I mostri, i santi e la rana. Il libro di Tempi-Lindau sul Duomo di Milano

Salire sul tetto del Duomo di Milano non per guardare la città dall’alto ma per scoprire l’universo che la cattedrale porta scolpito addosso. Una selva di marmo in cui c’è tutto: natura, uomini, fede e storia.

Pubblichiamo la prefazione di Lorenzo Ornaghi, ministro per i Beni e le Attività culturali, al libro scritto da Ubaldo Casotto ed Enzo Gibellato I Mostri, i Santi e la Rana. Percorso guidato sul Duomo di Milano, realizzato da Tempi in collaborazione con l’editore Lindau. Il volume sarà disponibile nelle edicole di Milano (quelle all’interno della cerchia dei bastioni) dal 12 al 31 luglio, nelle maggiori librerie a partire dal 16 luglio e presso la libreria del Meeting di Rimini dal 19 al 25 agosto. Il libro può essere acquistato anche sulle principali librerie on line (anche scrivendo alla casa editrice a gualtiero@lindau.it, 011.5175324). 

Il Duomo di Milano, che appartiene a tutti i cittadini milanesi e a tutti i visitatori italiani e stranieri che ne affollano le navate e ne ammirano le guglie, non è solo una splendida chiesa. O meglio, proprio in quanto tale può essere, significare e rappresentare molto di più. Lo sguardo acuto e competente con cui questa guida ce lo mostra consente di scorgerne la ricchezza artistica, architettonica e teologica, che la grandiosità della Cattedrale insieme cela e dischiude. Innanzi tutto, ciò che un edificio religioso come il Duomo racconta e testimonia è la storia affascinante della società civile che lo ha ideato e costruito nei secoli, la storia del popolo che l’ha voluto, l’ha finanziato, ha prestato la mano d’opera, aderendo con generoso entusiasmo all’iniziativa dell’arcivescovo Antonio da Saluzzo. Egli, il 12 maggio 1386, poté così annunciare: «I fedeli con cuore unanime intendono edificare ex novo la propria cattedrale». In seguito, san Carlo Borromeo vi ha condotto le sue processioni, mentre Napoleone, dopo la promessa (non mantenuta) di terminarne la facciata a proprie spese, ha obbligato la Fabbrica a vendere i beni frutto delle donazioni dei cittadini per ultimare i lavori. Sant’Ambrogio, san Galdino, il beato Carlo Ferrari, il beato Ildefonso Schuster sono solo alcuni dei più noti fra i Pastori che sedettero sulla cattedra del Duomo, oltre naturalmente a due papi del Novecento, Achille Ratti-Pio XI e Giovanni Battista Montini-Paolo VI.

Per questo, interrogarsi sulla storia del Duomo di Milano significa avere a che fare con il fondamento culturale, civile e religioso su cui si costruisce la città e l’intera nostra nazione. Come osserva Benedetto XVI, nel suo messaggio per i centocinquant’anni dell’Unità d’Italia, il 17 marzo 2011: «Il Cristianesimo – spiega il pontefice – ha contribuito in maniera fondamentale alla costruzione dell’identità italiana attraverso l’opera della Chiesa, delle sue istituzioni educative e assistenziali, fissando modelli di comportamento, configurazioni istituzionali, rapporti sociali. […]. Anche le esperienze di santità, che numerose hanno costellato la storia dell’Italia, contribuirono fortemente a costruire tale identità, non solo sotto lo specifico profilo di una peculiare realizzazione del messaggio evangelico, che ha marcato nel tempo l’esperienza religiosa e la spiritualità degli italiani (si pensi alle grandi e molteplici espressioni della pietà popolare), ma pure sotto il profilo culturale e persino politico». I cinque secoli che hanno visto il Duomo sorgere e abbellirsi attestano la forza e la vitalità impareggiabile di una devozione e, insieme, di una cultura popolare e colta che ha aperto Milano all’Italia e all’Europa. La Cassina della Veneranda Fabbrica era infatti un cantiere genuinamente “europeo” non solo nella manovalanza, bensì anche nelle personalità intervenute a livello progettuale, artigianale e artistico. A fine Ottocento, per realizzare il rinnovamento della facciata fu bandito un concorso internazionale a cui parteciparono centoventi architetti da tutto il mondo. Perciò confido che il cardinale Angelo Scola mi perdonerà se azzardo sostenere che la sua idea di “meticciato” si era già in qualche modo “incarnata” nella vicenda della città di cui è ora arcivescovo. Di quell’idea, il Duomo appare simbolo assai imponente.

Un’ultima considerazione: la presenza della religione nell’ambito pubblico, di cui la Cattedrale milanese è somma raffigurazione, emerge come quanto mai preziosa per rafforzare i caratteri costitutivi della convivenza sociale. Il ruolo pubblico della religione, infatti, lungi dall’essere una minaccia nei confronti dello spazio “laico” della res publica, si conferma come alto esempio dell’articolazione della razionalità e della multiforme cultura collettiva.

Se anche a un ministro è concesso l’uso del paradosso, potrei affermare che proprio la storia della costruzione del Duomo è un bell’esempio di laicità.

* L’autore di questo articolo è ministro per i Beni e le Attività culturali

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