Il dono imprevisto

Affermare che la nostra vita è illusione non semplifica le cose, anzi: inevitabilmente ogni nostra giornata è condannata all’assurdità, schiava di una implacabile necessità che ci costringe a tessere ogni nostra azione di un minimo, indispensabile barlume di positività, senza del quale non si può esistere. Una positività così fragile che non può competere con l’inutilità del tutto. Una positività inutile, perfettamente inutile. E tutto questo non può rendere conto di quella sorprendente bellezza che la realtà comunque, senza che tu lo programmi, ti mette davanti. Finché tutto finirà.
Se la vita fosse solo quello che vediamo e tocchiamo, senza ammettere la possibilità di qualcosa di più grande delle nostre pretese e i nostri pensieri, i nostri calcoli, sarebbe una assurdità feroce. Meglio sarebbe se non fossimo mai nati.

La fede cattolica giunge come imprevisto, come dono gratuito che riscatta in radice questa condizione amara, di schiavitù.
La fede cattolica non è la congrega di chi si comporta bene, di chi si impegna eticamente, di chi compie con caparbia fedeltà atti cultuali, di chi condivide idee nobili sulla vita, sull’educazione e sulla famiglia. No. Tutto questo non può dare dignità e salvezza alla vita. Si tratta di frutti non programmabili di un tronco che abbiamo così facilmente dimenticato, accantonato. No.
La nostra fede è un dono, imprevisto, gratuito, totalmente gratuito e dalla portata incalcolabile, risolutivo dell’enigma dell’esistenza.
La nostra fede è il dono di partecipare, di possedere, prendere parte ad una condizione esistenziale che supera in modo vertiginoso la condizione umana a tal punto da ricrearla nuova, definitivamente nuova.
È l’abbraccio di Dio che ci ama e ci fa come lui.

Come? Attraverso il battesimo.
Nel battesimo la carne di Cristo, Dio-uomo, ci viene innestata a tal punto che noi diventiamo una creatura nuova.
Noi esseri umani e quindi destinati a morire, a perdere tutto, tutto, e vivere questi pochi anni che abbiamo tra illusioni, inutili gioie e fatiche, dolori talvolta strazianti; nel battesimo diventiamo una nuova creatura, umana e divina che legittimamente può aspirare all’immortalità. Questo accade realmente, seppure misteriosamente, cioè in maniera ben più grande di ciò che accadde quel giorno, un giorno preciso in un luogo preciso.
Per capire: è come un malato di leucemia che per guarire ha bisogno di un pezzo di midollo sano di un donatore compatibile. Così nel battesimo ci è innestata la carne di Cristo, Dio-uomo immortale, che da allora vive in noi, rendendoci partecipi di una condizione immortale (cfr. Gal 2,19-20).
Questa cosa è così reale che è accaduta in un momento ben preciso e in un luogo preciso, puntigliosamente appuntato in un registro che ne reca ogni specifica: dove, come, chi. È un fatto, un evento accaduto secondo precise coordinate. Perché possa verificarsi occorre un sacerdote (in casi estremi basta un battezzato) che ha ricevuto questo potere da un vescovo, che ha ricevuto questo potere da un altro vescovo… Si tratta di una catena umana, detta successione apostolica, che arriva direttamente a Cristo stesso. Se questa catena si interrompe (come è accaduto ad alcune chiese che da tempo si sono staccate da Roma) non c’è più nulla da fare, non c’è più possibilità di ricevere questo dono. Anche se sono l’uomo più perfetto del mondo.

All’origine di tutto questo c’è Cristo, Dio-uomo, morto e risorto, vivente nel suo vero corpo. La chiesa ci ha messo 800 anni per rendersi conto della grandezza di questo dono, non ci soffermiamo su questo. Basta dire che di questo dono noi possiamo fare esperienza, ed è questa la verifica più importante e necessaria che possiamo fare della bellezza della fede, della verità e utilità della fede alla nostra vita. Una pienezza che sostiene la vita con una carica di umanità e bellezza che nemmeno osiamo immaginare, eppure così umana, vera, che ci rende ancora più uomini. Non è altro che il compiersi della sua promessa. «Chi segue me avrà la vita eterna e il centuplo quaggiù» (cfr. Mt 19,29).
Noi, la maggior parte, abbiamo ricevuto questo dono inconsapevolmente, da piccoli. Come ogni dono possiamo farne quello che vogliamo, anche rigettarlo: non è un laccio alla nostra libertà ma anzi l’occasione che ci è data di scegliere se accoglierlo o no. Chi non l’ha avuto si deve accontentare di restare a mani vuote.
Ma perché questo dono sia vivo, generi in noi una vita nuova occorre la fede: quell’evento che ci ha permesso di abbracciare la persona di Cristo, che, in maniera così vera eppure misteriosa è vivo e presente: «Io sarò con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo» (cfr. Mt 28,20).

Proprio come l’innamoramento ricambiato genera una unità e pienezza di vita nuove, così la fede genera una nuova unità, una vita nuova abbracciata da questa presenza così umana e amica. Ecco perché il Cantico dei Cantici non è solo il racconto di due fanciulli innamorati, ma la descrizione del rapporto tra noi e Dio, perché nella fede diventiamo suoi amici, consanguinei, in un rapporto così vivo da poter superare in intensità e bellezza anche l’innamoramento più travolgente.
Una cosa del genere non si può descrivere, per ognuno avviene in modo diverso, come solo la fantasia di un Dio innamorato può disporre: un incontro con una persona, il richiamo di una preghiera in chiesa, il colloquio con un prete, il travaglio di una sofferenza. Nulla è impossibile ad un Dio che si fa incontro con la passione e la tenerezza che solo Lui può avere. Ma occorre avere il cuore aperto perché ciò accada, disponibile. E sempre questo incontro permane nell’abbraccio di una comunità, segno vivo della Chiesa, guidata paternamente da un’Autorità che ne assicura il cammino fecondo.

Io sto alla porta e busso, se uno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui e lui con me. (Ap 3,20)

Foto da Shutterstock

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