I referendum sulla giustizia sono uno «strumento sollecitatore»

Da leggere le due interviste a Cassese e Flick, che hanno posizioni opposte sulla consultazione del 12 giugno. I quesiti poco chiari e l’inerzia della politica

«Una giustizia in ritardo è una giustizia ingiusta, si dice nel mondo anglosassone. Anche considerando la farraginosità dell’ordinamento processuale e l’impegno degli avvocati che possono contribuire ai ritardi nella giustizia, 10 anni sono davvero troppi. Dopo l’accusa, la decisione non dovrebbe intervenire più tardi di un anno». Lo ha detto Sabino Cassese, presidente emerito della Corte costituzionale, al Giornale, commentando la richiesta della procura (6 anni per Silvio Berlusconi) sul processo Ruby-Ter (il miglior spot per il “sì”, come abbiamo scritto).

Quella di Cassese è una lunga chiacchierata sui temi della giustizia e in particolare sui referendum del 12 giugno, sui quali il giurista si è già più volte pronunciato, annunciando i suoi 5 “sì”. L’intervista va letta in parallelo a quella pubblicata oggi sulla Stampa a un altro presidente emerito della Consulta, Giovanni Maria Flick, che invece è molto scettico sulla bontà dei cinque quesiti.

Prese di posizione interessanti e documentate, che vale la pena di riprendere, ferma restando la posizione del nostro giornale (per il “sì”, pur con molte avvertenze).

Magistratura screditata

Pur pensandola diversamente, Cassese e Flick concordano su un punto: oggi la magistratura è assai screditata. Il primo fa notare «il malessere della società per una giustizia così poco giusta». Il secondo, addirittura, si rifiuta quasi di parlarne: «Di quello che è stato combinato nel 2019 (scandalo Palamara, ndr) è meglio non parlarne nemmeno più, tanta è la vergogna. Basta confrontare i discorsi d’insediamento del capo dello Stato: nel 2015 rese omaggio alla magistratura; stavolta gli ha detto a brutto muso che devono recuperare la fiducia dei cittadini».

Insomma, né Cassese né Flick nascondo la polvere sotto il tappeto. Sanno che il gradimento e la stima per la magistratura è ai minimi termini (è un «verminaio», per dirla alla Carlo Nordio) e che sempre di più – anche nel campo della sinistra, che negli ultimi trent’anni è stata scudiera di certe procure – s’è aperto un ripensamento in senso garantista.

Quesiti poco chiari

Ma i referendum? Per Flick non sono lo strumento adatto per intervenire su questi temi. Innanzitutto perché sono poco chiari. «Il quesito deve essere chiaro, preciso, immediato. Sì o no. E ha funzionato per le grandi questioni: aborto, divorzio, nucleare. Sì o no? Ma quando ci si perde per i rivoli delle questioni tecniche, e la regolamentazione della giustizia è una di queste, allora la logica binaria non funziona più. Se ai cittadini si sottopongono questioni cariche di sfumature, diventa obiettivamente difficile dare una risposta. Io stesso, che nella mia vita sono stato magistrato, avvocato, professore di diritto, ministro della Giustizia e giudice costituzionale, non saprei dare una risposta secca».

Basta leggere i quesiti (ad esempio quello chilometrico sulla separazione delle carriere) per accorgersi che quel che afferma Flick è vero. Nella sostanza, nota, «ognuno dei cinque quesiti del 12 giugno presenta una serie di alternative che rende davvero difficile rispondere con un sì o un no». Flick, così come Alfredo Mantovano su Tempi, pone come esempio quello sulla custodia cautelare: «È evidente che a volte la custodia cautelare è stata usata per placare le paure dell’opinione pubblica o per costringere un indagato a collaborare. Però non è materia da trattare con l’accetta. In certi casi, la custodia cautelare può essere necessaria anche per impedire il pericolo di reiterazione del reato».

Strumento sollecitatore

Sono questioni di cui si dovrebbe occupare con più competenza e calma il Parlamento, suggerisce Flick. Vecchia storia: e se la politica non lo fa? È, appunto la posizione di Cassese che dice al Giornale: «Ritengo che la materia della giustizia sia tanto complessa da richiedere un intervento parlamentare. Tuttavia, se il Parlamento non riesce a decidere, occorrerà che decidano gli elettori direttamente attraverso il referendum».

Quindi, è innegabile che i referendum tendano a semplificare, tuttavia essi possono «agire come uno strumento sollecitatore o sostitutivo. Sollecitatore, nel senso di stimolare il Parlamento a decidere. Sostitutivo nel senso di lasciare ai votanti la decisione, se questa non è stata presa dal Parlamento».

Foto Ansa

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