Il giudice che sdoganò la stepchild, ora ci fa la predica sui genitori possessivi

Melita Cavallo denuncia la logica perversa alla base dei maltrattamenti di minori. Ma è la stessa con cui legittimò la surrogata

Giudice Cavallo, dimenticato nulla? L’8 ottobre sulla Stampa, commentando i dati drammatici del rapporto “Liberi tutti” sul maltrattamento dell’infanzia in Italia e quelli del dossier “Indifesa” di Terre des Hommes, l’ex presidente del tribunale dei minori di Roma, Melita Cavallo, sentenzia: «Nella separazione e nell’interruzione di convivenza gioca un ruolo rilevante il senso di possesso del genitore dichiarato decaduto dalla responsabilità genitoriale, la cui logica è: se i figli non sono più miei, non saranno più nemmeno tuoi. Questa logica perversa – sottolinea – nasce e si alimenta in una cultura di violenza, che può portare al delitto».

Il tema è delicato, tra il 60 e il 70 per cento dei minori maltrattati fra i 2 e i 14 anni subisce abusi fisici o psicologici soprattutto in famiglia, dove si consuma anche il 90 per cento degli abusi sessuali, 5.383 i minori coinvolti in casi di violenza in Italia, tre su dieci per maltrattamenti di parenti, da 13 a 21 l’aumento degli omicidi in un anno. Lo spunto, va da sé, è dato dalla cronaca: dal padre di Sant’Agata, in provincia di Firenze, che accoltella a morte il suo bambino di un anno dopo una lite con la compagna, alla mamma del carcere di Rebibbia che uccide lanciando dalle scale i propri figli, una neonata di pochi mesi e un bimbo di due anni.
Per evitare che i figli restino stritolati in questo meccanismo, per il giudice è necessario «intervenire in tempo utile, con strategie di mediazione familiare». Le leggi a tutela dei minori esistono e sono sufficienti, spiega, ma vanno fatte rispettare.

SE UN BIMBO È “MIO”

Il giudice Cavallo ha ragione da vendere denunciando il senso del possesso del genitore per cui il figlio, “se non è mio, non sarà neanche tuo”, la logica perversa che mette a rischio l’incolumità del bambino. Parole sacrosante: peccato che a pronunciarle sia la stessa «giudice coraggio» osannata dai giornali per aver «riconosciuto la stepchild adoption» a fine 2015, poco prima di andare in pensione e poco dopo aver emesso una raffica di sentenze propedeutiche all’adozione per le coppie same-sex.
Cavallo allora sentenziò a favore dell’adozione di un bambino nato grazie all’utero in affitto in Canada da parte di una coppia omosessuale maschile di Roma: era la prima volta che la sentenza non veniva appellata dalla procura minorile diventando così definitiva, una stepchild adoption a tutti gli effetti. «Si fa un contratto regolare con un’agenzia, in un Paese che funziona bene, che accetta questa gestazione e la regolamenta in modo rigoroso ed equilibrato», spiegava il giudice in una intervista al Tempo, inoltrandosi con notevole disinvoltura in una distinzione tra “utero in affitto” e maternità surrogata “accettabile”, in altre parole legittimando, se regolamentata da un “contratto”, la fabbricazione di un bambino. E cosa fa un contratto se non rendere il figlio un prodotto ordinato da un committente, e l’utero un mezzo di cui disporre per evacuarlo? Il bambino un bene da possedere a tutti i costi?

LA FAMIGLIA RICOMPOSTA, RICOSTITUITA

Del resto, a proposito di separazioni e interruzioni di convivenza, dopo aver sottoscritto un’altra stepchild per una coppia di lesbiche, Cavallo aveva spiegato a Left: «La famiglia tradizionale non esiste più già da trent’anni. Abbiamo “le famiglie”: la famiglia ricomposta, ricostituita, di madri single, quella omosessuale (…) non c’entra nulla la diversità, conta l’empatia che un genitore ha con suo figlio. (…) E proprio per questo, come si fa a parlare della famiglia tradizionale? Siamo arrivati ai figli della quarta convivenza… E poi quelli che si rifanno alla famiglia tradizionale dimenticano le “altre” famiglie, quelle fuori del matrimonio che sono ormai la gran parte nella società. Oggi quello che avviene nelle relazioni familiari è un’evoluzione e non un’involuzione, con emersioni di fenomeni che prima venivano soffocati. E noi non possiamo cancellare la realtà in nome di pregiudizi, condizionamenti, adesioni schierate e apodittiche, in nome di un credo che non può assolutamente reggere in una società democratica».

E I BAMBINI SENZA MADRE?

Una società democratica, sì, in cui i diritti/desideri – conditi con i postulati giuridici della valorizzazione del legame affettivo e dell’interesse superiore del bambino – sembrano però fare a cazzotti con la stessa realtà che Cavallo denuncia come oscurantista: quella dei bambini nati nell’esclusivo interesse dei desideri degli adulti, e divenuti ormai oggetto di contesa giuridica e sociologica. Cos’è un figlio coscientemente programmato e progettato per essere concepito orfano di madre se non un bene funzionale al soddisfacimento del desiderio di un adulto? E questo non riecheggia la stessa logica perversa che giustamente il giudice denuncia nei casi di maltrattamenti e abusi dei minori?

Foto Ansa

Exit mobile version