Ricostruire l’Europa a partire da ciò che può rendere veramente umana la vita

L'Atto Europeistico, il grande discorso di Giovanni Paolo II del 1982, ci dice qualcosa sulla guerra oggi in Ucraina: «Europa, ritrova te stessa. Sii te stessa. Riscopri le tue origini»

Al di là delle posizioni, tutte legittime (e sottolineo tutte, con buona pace di certa narrativa mainstream con tanto di revival maccartista) sulla guerra in corso in Ucraina, c’è un tema che meriterebbe una riflessione più approfondita. Anche, ma direi soprattutto alla luce della questione del “che fare?” dopo – e si spera il prima possibile – che le armi avranno taciuto. Il tema riguarda l’Europa. O meglio, il fallimento dell’idea di Europa che ha guidato, soprattutto a partire dal 1991, la costruzione della cosiddetta Unione Europea.

La questione è primariamente di ordine culturale, e solo dopo politica (e men che meno economica). D’altra parte, che sia questa “la” questione attorno alla quale tutto ruota è dimostrato da un fatto tanto semplice quanto apparentemente ignorato. Il fatto cioè che dalla fine del secondo conflitto mondiale a oggi le uniche due guerre accadute in Europa – quella dei Balcani del 1992-1995 e quella in corso – sono entrambe riconducibili al crollo l’ex Unione sovietica e al modo in cui dopo i fatti dell’89 e del ’91 venne gestita la delicata partita della riunificazione dei paesi dell’ex blocco sovietico con quelli occidentali e più in generale su quali basi impostare il rapporto con la Russia.

Democrazia in Europa

L’errore alla base del fallimento dell’idea di Europa poc’anzi accennato, è consistito nel credere che la storia fosse finita, che cioè alla vittoria del capitalismo e del liberalismo occidentali nei confronti del socialismo sovietico avrebbe corrisposto la naturale e spontanea affermazione della democrazia ovunque in Europa.

Non solo ciò si è rivelato quanto meno problematico per non dire illusorio; ad aggravare la situazione vi è stata anche la volontà, perseguita da ben precise élite, di accompagnare il processo di unificazione ed allargamento dell’Europa con l’imposizione di un altrettanto preciso modello di laicità, ma meglio sarebbe definirlo laicismo, cui ha specularmente corrisposto – per un malinteso quanto ingiustificato senso di colpa – la progressiva quanto inesorabile demolizione di tutto il retaggio culturale e valoriale del “vecchio” Occidente.

Detto altrimenti: se a livello politico il crollo del Muro ha significato, fatto in sé positivo, la fine di un lungo periodo di divisione, anche fisica tra i popoli, a livello culturale la riunificazione che ne è seguita ha assunto i connotati – per l’abbandono e il rifiuto di ciò che da millenni costituiva l’humus di riferimento, ossia il cristianesimo – di una vera e propria colonizzazione ideologica, per usare un’espressione cara a papa Francesco.

L’Atto Europeistico

L’esatto contrario di ciò che auspicava in epoca non sospetta Giovanni Paolo II. A tal riguardo torna utile rileggere per la sua straordinaria attualità l’”Atto Europeistico”, il memorabile discorso che il santo papa polacco tenne il 9 novembre 1982 a Santiago de Compostela.

Nel 1982 il mondo era ancora diviso in blocchi e il crollo del Muro di Berlino era di là da venire. Ma con la lungimiranza profetica che gli era propria Wojtyla già guardava avanti. Egli dapprima ricordò come «la storia della formazione delle nazioni europee scorre parallela a quella della loro evangelizzazione, fino al punto che le frontiere europee coincidono con quelle della penetrazione del Vangelo. Dopo venti secoli di storia… si deve affermare che l’identità europea è incomprensibile senza il Cristianesimo, e che proprio in esso si ritrovano quelle radici comuni dalle quali è maturata la civiltà del vecchio continente, la sua cultura, il suo dinamismo, la sua operosità, la sua capacità di espansione costruttiva anche negli altri continenti; in una parola, tutto ciò che costituisce la sua gloria».

Nichilismo che disarma

Successivamente, dopo aver rivolto il suo sguardo all’Europa come al Continente – e qui prego sacerdoti e adepti woke di prendere nota – «che ha più contribuito allo sviluppo del mondo, tanto sul piano delle idee quanto su quello del lavoro, delle scienze e delle arti» – Wojtyla va dritto al problema: «Non posso tacere lo stato di crisi in cui esso (il Continente europeo, ndr) si dibatte, alle soglie del terzo millennio dell’era cristiana».

Crisi che – nella sua analisi -aveva un duplice aspetto, civile e religioso. «Sul piano civile, l’Europa è divisa. Innaturali fratture privano i suoi popoli del diritto di incontrarsi tutti reciprocamente in un clima di amicizia… La vita civile è anche segnata dalle conseguenze di ideologie totalitaristiche, la cui estensione va dalla negazione di Dio o dalla limitazione della libertà religiosa, all’importanza preponderante attribuita al successo economico rispetto ai valori umani del lavoro e della produzione; dal materialismo ed edonismo, che intaccano i valori della famiglia feconda e unita, dalla vita appena concepita alla tutela morale della gioventù, a un “nichilismo” che disarma la volontà di fronteggiare problemi cruciali come quelli dei nuovi poveri, degli emigrati, delle minoranze etniche e religiose…».

«Ritrova te stessa»

Come si vede, Wojtyla aveva già messo a fuoco che oltre alle ideologie totalitarie – chiaro il riferimento al comunismo – erano in atto dall’altra parte del muro dinamiche sociali e culturali non meno temibili e che oggi vediamo dispiegate in tutta la loro virulenza.

C’era poi la crisi sul piano religioso. Anche qui, notava Wojtyla, «l’Europa è divisa». Divisa non solo per via delle fratture storiche che hanno infranto l’unità dei credenti, ma anche (e soprattutto) per l’abbandono di tanti fedeli «dalle ragioni profonde della loro fede e dal vigore dottrinale e morale di quella visione cristiana della vita, che garantisce equilibrio alle persone e alle comunità».

Ed è a questo punto che Giovanni Paolo II, dando un tono volutamente solenne al discorso, pronuncia quello che lui stesso chiama un grido d’amore rivolto all’Europa e che merita essere riportato per intero:

«Ritrova te stessa. Sii te stessa. Riscopri le tue origini. Ravviva le tue radici. Torna a vivere dei valori autentici che hanno reso gloriosa la tua storia e benefica la tua presenza negli altri continenti. Ricostruisci la tua unità spirituale, in un clima di pieno rispetto verso le altre religioni e le genuine libertà. Rendi a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio. Non inorgoglirti delle tue conquiste fino a dimenticare le loro possibili conseguenze negative; non deprimerti per la perdita quantitativa della tua grandezza nel mondo o per le crisi sociali e culturali che ti percorrono. Tu puoi essere ancora faro di civiltà e stimolo di progresso per il mondo. Gli altri continenti guardano a te e da te si attendono la risposta che san Giacomo diede a Cristo: “Lo posso”».

Tornare a essere cristiana

Il papa credeva ancora nell’Europa, egli vedeva per l’Europa un futuro ancora di splendore – «tu puoi essere ancora faro di civiltà e stimolo di progresso per il mondo» – nonostante le crisi e le tensioni in essa presenti. Ma ad una condizione: che l’Europa riscoprisse e ritrovasse sé stessa, le sue vere radici. E questo nell’ottica di Giovanni Paolo

II che voleva dire una cosa sola: tornare ad essere un’Europa cristiana. «…se l’Europa aprirà di nuovo le porte a Cristo e non avrà paura di aprire alla sua salvatrice potestà i confini degli Stati… il suo futuro non rimarrà dominato dall’incertezza e dal timore, ma si aprirà ad una nuova stagione di vita, sia interna che esteriore, benefica e determinante per il mondo intero, sempre minacciato – attenti ora – dalle nubi della guerra e dal possibile uragano dell’olocausto atomico».

La radice del problema

Rilette a quarant’anni di distanza e nel mezzo di una guerra dagli esiti imprevedibili, e senza dimenticare che dopo appena dieci anni da quel discorso una guerra sanguinosissima scoppiò nei Balcani, sono parole che fanno riflettere. Sono parole che debbono far riflettere. È vero, l’Europa è stata insanguinata per secoli da guerre e devastazioni anche quando era cristiana. Ma le guerre ci furono per i peccati degli uomini, certo non a causa del Vangelo.

Il tema posto da Wojtyla va alla radice del problema: senza Cristo non ci può essere vera pace, vera libertà, vera fratellanza, vera unità. In tale contesto la Chiesa, dirà ancora Wojtyla, «è cosciente della parte che le compete nel rinnovamento spirituale e umano dell’Europa. Senza rivendicare posizioni che occupò nel passato e che nell’epoca attuale sono totalmente superate, la Chiesa stessa si pone in servizio, come Santa Sede e come Comunità cattolica…».

Nuova evangelizzazione

La Chiesa è dunque a servizio di questa missione, è chiamata a cooperare per il raggiungimento del comune obiettivo di ricostruire l’Europa. Come? Facendo ciò che sa fare e ciò per cui esiste: evangelizzare. Non a caso l’11 maggio 1986 celebrando a Ravenna la ricorrenza dei santi Cirillo e Metodio, Giovanni Paolo II nell’omelia disse che il messaggio dei due patroni d’Europa, insieme a Benedetto, è «un invito al continente europeo a riscoprire nel cristianesimo la comune radice e la forza per costruire la civiltà di domani», chiedendo espressamente alle «nuove generazioni cristiane» di «adoperarsi, con efficace impegno, per attuare una nuova evangelizzazione della società europea».

Non solo. «Occorrerà inoltre cercare le vie di un rinnovato dialogo tra fede e cultura… È questo un compito che si impone specialmente ai giovani, ai quali l’Europa moderna lancia come una sfida. La rifondazione della cultura europea è l’impresa decisiva e urgente del nostro tempo. Per rinnovare la società, occorre far rivivere in essa la forza del messaggio di Cristo, redentore dell’uomo».

Questa è la vera posta in gioco del conflitto in Ucraina. Prima ancora che gli equilibri geopolitici, i rapporti di forza tra Nato e Russia e i tavoli diplomatici, oggi come e più di quarant’anni fa la sfida è solo una: ricostruire l’Europa a partire da ciò che, solo, può rendere veramente umana la vita.

Foto Ansa

Exit mobile version