Il guaio della sinistra progressista rimasta imprigionata nel passato

Rassegna ragionata dal web su: chi ha capito e chi no, a destra e a sinistra, l’attuale fase storica, la de-globalizzazione e il “populismo” spauracchio per tutte le stagioni, Follini inguaribile diccì

La segretaria del Pd Elly Schlein e il suo consigliere Alessandro Zan al Gay Pride di Milano, 24 giugno 2023 (foto Ansa)

Su Strisciarossa Javier Cercas scrive: «Il populismo globale di oggi è la maschera postmoderna del totalitarismo globale degli anni Trenta e la democrazia deve battersi oggi contro di esso come si batté allora… La domanda è se la democrazia prevarrà, come fece allora. E la risposta non è chiara».

Ho apprezzato diversi libri di Cercas, mi pare però che questo scrittore non sia portato per l’analisi politica. Le derive autoritarie del Novecento sono figlie della Guerra civile europea che inizia nel 1914 e finisce di fatto con lo scioglimento dell’Unione Sovietica nel 1991. Questa lunga fase storica è caratterizzata dalla “militarizzazione” di parte del movimento socialista nel Comintern e da reazioni dittatoriali come quella del fascismo e quella pagano-bestiale del nazismo. Per capire quel succede oggi bisogna invece studiare la grande globalizzazione di fine Ottocento, inizi Novecento, con le sue derive positiviste e nichilistiche, e con la preparazione delle basi per una guerra mondiale.

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Su Huffington Post Italia Stefano Fassina scrive: «Che succede? Siamo da tempo entrati in una altra fase storica. La favola della globalizzazione motore di ricchezza diffusa e liberaldemocrazia è diventata un film horror per larghissima parte delle classi medie occidentali e per la stragrande maggioranza degli Stati in “via di sviluppo”. Siamo nella fase di de-globalizzazione, di protezione sociale e identitaria. La destra la intercetta istintivamente, coltiva le paure, declina il “noi” in termini di chiusura, di esclusione, di negazione dell’altro e finanche di aggressione. La sinistra ufficiale è rimasta nella fase precedente, arroccata tra i surfisti dei movimenti “liberi” di capitali, merci, servizio e persone. Invece, deve aggiornare la lettura della fase in corso. Deve maturare un paradigma interpretativo e di policy diverso, altro, rispetto al paradigma seguito nell’ultimo trentennio, condiviso in gradi diversi da tutte le versioni della sinistra storica, da quelle moderate e sedicenti riformiste fino a quelle più “radicali”».

Da sinistra Fassina esamina con intelligenza le tendenze socio-politiche in corso.

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Sulla Nuova Bussola quotidiana Luca Volontè scrive: «L’unico minimo comun denominatore in tutti i paesi europei è la fine del socialismo, frutto dell’abbandono da parte delle leadership delle battaglie per gli operai per sostituirle con gli slogan a favore di privilegi abortisti, elitari e Lgbti. Le due eccezioni socialiste di successo – nella Danimarca di Mette Frederiksen e nella Slovacchia di Robert Fico e del suo partito Smer – sono dovute alla scelta di questi leader e partiti di abbracciare con forza le battaglie tradizionalmente conservatrici contro l’immigrazionismo e a favore della sicurezza interna».

Da destra Volontè presenta un’analisi ricca di spunti più politici che sociali, ma interessante.

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Su First online si scrive: «Marco Follini, prima alleato e poi avversario dello scomparso ex premier. Colpiscono soprattutto due giudizi di Follini su Berlusconi. Il primo è quello che lo ricorda come “mattatore della politica italiana” ma al tempo stesso “insofferente verso la stessa idea della politica, che quasi sempre è una fatica certosina e quasi mai un lampo improvviso”. Il secondo giudizio di Follini che merita attenzione è quello che rappresenta Berlusconi come “l’amico e il nemico del populismo italiano, l’amico senza volerlo e il nemico senza poterlo, l’amico senza convinzione e il nemico senza possibilità” con una “ambiguità tutt’altro che innocente che ora però presenta il conto”. Spiega infatti Follini: “Berlusconi si è fatto largo, forte anche di quel sentimento ansiogeno, che cominciava a serpeggiare ben prima di lui (e della sue televisioni) ma che lui stesso ha finito per cavalcare con una sorta di leggerezza”. Poi però “deve essersi accorto che quello stesso sentimento poteva diventare una belva difficile da domare” e ha cercato di “tirare le redini” ma l’argine era ormai saltato».

Colto, esperto e intelligente, Follini è il più classico esempio di quel fenomeno che Karl Marx chiamava del “morto che afferra il vivo”. La sua riflessione sul berlusconismo parte da un punto di vista, quello democristiano, che non esiste più perché finendo la Guerra fredda quel mix di conservatorismo e tendenze socialisteggianti che erano alla base dello scudocrociato italiano non può più funzionare. È rimasta però una lingua, sono sopravvissute reti politico-sociali. Circolano ancora quadri nei gangli della società e dello Stato che rappresentano una realtà “morta”, e tendono a provocare solo disgregazione nella cosiddetta Seconda Repubblica, per esempio allargando spropositatamente la categoria del “populismo” allo scopo di cercare (fallendo) di aprirsi la strada a qualche nuova carriera.

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