Tutto il Medio Oriente è coinvolto in questo conflitto

Dall’Iran all’Arabia Saudita, passando per Egitto, Qatar, Turchia e Russia. Chi sono gli attori regionali che hanno e avranno un’influenza diretta o indiretta sulla crisi

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu in una foto d’archivio (foto Ansa)

Dall’Iran all’Arabia Saudita, passando per Egitto, Qatar, Turchia e Russia, l’attacco senza precedenti condotto nelle prime ore del mattino di sabato 7 ottobre da Hamas insieme ai militanti di altri gruppi armati della Striscia di Gaza tira in ballo una miriade di attori regionali, e non, che hanno e avranno a vario titolo un’influenza diretta o indiretta sulla crisi.

«Con la guerra contro Hamas cambieremo il Medio Oriente»

Sul campo la situazione è ovviamente in continua evoluzione e va verso un’escalation dalle imprevedibili conseguenze sia in termini di vittime che di obiettivi coinvolti con i raid israeliani hanno iniziato a interessare non solo la Striscia di Gaza, ma anche il Libano meridionale feudo del movimento sciita Hezbollah sostenuto e finanziato dall’Iran. Israele ha annunciato un “assedio completo” della Striscia di Gaza schierando oltre 100.000 militari (altre centinaia di migliaia sarebbero in arrivo) dopo che il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha minacciato di trasformare l’enclave palestinese assediata in una “isola deserta”, affermando che con la guerra contro Hamas “cambieremo il Medio Oriente”.

In attesa della risposta di Israele che gode dell’appoggio di Stati Uniti e anche dell’Unione europea è evidente che quanto accaduto riguarda tutta la regione mediorientale, e non solo viste le conseguenze evidenti provocate da quello è considerato l’attacco più grave subito dallo Stato ebraico dalla guerra dello Yom Kippur del 1973 e il più sanguinoso per la popolazione civile dal 1948.

Gli occhi su Teheran

Il primo attore su cui sono stati puntati i riflettori è ovviamente l’Iran, nemico storico dello Stato ebraico che secondo fonti di Hamas ed Hezbollah citate dal Wall Street Journal avrebbe partecipato attivamente alla pianificazione dell’attacco sferrato dalle milizie palestinesi. Le fonti del quotidiano americano si sono spinte oltre, sottolineando che sarebbe stato proprio il regime di Teheran a dare il via libera per l’attacco durante una riunione a Beirut lunedì 2 ottobre. Stando alle indiscrezioni riportate dal quotidiano statunitense, ufficiali del Corpo delle Guardie della rivoluzione islamica dell’Iran hanno collaborato con Hamas sin da agosto per ideare le incursioni via terra, mare e aria.

Ovviamente l’Iran ha negato questa versione con il portavoce del ministero degli Affari esteri, Nasser Kannani che parlando in conferenza stampa lunedì ha affermato che le «accuse legate al ruolo iraniano si basano su ragioni politiche». Tale tesi, che potrebbe essere sfruttata da Israele per un attacco contro l’Iran, è contestata da eminenti osservatori israeliani, tra cui Raz Zimmit esperto dell’Alliance Center for Iranian Studies and The Institute for National Security Studies, dell’Università di Tel Aviv.

«Mentre non vi sono dubbi sulla cooperazione militare tra Iran e Hamas e sul crescente coinvolgimento dell’Iran nell’arena palestinese, compresa la Cisgiordania, negli ultimi anni, dubito fortemente che l’Iran sia stato coinvolto in modo significativo nell’ultima azione di Hamas. Questa è una storia palestinese», ha affermato Zimmit in un lungo post su X, nel quale però avverte sul rischio di un coinvolgimento più diretto di Teheran in base alle evoluzioni dell’escalation militare.

Il ruolo dell’Egitto di Al Sisi nella guerra Hamas-Israele

Altro attore regionale che ha avuto, ha e avrà un ruolo in quello che è già un nuovo conflitto israelo-palestinese è l’Egitto. Nonostante i difficili, se non pessimi, rapporti tra il governo di Abdel Fattah al Sisi e la leadership di Hamas derivanti dalla repressione del governo del Cairo contro il movimento della Fratellanza musulmana (a cui si ispira Hamas stessa), l’Egitto ha continuato a giocare un ruolo da mediatore tra i militanti al potere nella Striscia di Gaza e Israele, sostanzialmente facendo leva sull’apertura e la chiusura del valico di Rafah, unico collegamento tra l’enclave palestinese con il resto del mondo.

L’Egitto, secondo quanto riferito da Reuters, sarebbe in contatto con Israele e Hamas per cercare di prevenire un’ulteriore escalation negli scontri tra loro e garantire la protezione degli israeliani presi in ostaggio dai militanti palestinesi.

Inoltre, secondo fonti dell’intelligence egiziana citate dall’AP, Israele avrebbe ignorato i ripetuti avvertimenti egiziani secondo cui Hamas stava pianificando “qualcosa di grosso”, tra cui una diretta comunicazione dei servizi del Cairo al premier israeliano Benjamin Netanyahu.

Da ricordare che Il Cairo ha avuto effetti diretti in patria derivanti dal blitz di Hamas, che vanta molti sostenitori nel Paese. L’8 ottobre, mentre i miliziani palestinesi continuavano a sciamare in Israele tramite le brecce aperte nella barriera che divide lo Stato ebraico dalla Striscia di Gaza, un poliziotto egiziano ha aperto il fuoco sui turisti ad Alessandria d’Egitto, uccidendo due cittadini israeliani e un egiziano.

Il ruolo del Qatar

Due importanti attori regionali che insieme all’Egitto giocano un ruolo fondamentale nel caos del conflitto israelo-palestinese sono il Qatar e l’Arabia Saudita.

Sostenitore dell’ideologia della Fratellanza musulmana, il piccolo e ricchissimo emirato del Golfo ospita l’ufficio politico di Hamas dal 2012 e almeno dal 2014 ha sostenuto progetti infrastrutturali nella Striscia per centinaia di milioni di dollari, oltre a pagare gli stipendi dei funzionari di Hamas, forniture di carburante ed energia elettrica.

Il Qatar è stato tra i primi a offrire una sua mediazione per cercare di negoziare la libertà per le donne e i bambini israeliani sequestrati da Hamas in cambio del rilascio di 36 donne e bambini palestinesi dalle carceri israeliane, offerta però rigettata dalle autorità israeliane che a Reuters hanno affermato che non vi sarebbe alcun negoziato in corso.

Gli accordi tra Israele e Arabia Saudita

L’Arabia Saudita, guidata dall’intraprendente e controverso principe ereditario Mohammed bin Salman, è l’altro attore regionale a cui guardare, non tanto per la sua leva sui militanti islamisti di Hamas, quanto per il futuro dell’accordo di normalizzazione con lo Stato ebraico che era stato dato praticamente per certo prima del devastante attacco del gruppo armato islamista. Diversi analisti hanno collegato la tempistica degli attacchi come un tentativo del gruppo islamista di far abortire gli accordi tra Riad e lo Stato ebraico. A fine settembre il ministro del Turismo Haim Katz si era recato a Riad per prendere parte a un evento organizzato dalle Nazioni Unite in quella che ha rappresentato la prima visita pubblica di un esponente del governo israeliano nel Paese del Golfo.
Erdogan tenta la mossa da grande politico.

La posizione “neutrale” della Turchia

Nel novero degli attori regionali non può mancare la Turchia del presidente Recep Tayyip Erdogan, sempre abile a sfruttare le situazioni di crisi per accrescere il suo prestigio internazionale, come già dimostrato nell’accordo sul grano tra Russia e Ucraina raggiunto nel 2022 e durato fino a luglio di quest’anno. Come sottolinea il sito Al Monitor, Erdogan sta assumendo volutamente una posizione neutrale nel conflitto di Gaza, evitando una retorica incendiaria che farebbe deragliare il suo tentativo di grande politico sulla scena internazionale, offrendosi di mediare tra Israele e Hamas. Erdogan non ha mai nascosto di essere filo-palestinese, rimproverando notoriamente il presidente israeliano Shimon Peres al World Economic Forum di Davos, in Svizzera, nel 2008 per la morte dei palestinesi e congelando le relazioni dopo l’incidente della Mavi Marmara nel 2010.

Tuttavia, dopo gli Accordi di Abramo del 2020, Ankara ha avviato una politica di riavvicinamento a Israele per evitare l’isolamento e, come riferito lunedì dalla presidenza turca, Erdogan ha intrattenuto conversazioni telefoniche separata con il presidente israeliano Isaac Herzog e con il leader palestinese Mahmoud Abbas, in cui ha assicurato entrambi i leader che la Turchia sta facendo del suo meglio per ripristinare la calma.

Hamas e la Russia

L’attacco sferrato da Hamas non poteva non inserirsi, almeno nelle analisi e nelle dichiarazioni delle cancellerie, nel confronto tra Occidente e Russia legato al conflitto in Ucraina. Mosca ha ospitato una delegazione di alto livello di Hamas lo scorso 18 settembre e sui media israeliani non sono mancate analisi e commenti che ritengono che le mani che avrebbero reso possibile un attacco di questo tipo sarebbero proprio da ricercare in Russia.

Sul piano ufficiale, la Russia ha condannato sia per tramite del portavoce della presidenza Dmitry Peskov che del ministro degli Esteri Sergej Lavrov l’escalation di violenza, criticando gli Stati Uniti per quello che ha definito un «approccio distruttivo che ha ignorato la necessità di uno Stato palestinese indipendente». La Russia, che ha rapporti con i Paesi arabi, è uno stretto alleato dell’Iran (Teheran fornisce i famigerati droni Shahed 136 impiegati in Ucraina) e Hamas così come con Israele, ha affermato che l’Occidente ha ignorato la necessità di uno stato palestinese indipendente entro i confini del 1967.

«Non posso non menzionare la politica distruttiva degli Stati Uniti che ostacola gli sforzi collettivi nel quadro del Quartetto di mediatori internazionali», ha detto Lavrov ai giornalisti dopo i colloqui a Mosca con il capo della Lega Araba Ahmed Aboul Gheit. Gli Stati Uniti, ha detto Lavrov, hanno cercato di “monopolizzare” il dialogo tra palestinesi e israeliani e di abbandonare la creazione di uno Stato palestinese a favore di colloqui volti ad alleviare i problemi socio-economici dei palestinesi, ha affermato il ministro degli Esteri russo.

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