Governare Roma con Whatsapp

Ascesa e caduta dei “quattro amici al bar” che volevano cambiare il mondo e si sono ritrovati ingarbugliati in storie di dossier e polizze. Il caso Raggi

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola da oggi, giovedì 2 febbraio, a Milano e Roma (nel resto d’Italia a partire da venerdì, qui l’elenco delle edicole dove trovarci). Gli abbonati possono già scaricarlo e leggerlo in formato digitale collegandosi a settimanale.tempi.it. Qualche anticipazione sui contenuti in questo articolo.

È tornata la Roma dei dossier, dei pasticci e dei faccendieri. Il protagonista indiscusso di questo romanzo Capitale non è tanto Virginia Raggi ma quel Raffaele Marra che – ricorda l’ex sindaco Gianni Alemanno, che lo ebbe come “portaborse” – «era uno straordinario fabbricante di dossier. Uno sgobbone, che entrava in conflitto con tutti». Il M5s aveva annunciato di liberare la Capitale, ma oggi è finito nella palude.

Si erano presentati così: «A Roma ci sono un sindaco e una giunta inadeguati. Noi siamo pronti a governare con serietà». Era il 15 giugno del 2015 quando in una giornata uggiosa della Capitale i pentastellati marciarono su Roma e la conquistarono dopo lo scandalo Mafia Capitale. In quegli attimi le note del movimento targato Beppe Grillo rimbombano fino a piazza Venezia. E fra quei pentastellati che urlano – «onestà, onestà, onestà!» – c’è una giovane consigliera comunale che di nome fa Virginia Raggi. Viso lineare, capelli lisci color nero, occhi vispi, vestiti sobri. Raggi, dal quartiere Ottavia, è un avvocato che – dopo un tirocinio presso lo studio di Cesare Previti, che nasconde nel suo curriculum – muove ufficialmente i primi passi in politica con il movimento. Al punto da scatenare le invidie del Pd: «Avrebbe tutte le caratteristiche per essere il nostro volto a Roma».

Giovane dai modi garbati (in realtà, in Campidoglio, dicono oggi «non era così preparata, era un fantasmino, arrivava con i discorsi già pronti»), viene definita in quei giorni «il volto rassicurante» e «spendibile» sulla scena nazionale. La scalata di Virginia, appunto, si consuma in poche settimane. Perché quando sembra cosa fatta per Marcello De Vito – il predestinato primo cittadino per il Campidoglio – la scena muta come nel più classico dei vertici della Prima Repubblica. In una notte di dicembre, durante un’assemblea pentastellata, a porte chiuse, filtrano dossier ai danni di De Vito che determineranno il passo indietro dell’allora capogruppo. De Vito è il fedelissimo di Roberta Lombardi, parlamentare vicina all’ex comico, che nell’inner circle di Grillo avrebbero ribattezzato come «il Goffredo Bettini dei cinquestelle, è lei a controllare più iscritti a Roma». Ed è lei, Lombardi, a spingere per la candidatura di De Vito.

I giorni passano e Virginia da Ottavia conquista le comunarie, la consultazione fra gli iscritti al blog di Beppe Grillo. A questo punto il passo verso Palazzo Senatorio è breve. Il 20 giugno Raggi è il nuovo sindaco di Roma: «Sono emozionata». Ed è qui che entrano in scena i «quattro amici al bar» della chat whatsapp. Coloro che metteranno le mani sulla città-Stato dei pentastellati. Eccoli, dunque, Raffaele Marra, Daniele Frongia e Salvatore Romeo. Gli «amici al bar» con cui Virginia s-messaggia e che la notte del 19 giugno esultano: «Ce l’abbiamo fatta!». Marra e Romeo si mettono subito a lavorare perché entrambi conoscono a menadito l’amministrazione capitolina.

Il primo è un ex finanziere che inizia la sua scalata politica nel 2006 quando il vescovo Giovanni d’Ercole lo mette in contatto con Gianni Alemanno all’epoca ministro delle Politiche agricole. Raccontano che Marra si sia presentato così all’entourage alemanniano con una barzelletta che la dice tutta sul personaggio: «Il funzionario della Guardia di Finanza pone una domanda al maresciallo: quanto fa 100 diviso 2? Replica il maresciallo: 70 a me, 30 a te». Il sogno di Marra è quello di entrare nei servizi segreti e Alemanno prova ad accontentarlo piazzandolo nella Unire («non lo accontentai, Marra vinse un concorso», spiega oggi Alemanno), un ente che fa parte del dicastero dell’ex aennino ed è guidato da Franco Panzironi, un vecchio dc.

A Palazzo Senatorio avviene l’incontro fra Marra e Romeo. Quest’ultimo è un semplice funzionario capitolino in forza al dipartimento delle partecipate. Chi conosce le stanze del Campidoglio colloca la presentazione fra Marra e Romeo a  fine 2013. In quei giorni Marra diviene il direttore della struttura amministrativa delle partecipate e sempre più spesso frequenta Romeo, che da funzionario rappresenta il Comune all’assemblea dell’Ama. Romeo è già un iscritto al M5s e fornisce un contributo, guida il dipartimento bilancio del M5s. È una sorta di «consulente ombra». «Colui che accompagna ogni decisione di Virginia, e non solo», mormorano. È appunto Romeo a presentare Marra alla futura sindaca perché «conosce benissimo la macchina amministrativa». Il resto è storia recente.

Raggi, già prima del suo insediamento, ha in mente la sua squadra, quella composta dai «4 amici al bar»: Frongia capo di gabinetto, Marra, vicecapo di gabinetto e Romeo a capo della segreteria politica. Il piano, però, salta. L’incarico a Frongia viene revocato, ma Marra riesce a rimanere al suo posto, così come Romeo, che, dopo essersi messo in aspettativa, viene riassunto sempre dal Comune di Roma con un compenso triplicato da 39 mila a 110 mila euro. Poi Marra si ritrova in carcere, per le mazzette che avrebbe ricevuto dal costruttore Sergio Scarpellini.

Si racconta che il giorno dell’arresto Grillo abbia vergato un post che sanciva l’espulsione della sindaca. Ma sul punto di pubblicarlo ci sarebbe stata la frenata di Casaleggio Junior: «Non possiamo permetterci di lasciare Roma a pochi mesi dalle elezioni». Romeo, poco dopo, lascia il suo incarico e torna a fare il funzionario. Tutto precipita. Per la nomina del fratello di Marra a capo del dipartimento turismo, invece, Raggi finisce per essere indagata per abuso d’ufficio e falso. Convocata dai pm, scopre che Romeo nel gennaio 2016 ha stipulato in suo favore una polizza da 30 mila euro a sua insaputa: «Sono sconvolta, non ne so nulla».

La storia si intreccia con i giochi di potere che si consumano all’interno della galassia grillina. «Se ci fosse ancora in vita Gianroberto (Casaleggio, ndr) Virginia oggi non sarebbe più sindaco», confidano in Transatlantico. E allora perché la Raggi resiste? In realtà il garante di Virginia è Luigi Di Maio, vice presidente della Camera, e uomo forte di Casaleggio e Grillo. Nel luglio del 2015 a Montecitorio “Luigino” aveva incontrato Raffaele Marra, anche se in seguito ha rinnegato l’incontro. Da Roma passano il futuro del movimento e le aspirazioni da premier di Di Maio. Hic rhodus, hic salta.

@GiuseppeFalci

Foto Ansa

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