“Il fatto non sussiste”: prosciolti Loiero e altri 21, tra cui Saladino

Il 29 giugno il Gup di Catanzaro, Maria Rita Maiore, ha deciso il non luogo a procedere nei confronti di 22 indagati per i quali la Procura aveva chiesto il rinvio a giudizio. Tra questi, l’ex governatore Agazio Loiero, molti ex assessori di centrosinistra e di centrodestra, parlamentari, ex magistrati e Antonio Saladino

Le inchieste condotte a Catanzaro dall’attuale sindaco di Napoli Luigi De Magistris continuano a produrre i loro esiti nefasti. Vicende su cui non c’è la minima traccia di notitia criminis, solo perché trattate nella famigerata inchiesta Why Not proseguono a generare ulteriori attività giudiziarie, investigative e processuali.

L’ultima notizia è del 29 giugno scorso quando il Gup di Catanzaro, Maria Rita Maiore, ha deciso il non luogo a procedere nei confronti di 22 indagati per i quali la Procura aveva chiesto il rinvio a giudizio, tra cui l’ex governatore Agazio Loiero, molti ex assessori di centrosinistra e di centrodestra, compresi un attuale parlamentare europeo, Mario Pirillo (Pd) e due deputati, uno del Pdl, Giovanni Dima ed uno del Pd, l’ex magistrato Doris Lo Moro, una decina di consiglieri regionali calabresi in carica, perfettamente distribuiti in tutto l’arco che va dagli ex rifondaroli agli ex aennini, qualche funzionario regionale e, non poteva mancare, il solito Antonio Saladino, l’imprenditore principale bersaglio di De Magistris.
I reati ipotizzati erano quelli di “indebita percezione di erogazioni pubbliche”, stranamente contestata agli amministratori regionali che le erogazioni casomai le distribuirono soltanto, e abuso d’ufficio.

L’addebito mosso ai 22 indagati era quello di aver favorito la distribuzione di sussidi ad alcuni disoccupati di lunga durata, residenti nelle zone montane della Sila e dell’Aspromonte, prima tramite l’azienda regionale Afor, poi inseriti in cooperative dai nomi di per sé significativi che richiamano suggestivamente all’Aurora e all’Unità per la Libertà. Una società ad intera partecipazione pubblica, la Sial, formata dalla Regione Calabria (inizialmente tramite la stessa Afor, poi direttamente) e dall’Agenzia tecnica del Ministero del Welfare, Italia Lavoro, aveva invece gestito le attività di selezione, tra l’altro affidandole in gran parte ad una società del nord esperta nel settore, dopo una licitazione privata, con un costo complessivo di 163 mila euro. I sussidi al reddito invece erogati ai disoccupati (480 euro al mese) ammontano a 9,5 milioni di euro.

L’inchiesta ha la sua lontana origine nel 2005, sulla base della segnalazione all’Agea da parte di un solerte funzionario di Italia Lavoro. Dopo essere passata dalle mani dei carabinieri di Roma e Salerno, l’ultimo, in ordine di tempo, pm titolare, Elio Romano, il 12 gennaio del 2010 ne aveva richiesto l’archiviazione. La richiesta del pm “nelle more degli adempimenti di segreteria” non era ancora giunta agli uffici del Gip che un’informativa della Guardia di Finanza di Catanzaro del 27 gennaio successivo, convince lo stesso magistrato a ritornare sui propri passi e iscrivere il successivo 5 febbraio i ventidue nel registro degli indagati.

La colpa addebitata agli amministratori regionali era sostanzialmente l’incapacità politica della Regione Calabria ad attivare dei progetti per l’effettivo inserimento occupazionale dei disoccupati di lungo periodo. Disoccupati che, per la maggior parte, provenivano tutti dal fallito esperimento del “fondo sollievo”, una sorta di sussidio a chi non lavora, di San Giovanni in Fiore, località nota ormai più per le manifestazioni di protesta e i blocchi stradali che non per essere stata la dimora di Gioacchino da Fiore, l’abate che proprio dal centro silano prese il nome. Una responsabilità più politica che non penale quella dei politici, con decisioni assunte spesso con infuocate occupazioni fin dietro la porta della sala in cui si riunisce la giunta regionale e con pressioni non indifferenti e pubbliche di sindacalisti, sindaci e giornali.

Dall’informativa delle Fiamme Gialle il pm inserisce tra gli indagati anche il nome di Saladino. Colpevole di cosa? Del fatto che il suo nome, come “da informazioni assunte presso la banca dati in uso al Corpo” era “già stato denunciato a codesto Ufficio di Procura”. Nessuna informazione però sul fatto che le precedenti informative della GdF alla procura, proprio riguardanti la vicenda Sial, datassero 5 e 15 dicembre 2008, cioè in piena guerra tra le procure di Salerno e Catanzaro, conflitto scaturito dalle numerose e lunghe deposizioni di De Magistris a Salerno, dopo che gli era stata avocata l’inchiesta Why Not. Tantomeno nessun riferimento, questa volta negli atti del pm, a quanto già giudicato, nel merito, da un altro Gup di Catanzaro il 2 marzo 2010, che proprio nello specifico di quelle vicende e con larghe motivazioni aveva deciso l’assoluzione di Saladino “perché il fatto non sussiste”.

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