Il caso serio dell’immigrazione

Storie strazianti e tragedie. Cosa si può fare? Innanzitutto capire che non esiste alcuna formula magica per risolvere la questione. Serve realismo

Lampedusa, 18 settembre 2023 (Ansa)

Sono stato al cinema, non lo faccio spesso, ma ci tenevo a vedere Io capitano di Garrone, Leone d’argento a Venezia e candidato agli Oscar per l’Italia. Mi interessava provare a guardare il tema dell’immigrazione non attraverso le “categorie” della politica, ma mettendomi dalla parte del soggetto, dal suo punto di vista, cioè, immedesimandomi nella storia di uno di loro. Un’esigenza che si è fatta ancora più urgente, alla luce delle notizie recenti, che riguardano non solo il moltiplicarsi degli sbarchi, ma vicende davvero drammatiche che feriscono e scuotono la coscienza, come la storia del bambino di tre anni (di cui non si conosce ancora il nome) trovato da solo nel deserto, incapace di parlare, di piangere di ridere e accompagnato per tutto il tragitto sino in Italia da un altro giovane emigrante di 18 anni; o ancora la storia della neonata, morta appena sbarcata a Lampedusa: si può solo immaginare il dramma di quella madre di 19 anni, che ce l’aveva fatta a terminare il suo viaggio della speranza e oggi piange e non parla più per aver perso la figlia proprio in quel momento.

Il “migrante” non è una categoria

Non possiamo abituarci a drammi come questi, semplicemente perché riguardano la “categoria” dei migranti. Sono persone, uomini e donne, fatti della nostra stessa carne, con passioni e amori, cuori pieni sofferenze e di speranze, esattamente come ognuno di noi. Sarebbe una umanità ben triste e disumana quella incapace di farsi scalfire da vicende così tragiche. Non perdiamo di vista l’umano! Altrimenti la barbarie è dietro l’angolo.

Al tempo stesso però non possiamo fingere che questo non sia un tema serio e terribilmente complicato da affrontare. Come fare? Serve uno sguardo che sappia tenere presente la complessità del reale in tutti i suoi fattori. Da un lato è indispensabile immedesimarsi nel soggetto, che non è una categoria generica (il “migrante”) ma una persona con un nome, come Seydou e Moustapha nel film di Garrone, una storia personale, una madre, dei legami, dei sogni. Solo cercando di stringere una connessione affettiva ed empatica con le migliaia di Seydou e Moussa, possiamo guardare in maniera umana, quindi adeguata, al tema dell’immigrazione.

Al tempo stesso però ci è impossibile ignorare che questo fenomeno ha una dimensione oggettiva che va tenuta in considerazione con la medesima attenzione. Essa impone, a tutti noi, una serietà, una profondità di pensiero, una capacità di azione che purtroppo oggi la politica e le Istituzioni non sembrano avere, così come i “media” in generale e il cosiddetto “sentire popolare”.

Tutti sembrano protesi alla ricerca di un “ricetta” che, come con una bacchetta magica, possa risolvere “magicamente” il problema, facendolo scomparire. Non sarà così, per la semplice ragione che questa “ricetta” non esiste.

I piani del Pd, dell’Europa e del governo

Di certo, non saranno i dieci punti della von der Leyen presentati a Lampedusa il viatico per superare questo dramma, così come non lo saranno i sette punti del Pd. Eppure, questi tentativi dimostrano quanto troppo spesso la preoccupazione sia quella di trovare una risposta semplice ed immediata capace di risolvere tutto. Ha queste caratteristiche anche la decisione del Governo di allungare a 18 mesi la presenza dei migranti nei Cpr, perché come spiegano tutti coloro che con i rimpatri hanno avuto direttamente a che fare, non si può rimpatriare alcun migrante senza l’accordo con il Paese d’origine, che lo deve riconoscere come proprio cittadino (ovviamente non si può rimpatriare un senegalese in Tunisia).

Per fare queste operazioni occorrono dai 2 ai 4 poliziotti che lo accompagnino, con costi del tutto insostenibili. Ora, se non si riescono ad ottenere tutti i documenti che verificano e certificano che quel migrante sia cittadino effettivo di tal Paese in 12 mesi, non si capisce a cosa possano servire sei mesi in più. Questo è uno di quei provvedimenti che tendono esclusivamente ad offrire all’opinione pubblica un effetto placebo, per tacitarne la famelica attesa di una soluzione miracolistica ma, nei fatti, sono destinati a non produrre alcun risultato, se non quello di trattenere più a lungo persone in un luogo di detenzione a spese dello Stato per poi dar loro un lasciapassare verso la clandestinità.

Dati di realtà

Di fronte a questa oggettiva complessità, anziché usare l’immigrazione come tema di campagna elettorale, dovremmo avere tutti l’umiltà di metterci attorno ad un tavolo per cercare insieme quelle risposte che sono così difficili da trovare.

Ma come si fa? Da dove possiamo partire? Dalla realtà, dal realismo: il “metodo per conoscere è determinato dall’oggetto” e occorre “Amare la realtà più dell’idea che ci siamo fatti di come dovrebbe essere” diceva don Giussani.

Penso dunque si possa e si debba partire da alcuni paletti oggettivi, che rappresentano altrettanti dati inconfutabili di realtà.

(fine prima parte. Nella la rubrica di sabato 29 settembre cercherò di sviluppare questo ragionamento partendo proprio da alcuni punti, ineludibili ed inconfutabili, al fine di offrire un ragionamento che vada oltre l’inevitabile dramma che l’emergenza sbarchi, suscita in ognuno di noi).

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