«I cristiani devono restare in Siria per ricostruire il paese e l'umano»

Intervista a suor Marta, superiora delle monache trappiste di Azeir: «Tanti musulmani si stanno interrogando sulla loro fede e cercano un modo di vivere più tollerante»

«I cristiani devono restare in Siria per ricostruire il paese e l’umano». È quanto dichiarato durante una delle sue rare visite in Italia a Ora Pro Siria da suor Marta, superiora delle monache trappiste di Azeir, le stesse che a marzo, durante la liberazione del Ghouta orientale da parte dell’esercito siriano, hanno firmato una coraggiosa lettera-appello per chiedere all’Occidente e ai media di smettere di alimentare la propaganda che dipinge i cosiddetti ribelli come dei santi perseguitati, invece che per ciò che sono veramente: jihadisti che negli anni hanno ucciso centinaia di persone lanciando missili su Damasco e terrorizzando la popolazione.

BISOGNI MATERIALI E SPIRITUALI. «All’interno la Siria si sta stabilizzando, lo Stato siriano sta ritrovando la sua unità», afferma. «Anche il fatto che si possa andare in macchina da Damasco ad Aleppo dice molto di questa normalizzazione. È chiaro che dobbiamo fare i conti con tutta la distruzione che si è creata, le sanzioni internazionali che ci soffocano, la mancanza di materie prime e di scambi. Ma oltre al bisogno materiale, noi sentiamo che la gente ha anche un bisogno spirituale, di ritrovare una motivazione profonda alla dimensione umana ferita che questa guerra atroce ha creato».

I CRISTIANI RESTINO. Le sorelle trappiste, oltre a costruire il loro monastero (qui un reportage di Tempi), accolgono tutti coloro che hanno bisogno, cristiani e musulmani. E suor Marta osa lanciare un appello ai primi: «Potrebbe sembrare disumano chiedere alle famiglie cristiane di restare, ma sono loro l’anello che permette la riconciliazione. I cristiani sono l’anello di congiunzione nella grossa divisione che si è creata a livello confessionale nella società siriana. Noi in Occidente abbiamo ridotto il lavoro al guadagno, alla sicurezza e alla molteplicità delle esperienze; mentre il lavoro è la prima espressione dell’uomo che si mette alla prova, si conosce e si sperimenta nei propri limiti e nelle proprie possibilità, s’inventa e crea. Possiamo restare, se crediamo che è possibile fare un’esperienza dell’umano come ciò che veramente realizza, perché la domanda vera è: che cosa realizza realmente la persona?».
L’ISLAM CAMBIA. La guerra e la violenza dello Stato islamico e dei tanti fondamentalisti che hanno distrutto il paese non hanno portato solo morte e desolazione. «L’esperienza del fondamentalismo in Siria ha posto molti interrogativi: noi conosciamo molte persone che di fronte alla loro stessa fede nell’islam si sono poste molte domande e cercano ora un modo vero di vivere la loro fede, un modo più tollerante, un modo che è comunque aperto ad altre esperienze», continua suor Marta. «Certo non bisogna darlo per scontato, bisogna lavorare, bisogna dialogare, bisogna non avere paura di creare spazi di riflessione. Non è automatico ma io vedo che c’è una volontà, un desiderio di andare al fondo del vivere insieme».
IL COMPITO DEI CRISTIANI. Non lasciar cadere questa volontà ma stimolarla è proprio il compito dei cristiani: «Oggi in Siria ci sono alcune persone che se n’erano andate e che tornano, nascono piccole iniziative di lavoro, realtà di collaborazione che si stanno creando pur passando attraverso faticosi cammini di riconciliazione. Per questo occorre investire molto su una progettualità di pensiero. In questo le Chiese e i cristiani hanno un grosso compito, che è il loro proprio compito, di stimolare un pensiero e una coscienza di senso».

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