Gregoire, l’ex meccanico africano che libera i malati di mente dalle catene, si racconta alla Bbc

Da trentacinque anni Ahongbonon si occupa di persone emarginate perché sospettate di essere indemoniate. «Gesù Cristo è presente nella loro carne»

«Nel terzo millennio il fatto che possiamo trovare persone in catene e incatenate agli alberi è inaccettabile, tutto questo si deve fermare. E lo ripeterò ancora e ancora. Finché ci sarà anche solo un essere umano in catene allora l’intera umanità sarà in catene». Sono quasi trentacinque anni che Gregoire Ahongbonon passa le sue giornate a liberare letteralmente dai ceppi i malati di mente, che in alcuni paesi dell’Africa occidentale ancora oggi vengono emarginati e incatenati perché sospettati di essere indemoniati. La storia di questo ex meccanico libertino del Benin che è stato anche sull’orlo del suicidio prima di riconvertirsi al cristianesimo, e la cui fama è cresciuta di anno in anno insieme alla sua opera, è ora raccontata anche in un reportage della britannica Bbc.

IL PRIMO INCONTRO. Era il 1982 quando Gregoire, dopo essere piombato nella disperazione, fu invitato in pellegrinaggio in Terra Santa dove sentì una frase che gli sconvolse la vita: «Ogni cristiano deve posare una pietra per costruire la Chiesa». Di ritorno in patria l’uomo vide un malato di mente, emarginato per la sua condizione, vagare nudo per strada. Decise di prendersene cura e si rese conto che di gente così l’Africa era piena. Soprattutto il Benin, dove impera la superstizione voodoo. Scelse quindi di dedicare tutto il suo tempo alle persone affette da disturbi psichici e di girare l’Africa per raccoglierle dalle strade e liberarle dalle catene. A Bouaké, in Costa d’Avorio, avviò anche un gruppo di preghiera che decise di affiancarlo dando vita all’Associazione San Camillo de Lellis di Bouaké.

LA STORIA DI AIME. Oggi quell’associazione, racconta la Bbc, «ha più di una dozzina di centri in Costa d’Avorio, Benin, Togo e Burkina Faso» e «si occupa di centinaia di pazienti» a costi accessibili a tutti. In uno dei centri c’è Aime: «È appena uscito dalla sua stanza. Fa piccoli passi, le sue caviglie sono legate in ceppi d’acciaio». Aime ha 24 anni e «i suoi fratelli e sorelle maggiori hanno cercato di prendersene cura come potevano». Il ragazzo, però, non riusciva a dormire, urlava giorno e notte e la sua famiglia non poteva pagargli i trattamenti clinici. Le sue sorelle disperate lo avevano incatenato, ma dopo aver partecipato a una conferenza tenuta da Gregoire hanno chiesto aiuto all’uomo, che lo ha portato in una delle sue strutture: «I pazienti con problemi mentali sono considerati posseduti dal diavolo o vittime delle stregoneria», spiega Gregoire.

UN APPROCCIO UMANO. Il problema, che spesso precede la decisione di incatenare i malati mentali (condannati a rimanere in quella condizione anche per anni), è rappresentato dai cosiddetti guaritori che consultano le divinità per sapere se il paziente, per meritare quella “punizione”, abbia rotto o meno qualche taboo. Spiega Greogoire: «In Africa la percezione dei guaritori è che siano più efficienti dei medici nel trattare le malattie mentali. Ma io la vedo diversamente. Molti pazienti si rivolgono per prima cosa alle chiese e con i guaritori, e così, prima che arrivino a ricevere terapie appropriate, le loro condizioni fanno in tempo a deteriorarsi terribilmente». Non per questo, però, l’associazione di Gregoire si accontenta della psicoterapia. I centri della San Camillo infatti si avvalgono della collaborazione di specialisti europei che ogni tanto rimangono presso le strutture per due settimane, ma la priorità è nella preghiera e «nell’approccio umano combinato ai bassi costi». Infatti, a lavorare nei centri sono molti dei pazienti guariti, mentre in cambio di vitto e alloggio i parenti pagano solo i medicinali.

«LA MIA BATTAGLIA». «Aime è migliorato immediatamente. È tornato a dormire», riprende a raccontare la giornalista della Bbc. Anche Jidikael si è stabilizzato e ora torna al centro solo una volta al mese per i trattamenti: «Soffre ancora per alcuni effetti collaterali», ma «ha cominciato a fare pratica come sarto». Non tutte le persone prese in carico da Gregoire sono così fortunate però, perché, spiega «in alcuni casi la malattia è già cronica. Ma possiamo aiutarli a stabilizzarsi e a ritrovare la propria dignità. La mia battaglia è contro le catene». Una battaglia che coincide con quella pietra «che ogni cristiano deve posare per costruire la Chiesa».

UNA NUOVA CULTURA. Per Gregoire, come ha rivelato lui stesso lo scorso agosto in una intervista a Tempi, quelle persone ridotte in catene e trattate peggio degli animali hanno un’importanza enorme, perché «Gesù Cristo è presente nella loro carne». Inutile chiedergli di trarre un bilancio della sua opera: «Finché ci sono malati incatenati a un albero o dentro a una capanna, io non posso fare un bilancio di vittoria. La mia vittoria fino ad oggi è trovarli e farmi aiutare da Lui per liberarli». E per questo ex meccanico folgorato da Dio l’opera di liberazione delle persone non si esaurisce nella cura dei disperati. Gregoire infatti si spende molto anche per diffondere in Africa una nuova cultura capace di accogliere e proteggere gli “ultimi”. Per questo, dice alla Bbc, «bisogna fare conferenze scientifiche, educare la gente, approfondire la catechesi». Perché «lo ripeterò ancora e ancora. Finché ci sarà anche solo un essere umano in catene allora l’intera umanità sarà in catene».

@frigeriobenedet

Exit mobile version