Il caso Palamara e le colpe della politica

La politica ha consegnato alla magistratura il proprio potere legislativo, chiedendo ad essa il parere vincolante per ogni riforma che riguardi la giustizia

Caro direttore, il nostro grande amico Luigi Amicone ci sprona a non lasciar cadere il tema delle distorsioni che si sono rese evidenti, dopo la “confessione” di Palamara, nel mondo della magistratura. Ribadisco anche in questa sede un fatto non è più discutibile: parte della magistratura ha invaso impropriamente il campo riservato al potere esecutivo ed al potere legislativo: insomma, al campo della politica.

Ma qui mi vorrei chiedere: la politica è innocente per quanto è avvenuto? È stata solo una vittima oppure, colta dalla sindrome di Stoccolma, è drammaticamente corresponsabile per quanto accaduto, con grave danno di tutto il popolo, come ebbe a profetizzare, con voce solitaria, il servo di Dio don Luigi Giussani? La risposta è sì: la politica, nel suo complesso, è gravemente colpevole.

La politica e la grande stampa

È colpevole perché si è auto evirata: purtroppo, ha rinunciato alla sua funzione, non ho mai capito per quale motivo (forse per cattiva coscienza). La politica, perso ogni carattere ed ogni coraggio, di fronte all’avanzata scomposta della magistratura ha, di fatto, detto sì ad ogni richiesta di certi magistrati, richiesta appoggiata e divulgata dalla grande stampa. Per paura della c.d. opinione pubblica non ha saputo difendere le prerogative che la Costituzione del 1948 riserva sia al potere esecutivo sia al potere legislativo.

Così, resasi prigioniera di un moralismo immorale, la politica ha rinunciato alla propria immunità, che la nostra Costituzione aveva riconosciuto ai parlamentari, non per conferire un privilegio, ma per fornire loro quella garanzia di libertà di opinione che era mancata durante il ventennio fascista. L’immunità garantiva la libertà della politica in uno Stato democratico, distinguendo, tra l’altro, i tre poteri che governano l’intera società. Rinunciando vigliaccamente all’immunità, la politica ha ribaltato due secoli di dottrine democratiche, consegnandosi mani e piedi alle bizze di certa magistratura. Ha così reso un cattivissimo servizio non solo a se stessa, ma all’intero impianto democratico.

Csm e Anm

Ma non basta. La politica, nei fatti, ha consegnato alla magistratura anche il proprio potere legislativo, chiedendo ad essa il parere vincolante per ogni riforma che riguardi la giustizia italiana. Ha ceduto il potere legislativo al Csm e, addirittura, ad una associazione privata denominata Associazione Nazionale Magistrati.

Separazione delle carriere

Nei suoi interventi, Amicone segnala alcune riforme che dovrebbero essere fatte e che non sono mai state fatte. Perché? Ma è semplice: perché la magistratura, che non appartiene al potere legislativo, non le vuole. Faccio due esempi. Il primo riguarda la separazione delle carriere tra Pm e magistrati giudicanti. Basta il buon senso comune per capire che sarebbe una separazione sacrosanta, perché distinguerebbe due funzioni assolutamente diverse: il Pm istruisce le inchieste penali raccogliendo le prove a carico dell’imputato; il giudice, sentita la difesa, deve decidere se le prove raccolte sono sufficienti per la condanna. Sarebbe naturale che le due funzioni fossero coperte da persone con ruoli diversi.

Invece, in Italia, un PM può diventare  giudice e viceversa. Ed inoltre, appartenendo allo stesso “ordine”, PM e giudici studiano nelle stesse università, vivono gli stessi ambienti, superano gli stessi esami, hanno una consuetudine tale che può essere molto facile che gli atti giudiziari non siano assunti con la dovuta serenità.

In molti Paesi la separazione delle due carriere è assoluta. Negli Stati Uniti, il Procuratore è addirittura eletto dal popolo. Perché il buon senso non prevale in questo caso? Perché i magistrati non vogliono e non vogliono perché hanno il timore che il loro potere assoluto venga diminuito con la differenziazione delle carriere. Ma perché i politici non legiferano, come potrebbero, anche contro il parere dei magistrati (e dei giornaloni)? Perché hanno paura? Mah!?

Tornare a fare il giudice

Su un’altra questione i politici sembrano paralizzati: impedire il via vai che attualmente esiste tra la funzione della magistratura e quella legislativa e governativa. Ci sono giudici che entrano in parlamento e poi tornano a giudicare (magari anche un avversario politico!). Anche in questo caso, chi entra in politica non dovrebbe potere poi ritornare a fare il giudice. I’incompatibilità appare evidente. Ma tutto rimane bloccato, perché il legislatore rimane paralizzato di fronte alle pretese della magistratura.

Insomma, mi pare che la separazione dei poteri prevista dalla Costituzione sia stata travolta a causa di due atteggiamenti convergenti: da una parte l’arroganza di certa magistratura, dall’altra la debolezza inspiegabile della politica. Ma dall’alto dei colli romani, non si potrebbe levarsi una voce più ferma e decisa?

Peppino Zola

Foto Ansa

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