Francesca Puglisi (Pd): «Senza le materne paritarie un bambino su due non avrebbe posto a scuola»

La responsabile nazionale per l'istruzione del Partito Democratico a tempi.it: «La penso come Prodi. Sostenere l'opzione "B" è la soluzione migliore»

Altro che sottrarre risorse alle materne statali, con le quali si potrebbero creare più posti riducendo così le liste d’attesa. Senza finanziamenti alle scuole dell’infanzia private paritarie, non ci sarebbe posto per il 50 per cento dei bambini italiani. Parola di Francesca Puglisi, capogurppo Pd alla Commissione istruzione del Senato e responsabile nazionale del suo partito per l’istruzione, che è intervenuta per sostenere l’opzione “B” al referendum di Bologna contro l’abolizione dei finanziamenti alla scuole dell’infanzia private paritarie.

Puglisi, anche lei si è schierata in difesa del modello Bologna. Come mai?
Sono convinta che sostenere l’opzione “B” per il prosieguo del finanziamento alle scuole dell’infanzia private paritarie da parte del Comune sia la soluzione migliore. È compito di un’amministrazione comunale, infatti, occuparsi di tutti i bambini della propria comunità; in questo caso, permettendo loro, senza esclusione alcuna, di frequentare una scuola, sia essa comunale, statale oppure privata paritaria.
Le scuole d’infanzia private paritarie, del resto, hanno sottoscritto con l’amministrazione una convenzione in cui si sono impegnate a operare entro determinati parametri, a rispettare la carta dei servizi e a garantire precisi standard qualitativi relativamente alla loro offerta.
Questo è il modello di governo del sistema pubblico integrato della scuola dell’infanzia scelto dal Comune di Bologna, dove il 60 per cento degli istituti sono comunali e il 23 per cento privati paritari. Caso più unico che raro nel panorama italiano. E dove, se proprio c’è qualcuno che non fa la sua parte, quel qualcuno è lo Stato, con il suo magrissimo 18 per cento di scuole materne.

Eppure c’è chi continua a dire che sarebbe meglio eliminare del tutto i già esigui finanziamenti alle paritarie per destinare tutto allo Stato. Senza considerare minimamente il risparmio che questi istituti generano per la collettività. Di questo almeno sembrano essere convinti i promotori del referendum. Perché?
Sul referendum si stanno caricando le frustrazioni, a volte anche giuste, di molti, tra personale e docenti, per via della difficile condizione in cui versa la scuola italiana dopo anni di tagli indiscriminati, sia alle private paritarie sia alle statali. Come Romano Prodi anche io avrei preferito che la mia città potesse essere capace di dialogo sul tema, evitando di giungere all’adozione di un referendum. Ma così non è stato. Credo, infatti, che l’impegno collettivo di tutta la città dovrebbe concentrarsi soprattutto nell’esaurire la lista d’attesa di 103 bambini che ancora non possono frequentare una scuola dell’infanzia.

Come fare?
Sicuramente attraverso la partecipazione di tutti i tipi di scuola, private paritarie, statali e comunali. Poi, sono le istituzioni che devono impegnarsi in prima persona per fare qualcosa: sono 150 mila in tutta Italia i bambini che non hanno o non trovano posto nella scuola dell’infanzia. Occorre uno sforzo collettivo. Anche perché, in questi anni, i Comuni, che hanno il compito del governo pubblico del sistema integrato, hanno avuto i bilanci falcidiati dal taglio dei trasferimenti statali e in più hanno le mani legate dai vincoli del patto di stabilità interno relativamente all’assunzione del personale.
Personalmente sto lavorando a una proposta di legge che prevede l’assegnazione alla scuola (statale, comunale o privata paritaria che sia) di una quota capitaria per ogni bambino che nasce, così da potergli assicurare di frequentare la scuola dell’infanzia o materna, a seconda delle necessità della famiglia. Si tratterebbe di finanziamenti da destinarsi sempre nel pieno rispetto dei criteri di cui sopra. La responsabilità della gestione dei fondi sarebbe in capo all’ente.

Perché modelli pubblici integrati come quello di Bologna sono un bene per il paese?
L’Italia è un Paese variegato, anche per quanto concerne la scuola. Basti pensare che, mentre il Lombardia e in Veneto il 60 per cento delle scuole sono private paritarie, nelle Marche l’80 per cento sono statali. Sarebbe controproducente privatizzare tutto, così come pure lo sarebbe statalizzare tutto. In ogni caso, sarebbe una soluzione estremamente sbagliata. È proprio la compresenza dei tre tipi di scuola, governati dall’ente locale, infatti, a garantire che la qualità continui a crescere e per tutti.

A chi continua a strumentalizzare l’articolo 33 della Costituzione per difendere la scuola statale contrapponendola a quella privata, che dovrebbe essere esclusa dai finanziamenti, cosa dice?
Che c’è una legge dello Stato, che nel 2000 votò tutto il centrosinistra italiano (la riforma Berlinguer, ndr), comunisti compresi, che non ha mai subito alcuna eccezione di costituzionalità. Tutte le scuole, anche quelle private paritarie che rispondono a determinati criteri, infatti, contribuiscono a svolgere una funzione di pubblica utilità e sono meritevoli di esistere. Dovessimo cancellare i finanziamenti alle paritarie, a Bologna come altrove in Italia, non solo non riusciremmo a raggiungere l’obiettivo della generalizzazione della frequenza alla scuola dell’infanzia, ma nemmeno riusciremmo a mandarci il 50 per cento dei nostri bambini.

@rigaz1

Exit mobile version