopo il decreto del governo una mediazione è possibile». E alla popolazione: «Le circostanze ci parlano, ci insegnano a non ripetere gli errori del passato, servono a convertirci e ad aumentare la nostra fede. Dalla prova, dal dolore supremo, è nata la Resurrezione». «La porta dell’episcopio è sempre aperta per i tarantini. Hanno un padre su cui contare».

Eccellenza, in merito alla vicenda dell’Ilva di Taranto aveva detto di «sperare in una soluzione condivisa». Ora pare che il governo l’abbia trovata. È soddisfatto? Cosa bisogna salvaguardare innanzitutto?
La salute non può essere messa da parte, la vita è sacra. Neanche il lavoro però deve diventare un diritto secondario. La via giusta, come spesso accade, sta nel mezzo. Dunque spero che gli impianti possano essere adeguati, che la produzione continui e che l’azienda faccia il proprio dovere fino in fondo.

Il rischio che la produzione negli stabilimenti sia interrotta definitivamente sembra essere scongiurato? Lei cosa teme di più?
Il mio timore è per le tante famiglie che rischiano di perdere la certezza di uno stipendio sicuro, ma sono anche convinto che si riuscirà ad arrivare ad una mediazione, particolarmente dopo il decreto del governo.

Che responsabilità specifiche hanno politici e giudici in questo momento storico?
La magistratura è giusto che faccia il suo lavoro. La politica, sia a livello locale sia nazionale, credo che abbia le sue colpe. La situazione doveva essere presa in mano prima, per non arrivare a questo punto. Comunque è inutile piangere sul latte versato, guardiamo al futuro e pensiamo a tutelare salute, ambiente e lavoro.

Recentemente ha invitato gli operai a «non abbandonarsi alla disperazione», ha suggerito loro di «stringersi ed essere solidali l’uno con l’altro, di non chiudersi nel risentimento». Ma la rabbia per gli errori del passato, le cui conseguenze sulla salute si fanno sentire ancora oggi, è tanta; e le preoccupazioni legate allo stop della produzione imposto dai giudici sono forti. Dove si trovano le ragioni e le forze per affrontare una realtà così dura?
L’incontro con il Signore offre a tutti noi uno sguardo più acuto sulla realtà. Le circostanze ci parlano, ci insegnano a non ripetere gli errori del passato, servono a convertirci e ad aumentare la nostra fede. Dalla prova, dal dolore supremo, è nata la Resurrezione.

Come vive la sua responsabilità di Pastore in un momento così drammatico?
La sento doppiamente. Quando ho accettato dal Santo Padre questo incarico, dopo oltre vent’anni in Brasile, sapevo che non sarebbe stato semplice. Certo non immaginavo fino a questo punto. Ma ho imparato che nella vita nulla è per caso, che attraverso ciò che ci accade il Padre ci parla. Se sono qui, in un momento così difficile per la città di Taranto, un motivo ci sarà. Io cerco di svolgere il mio dovere di pastore della diocesi tarantina ascoltando tutti, intervenendo dove necessario, portando una parola di conforto, andando incontro, anche fisicamente, a chi ha più bisogno. Mio compito non è risolvere tutte le situazioni ma mantenere viva la fede e questa ci può aiutare a trovare le soluzioni più adeguate seguendo la prospettiva del bene comune, cioè la difesa della vita, della salute, dell’ambiente e del lavoro. Quello che è importante che sappiano i tarantini è che la porta dell’episcopio è sempre aperta ed hanno un padre su cui contare.

Come stanno la popolazione tarantina e quella operaia dell’Ilva? La solidarietà è presente?
Sì, è questo è un altro aspetto che mi colpisce molto. Il mio timore più grande era che si scatenasse una “guerra tra vittime”, ed invece si è aperto uno scenario diverso, si è capito che gli operai sono due volte colpiti da questa tragedia: perché rischiano il posto di lavoro e perché rischiano di ammalarsi come e forse più di tutti gli altri. Dunque la solidarietà c’è.

Ha intenzione di recarsi in visita all’Ilva?
Ci sono già stato due volte. La prima per andare a far visita agli operai che presidiavano l’altoforno. Ho chiesto di poter salire da loro, a 70 metri di altezza, ma la Digos, che mi ha accompagnato in fabbrica, me lo ha sconsigliato. Allora alcuni di loro sono scesi ed abbiamo parlato fraternamente. Ho detto loro che facevano bene a protestare ma che nessuna protesta vale la vita, dunque di evitare di metterla in serio pericolo. Poi sono stato tra gli operai del Mof, il reparto Movimentazione Ferroviaria, per pregare insieme ricordando il loro collega morto qualche giorno prima durante il turno di lavoro per un incidente. In quell’occasione ho manifestato la mia solidarietà alla loro battaglia. Chiedevano di poter essere almeno in due sui locomotori per evitare ulteriori incidenti. Fortunatamente la Regione e l’azienda li hanno ascoltati.

@rigaz1

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