Fair play finanziario, per i club arriva l’ora del giudizio. Come stanno Juve, Milan e Inter

Intervista a Paolo Ciabattini, autore di un libro sul tema. «Nessuno vuole parlarne, ma i club dovranno raggiungere i pareggi di bilancio. La Uefa non scherza». Besiktas, Bursaspor e Paok le prime vittime.

Il tempo per sistemare i conti stringe. Un anno fa la Uefa approvava un regolamento in materia di fair play finanziario, per evitare che le squadre si trovassero sempre più spesso a fare i conti con problemi di natura economica. «Se ne parlò molto allora, mentre non si dice nulla adesso che, paradossalmente, è il periodo più caldo per questo tema». A spiegarci l’importanza di queste misure è Paolo Ciabattini, ex-procuratore di calcio e soprattutto autore del libro Vincere con il fair-play finanziario (Il Sole 24 ore libri). «Siamo davanti all’ultima finestra di mercato utile prima della chiusura dei bilanci e quanto accade tra luglio e agosto ha sempre enorme influenza sui conti dei club. È adesso che le squadre cercano di mettersi in linea. Invece nessuno ne parla, forse perché c’è paura».

Eppure, se i nostri club non si muovono in maniera avventata sul mercato è proprio per queste normative.
Sì, il fair play finanziario è un vero cambio di mentalità. I presidenti delle squadre italiane avrebbero tutto l’interesse affinché si parli di questo tema, perché è una valida giustificazione ai loro comportamenti sul mercato: le loro campagne acquisti sono condizionate profondamente dalla situazione delle loro casse, dato che già i bilanci del 30 giugno prossimo varranno per i calcoli del risultato di bilancio. Il concetto principale è uno: il modello di business, che prima contava tutto sull’intervento di mecenati che ripianavano le perdite, ora dovrà cambiare. I club dovranno essere in grado di competere stando all’interno delle risorse che saranno in grado di generare da soli.

Ci spieghi allora come si struttura il fair play finanziario.
La normativa si articola in 100 pagine, che però possiamo sintetizzare fondamentalmente in due grandi concetti. Il primo riguarda i club piccoli e medi, e dice in sostanza che questi non devono avere debiti scaduti. È una norma che si basa su verifiche fatte quasi trimestralmente, e dopo un anno di vita ha già mietuto le prime vittime. Ad esempio il Besiktas: è stato squalificato per due stagioni dalle coppe Europee da scontare entro i prossimi cinque anni. Poi ci sono i turchi del Bursaspor, o il Paok Salonicco, anche loro colpiti con sanzioni simili.

E il secondo?
È quello più importante, la regola di cui si è parlato di più in questi anni, perché riguarda i top club. È quella sui debiti di bilancio, che ammette una deviazione massima dal pareggio consentita a seconda del periodo di monitoraggio. Il primo è il 2012-13, con uno scostamento che non può superare i 45 milioni dal pareggio di bilancio. Il secondo invece va dal 2012 al 2014, con la stessa cifra di tolleranza. Ciò vuol dire che se nel primo periodo un club accumula 45 milioni di euro di debito, nel secondo dovrà stare attento a non sforare quella cifra.

Chiaro. In questo modo si cerca di limitare il più possibile i debiti delle squadre.
Sì, ma c’è un’ultima cosa da aggiungere, molto importante: c’è una clausola un po’ nascosta ma molto importante che permette ai club di non consolidare, solo per l’esercizio del 2012, il costo degli stipendi dei giocatori acquistati prima di giugno 2010. È un grande aiuto per le squadre, che sostanzialmente permette loro di avere un cospicuo sconto. Il Milan, per esempio, nel bilancio 2011 ha 206 milioni di costo degli stipendi. In questo caso, significa risparmiare tra i 100 e il 150 milioni. Vuol dire che questa clausola consente ai presidenti di concentrare tutte le proprie attenzioni di risparmio sul 2013: basterà limitare le perdite di quell’anno a 45 milioni, e le società saranno a posto.

E chi rimane fuori da questi parametri a cosa va incontro?
L’Uefa ha stabilito tre tipi di sanzioni, a seconda della gravità: la prima sono tagli o riduzioni pesanti dei premi. La seconda prevede il blocco del mercato, mentre la terza, ben più pesante, è l’esclusione dalle competizioni europee.

E di vittime ce ne sono già state. La Uefa non scherza: prima parlavamo delle squadre turche, ma sempre attuale è il dramma dei Rangers, che hanno accumulato un debito di 93 milioni di euro col fisco britannico. Sembra che il club scozzese dovrà ripartire dalla serie più bassa del suo campionato, senza ricevere aiuti da nessuno.
Sì, perché nessuno vuole assumersi un debito che non è suo, e conviene quindi acquistare la squadra per pochi soldi dalla quarta serie e provare a ricominciare. È quello che è successo pochi anni fa al Napoli o alla Fiorentina. È vero, da loro sono ben più rigidi che da noi: la scorsa stagione il Dundee fu retrocesso nella seconda divisione per problemi economici decisamente minori.

Ma come hanno fatto i dirigenti dei Gers ad accumulare un buco simile?
Si parla di un debito col fisco, verso lo Stato. Sono quindi tasse e oneri previdenziali non pagati negli scorsi anni: la squadra scozzese aveva un disequilibrio tra la situazione economica e quella finanziaria. Riuscivano a fare magari un conto economico quasi in pareggio, ma intanto accumulavano debiti. Perché nel calcio ci sono dei meccanismi che ti permettono di far figurare meglio i conti economici rispetto alla situazione reale di cassa. Un esempio? Le plusvalenze: scambi un giocatore e lo valuti tanto. Così realizzi subito la plusvalenza, mentre i costi di quello che hai ricevuto lo spalmi negli anni successivi. Dal punto di vista economico è un miglioramento, dal punto di vista finanziario no perché non c’è flusso di denaro, o se c’è è limitato.

Sembra che però per certi club queste regole finanziarie non esistano. Penso, ad esempio, al Manchester City…
È vero, e credo che il City sia la squadra che rischia più di tutte di venire punita dalla Uefa. Sembrano i più sfacciati, e per quanto facciano piani di recupero molto speranzosi, non credo ce la faranno. Non so perché si comportino così: forse credono di farcela, però la vedo dura. Consideriamo che loro chiudono il 2011 con 225 milioni di euro di perdita. Oppure, l’ipotesi alternativa, è che non gliene freghi niente e vadano avanti per la loro strada. D’altronde, anche Platini lo ha detto di recente: il fair play finanziario è stato fortemente voluto da tanti club, anche Berlusconi e Moratti hanno spinto tanto, ma non certo gli sceicchi. Sicuramente il City avrà un grande ricavo col ritorno in Champions League, in più possono contare su un contratto da quasi 40 milioni con la proprietà della sponsorizzazione dello stadio. E di recente hanno fatto nuovi accordi televisivi, nettamente più favorevoli rispetto a quelli italiani. Ma se anche facessimo dei calcoli ottimistici, di fronte a 225 milioni di perdita si riesce forse ad arrivare a 100 milioni, non di meno.

E in Italia, invece, come stanno le nostre squadre?
Parliamo delle tre più grandi. La Juventus chiude il 2011 con 95 milioni di perdita: una cifra clamorosa, mai fatta registrare dalla dirigenza bianconera. Sono perdite dovute alla scellerata gestione di Blanc, con acquisti rivelatisi flop clamorosi: Andrade (10 milioni), Diego (24), Melo (25) e altri ancora. In secondo luogo, ha influito l’assenza dei proventi Champions, che portano almeno 25-30 milioni ogni anno. E infine il fatto che dal 2011 in Italia è stata introdotta la contrattazione collettiva, che per i top club ha significato una perdita di 23 milioni di euro in diritti tv rispetto all’anno precedente. Il nuovo stadio ha portato ad un incremento notevole nei ricavi, che si aggira tra il 30 e i 35 milioni. Così, facendo un paio di calcoli, la Juve dovrebbe chiudere il 2012 con una perdita di 60-65 milioni, cifra che starebbe fuori dai fatidici 45 di tolleranza, ma che verrebbe comunque tollerata proprio per quella clausola sui contratti stipulati prima del 2010. Poi però i bianconeri nel 2013-14 dovranno rimanere entro quella soglia: un aiuto lo avranno di certo dalla partecipazione alla Champions, ma per il mercato le resterebbero comunque pochi soldi. Se non vende bene gli esuberi che ha, un top player non può comprarlo. Mi ha sorpreso in questo senso l’acquisto di metà Giovinco a 11 milioni.

E Milan e Inter?
L’Inter partiva nel 2007 con 216 milioni di perdita. Moratti allora disse: “Basta”. Da lì ha fatto molto, con cessioni ben fatte come quello di Ibra, Balotelli, Eto’o, Thiago Motta… però resta comunque ancora distante dalla soglia di tolleranza. Io credo che nel 2012 chiuderà intorno ai 70 milioni di perdita, riuscendo a ritagliarsi poco spazio economico per fare mercato. Dovrà quindi fare altri colpi in uscita, di peso. Il Milan chiude invece il 2011 a 67 milioni di euro di perdita: secondo me cambierà poco nel 2012, quindi se vogliono acquistare qualcuno devono trovare il modo per aumentare i ricavi o cedere un top player. Thiago Silva era una grande occasione, e non è detto che alla fine non si farà.

E tra i piccoli club italiani troviamo qualche esempio virtuoso? Stupisce sempre l’Udinese che, con pochi soldi, riesce a costruire sempre organici di livello.
In Serie A di esempi buoni ce ne sono tanti e nominare solo l’Udinese sarebbe un torto per gli altri: vale la pena citare per esempio il Napoli, che è in utile da 5-6 anni, con un fatturato sempre in crescita. I partenopei erano partiti dalla Serie C con 10 milioni di fatturato, ora sono a 130. Poi sì l’Udinese, che ha un sistema di scouting capillare, specie in Africa e Sudamerica: in più appoggiandosi al Granada, altra squadra di proprietà dei Pozzo, può valorizzare a costo zero quei giocatori che sono in esubero in Friuli. E poi c’è il Catania, che aveva in Lo Monaco un ottimo conoscitore del campionato argentino, e la Lazio, che da tanti anni arriva a fine stagione coi conti in utile. E infine, il Chievo.

@LeleMichela

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