Finalmente la felicità, l’ultimo film di un Pieraccioni sul viale del tramonto

Leonardo Pieraccioni torna con la solita commedia garbata e lontana dalle gag urlate dei cinepanettoni. Ma Finalemente la felicità, nonostante l'ottimo spunto, tradisce le aspettative e non convince pubblico e critica. Per il comico toscano i bei tempi de Il ciclone sono ormai solo un vecchio ricordo

Se non ti stanchi di aspettare le cose arrivano. E’ con battuta seria, la migliore di un film in cui scarseggiano i momenti davvero divertenti che Leonardo Pieraccioni chiude il suo decimo film da interprete e regista. La formula è quella consolidata ma che da qualche stagione a questa parte dà segni di cedimento: un tenero, sognante protagonista, Benedetto (il cinquantenne Pieraccioni, sempre più uguale a se stesso), un sogno fatto di musica per bambini, il ricordo di una madre scomparsa in un modo surreale. L’incontro, fulminante e imprevisto, con una bella latina. E navigati caratteristi (qui il sempre bravo Rocco Papaleo) a dare pepe e ritmo alla storia.

E’ da almeno 15 anni, dai tempi de Il ciclone che Pieraccioni costituisce l’alternativa garbata e romanticheggiante alle urla dei cinepanettoni. Con il fido sceneggiatore Giovanni Veronesi ha puntato tutto sui vecchi arnesi del cinema d’intrattenimento, la commedia degli equivoci, una spruzzatina di sesso, il fascino di una lingua di grande tradizione comica come quella toscana, ambientazioni di sicuro impatto. Così, ecco Lucca e i personaggi di varia umanità della provincia toscana, Papaleo che fa l’autista di un pullman di turisti (curiosamente lo stesso mestiere di Ficarra e Picone in Anche se è amore non si vede); il viaggio in una Sardegna da cartolina e persino un parentesi pseudoreligiosa; la ragazza bellissima e innocente che dopo tanto vagare affettivo trova un porto sicuro nel simpatico Benedetto. Stessi ingredienti, quindi, dei film precedenti e stesse debolezze. Innanzitutto, la prevedibilità di una formula che non lascia scampo: le svolte sono ovvie e di conseguenza il ritmo scarseggia nonostante la presenza di spirito di Papaleo, il migliore del cast. Poi la mancanza di caratteristi di spessore, eccezion fatta per il grande attore lucano, che però sul finire del film trova sempre meno spazio, Maurizio Battista e Andrea Buscemi non valgono un’unghia dell’estro (spesso mal utilizzato) di Ceccherini, qui presente solo in un cameo.
 

A livello di sceneggiatura manca un equilibrio tra i toni romantici che spesso sconfinano nel kitsch o nel ridicolo involontario come nella sequenza della samba al cimitero e i toni più scanzonati e goliardici: fa piacere che Pieraccioni, a cinquant’anni suonati, imbastisca un film per dire che la felicità è a portata di mano e ha gli occhi e il bel faccino della sua figlioletta Martina, ma il discorso è detto e non svolto e i personaggi trattati in modo superficiale. Il tema, anche interessante, è eseguito senza talento. Ben distante dai suoi corregionali più talentuosi, Roberto Benigni e Francesco Nuti, che hanno rischiato sulla propria pelle film e operazioni diverse e curiosamente hanno fallito sullo stesso film (Pinocchio e OcchioPinocchio) ma hanno provato a svecchiare la commedia romantica, hanno provato a fare qualcosa di nuovo, Pieraccioni ha intercettato a inizio anni ’90 quel pubblico desideroso di commedie diverse e garbate, ha azzeccato un film e mezzo (I laureati e Il ciclone) e poi, dopo un tentativo velleitario e scombiccherato con Il mio West di Veronesi, si è accovacciato su posizioni attendiste. E, come il suo protagonista, ha aspettato, aspettato, aspettato di bissare un successo che, stando così le cose, difficilmente potrà arrivare.

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