Il 14 febbraio è san Valentino, ma anche santi Cirillo e Metodio, esempi di “minoranza creativa cristiana”

Il 14 febbraio ricorre la festa dei santi Cirillo e Metodio, compatroni d’Europa, e del più commercialmente trendy Valentino. Fortunatamente – scriveva Péguy – i santi non sono gelosi gli uni degli altri. Perciò ci occuperemo solo dei due fratelli di Salonicco, visto che quest’anno si celebra il 1150° anniversario del loro arrivo nella Grande Moravia.
La vicenda storica è un po’ complessa e rimandiamo alla scheda sui santi e beati.

Siamo nel IX secolo, e la missione dei due fratelli non comincia nel migliore dei modi: Rastislav ha chiesto un vescovo e si ritrova il semplice sacerdote Cirillo, accompagnato dal diacono Metodio. Nella Grande Moravia permangono usi pagani anche fra i battezzati, nonostante l’opera dei missionari occidentali che hanno già introdotto i fondamenti della fede, lasciando però confusione in vari aspetti della vita religiosa e civile a causa della sovrapposizione delle tradizioni. In più, i due fratelli si devono muovere con estrema prudenza, circondati dalla diffidenza del clero latino, come riassume Giovanni Paolo II nell’enciclica Slavorum Apostoli: «Era anche l’inizio di più ampie divergenze (…) tra la cristianità orientale e quella occidentale, e i due santi missionari vi si trovarono personalmente coinvolti; ma seppero mantenere sempre un’ineccepibile ortodossia ed una coerente attenzione sia al deposito della tradizione che alle novità di vita proprie dei popoli evangelizzati» (SA 10).

Diversamente da quanto accaduto in Europa occidentale con la cultura latina, Cirillo e Metodio non impongono agli slavi la superiorità della civiltà greca: «Mossi dall’ideale di unire in Cristo i nuovi credenti, essi adattarono alla lingua slava i testi ricchi e raffinati della liturgia bizantina, e adeguarono alla mentalità e alle consuetudini dei nuovi popoli le elaborazioni sottili e complesse del diritto greco-romano» (SA 13). La loro missione non si limita agli aspetti «liturgici» della fede, ma investe tutta la quotidianità dell’umano: per questo Cirillo inventerà un alfabeto e stilerà un «codice civile» dal quale emergono i problemi dell’epoca, e che contempla fra l’altro il diritto d’asilo, l’indissolubilità del matrimonio, le norme per spartire il bottino, il risarcimento in caso di violenza carnale, il riscatto degli schiavi e dei prigionieri.

L’opera dei due fratelli fu una missione cristiana e culturale, e non si trattò di un tentativo mirato a scopi espansionistici bizantini che comunque non ebbero seguito: «Nell’opera di evangelizzazione che i due fratelli compirono, è contenuto al tempo stesso un modello di ciò che oggi porta il nome di inculturazione, l’incarnazione del Vangelo nelle culture autoctone ed insieme l’introduzione di esse nella vita della Chiesa» (SA 21).
Ha scritto lo storico Judin: «“Ogni uomo, ogni nazione, ogni cultura e civiltà hanno il proprio ruolo da svolgere e un proprio posto nel misterioso piano di Dio e nell’universale storia della salvezza” (SA 19) – così il papa interpreta l’intento evangelizzatore e civilizzatore dei due fratelli… L’originalità di ogni cultura non sta nel suo riduzionismo nazionale, ma nella sua partecipazione all’opera cristiana universale nella storia dell’umanità… Il patologico “odio di sé” dell’Europa e delle proprie radici cristiane, è una diagnosi molto precisa e a prima vista poco rassicurante. In questo senso Cirillo e Metodio, soggiogando l’“elemento barbaro” e trasfigurandolo con l’annuncio cristiano, sono uno splendido esempio per i cristiani di oggi che non hanno paura di diventare “minoranza creativa”».

Quest’anno la ricorrenza sarà accompagnata da momenti religiosi e culturali, è prevista anche l’uscita di un film-documentario. È bello che gli appuntamenti siano organizzati sia dalla Chiesa cattolica che dalla piccola comunità ortodossa ceca, soprattutto a Velehrad, cuore della missione. Qui, in questo piccolo centro sperduto nella campagna morava e dominato dalla gigantesca basilica minor, nell’85 – in piena epoca comunista – i cattolici cechi e slovacchi chiesero pubblicamente a gran voce la libertà religiosa. E qui fece tappa anche il papa slavo nella storica visita del 1990: «La pietra angolare dell’unità europea la troviamo anche qui: a Velehrad. Non soltanto a Monte Cassino, dove san Benedetto operò costruendo l’Europa latina, ma anche qui, dove i fratelli di Tessalonica innestarono per sempre nella storia d’Europa la tradizione greca e bizantina. Queste due immense tradizioni, anche se differenti, s’appartengono vicendevolmente. Formano insieme l’Europa cristiana del passato e del presente. I fondamenti della vostra cultura sono stati posti dai santi Cirillo  e Metodio, i quali vi hanno anche indicato le grandi linee del progetto di sviluppo da essi perseguito. Quel progetto ha un nome: Cristo. Non abbiate paura di Cristo! È il vostro vero amico che non vi abbandonerà mai. Cristo Signore vi darà anche la forza di perseverare, di non deviare: fidatevi di Lui! Cristo conosce l’uomo; Egli solo lo conosce fino in fondo!».
Il buon Valentino non avrebbe nulla da eccepire.

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