«I grandi arrivano a chiunque». Leggere Lo Hobbit ai bambini

Mi ha sempre affascinata l’idea che Tolkien avesse “inventato” la storia di Bilbo Baggins mentre la raccontava ai figli, la sera, per farli addormentare. Una sorta di esercizio di composizione estemporanea del quale nella stesura definitiva rimangono tracce, ad esempio, nell’andamento fiabesco e ridondante della prima parte, nella stereotipicità dei personaggi principali, nella sovrabbondanza di dettagli riconducibili al quotidiano di casa Tolkien e nel tono colloquiale della voce narrante incline a rassicurare il lettore. Questi stessi elementi credo abbiano contribuito a relegare Lo Hobbit a un ruolo secondario nel panorama letterario per l’infanzia, oscurato dal successivo capolavoro del Signore degli Anelli (nulla da obiettare su questo punto, sia chiaro!).

Ora però la nuova avventura cinematografica di Peter Jackson ha riproposto la storia di Bilbo, imponendola all’attenzione del pubblico più distratto e tentando di restituirle tutta la dignità e la potenza espressiva che le è propria.

In buona sostanza ho visto il film e ho ripreso in mano il libro, tentando un esperimento: leggerlo a voce alta di sera ai marmocchi di casa mia. Risultato? L’ennesima conferma di quel vecchio adagio: “I grandi arrivano a chiunque”. La prosa di Tolkien,  rotonda, verbosa, pensata e pronunciata con una pipa accesa all’angolo della bocca, più di 60 anni fa, parla ai bambini di oggi esattamente come se decenni di “diaridiunaschiappa” e “geronimostilton” non fossero mai passati… E il dramma esistenziale del mezz’uomo è ancora lì, pronto a diventare il dramma di ognuno di quei piccoli ascoltatori che mezz’uomini si sentono per davvero e non fanno fatica a immedesimarsi nel suo smarrimento, quando gli viene proposto di lasciare la sicurezza del suo “buco” per andare in cerca di avventure. E poi perché fidarsi? di cosa fidarsi? Di quell’intuizione di bello che che riecheggia nella canzone intonata dai nani alla fine di una serata imprevista e turbolenta? E cosa portarsi dietro? Quasi tutti gli oggetti cari (a partire dagli immancabili fazzoletti!), che legano all’idea di casa, vengono smarriti subito, eppure è proprio il ricordo della contea, della storia che lo costituisce, ciò cui Bilbo rimane ancorato e che gli consente di recuperare la propria umanità quando sarebbe facile cedere alla furia bestiale e, per fare un esempio, uccidere Gollum. Il ricordo di casa, il ricordo della mamma… Un viaggio straordinario , sorprendentemente a misura di bambino.

Ma per aiutarci ad andare ancora più a fondo in questo percorso alcuni esperti tolkieniani italiani hanno scritto un libro: C’era una volta… Lo Hobbit – Alle origini del Signore degli Anelli, a cura di Roberto Arduini, Alberto Ladavas e Saverio Simonelli, edito da Marietti. All’interno due poesie inedite di J.R.R. Tolkien, dedicate alla figura del Drago (The Dragon’s Visit) e all’idea di fiaba (Once Upon a Time), ma soprattutto una serie di brevi saggi sui temi più suggestivi del romanzo: l’eroe predestinato, i nani depositari di saggezza antica e duro pragmatismo, la concretezza dei Tuc, etc. Un viaggio nel viaggio, insomma, sulle orme di chi non ha mai attraversato un bosco oscuro o luminoso che fosse, guadato un torrente, turbinoso o placido che apparisse, scalato un pendio, irto o dolce, senza la consapevolezza che ciascuno dei propri passi era un approssimarsi al Destino.

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