«Guai a chi crede di bastarsi. Occidente, non ripetere l’errore della mia Svezia»

Intervista a Erik Gandini, regista di "La teoria svedese dell'amore". «Ci ha tradito l’idea che per stare bene non si deve avere bisogno degli altri»

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

Il contrario di indipendenza è dipendenza. E una dipendenza virtuosa, dice a Tempi Erik Gandini, regista di La teoria svedese dell’amore (il film documentario a cui è dedicato il servizio di copertina il numero del settimanale in edicola), «dovrebbe essere una interdipendenza, cioè una relazione dove il bisogno che abbiamo dell’altro non viene negato. La parola dipendenza ha una connotazione negativa, ed effettivamente l’idea di liberare le persone dalle forme di dipendenza economica verso altri individui è giustissima. Ma il risultato a livello esistenziale è stato un’ossessione per l’indipendenza che ha portato a un distacco fra le persone».

Crede che il modello svedese dell’indipendenza dell’individuo si realizzerà in tutta Europa, oppure la crisi economica lo renderà irrealizzabile? Dobbiamo ringraziare la stagnazione e il debito pubblico, che ci risparmieranno l’alienazione individualista?
L’idea nordica di indipendenza si è potuta realizzare grazie alla situazione economica favorevole, ma è vero anche che tutto il mondo occidentale va nella stessa direzione, come mostra la mappa dei valori che appare nel film. La sfida è potere avere il benessere materiale e una vita di relazioni umane significative allo stesso tempo. Su questo dovrebbe svilupparsi il dibattito politico e culturale.

Il film mostra la condizione dei giovani e degli anziani, ma non quella dei bambini. Ho letto da qualche parte che 400 mila bambini svedesi non vedono mai o quasi mai il loro padre biologico. È una conseguenza del modello svedese? È un tema che come regista vorrebbe indagare?
Non so se la cifra è corretta, ma sui bambini bisogna dire due cose. La prima è che la famiglia svedese per quanto riguarda i bambini può essere più funzionale di quella italiana, quando si considera che la natalità svedese è nettamente più alta: quasi due figli per donna contro 1,3 in Italia. La seconda è che effettivamente a un bambino svedese può accadere facilmente di vivere in una famiglia monoparentale, e qua la cosa è giudicata positiva. Proprio a motivo dell’impostazione individualista: l’indipendenza dell’individuo significa che deve poter avere un figlio senza bisogno di un’altra persona. Qualche mese fa è stata approvata una legge, simile a una già in vigore in Danimarca, in forza della quale una donna che vuole avere un figlio da sola con l’inseminazione ha diritto a fondi pubblici se non ha le risorse economiche per farlo. Per gli svedesi questo è un traguardo di progresso. Trovo la cosa triste dal punto di vista esistenziale, ma questa è la mentalità dominante.

Come modelli alternativi lei propone i giovani che si ritirano nelle foreste per condividere emozioni e contatto fisico e il medico che emigra in Etiopia e lì ritrova le esperienze dell’altruismo e della relazionalità umana. Ma non sono modelli un po’ ingenui? Le comuni hippies sono già fallite, e le culture africane sono ricche di valori umani ma anche di disvalori.
Il film non intende proporre modelli, ma solo far riflettere. I ragazzi nei boschi e il chirurgo espatriato in Etiopia sono casi estremi che hanno una funzione drammaturgica all’interno del film; tutti i personaggi del film, anche quelli che incarnano l’individualismo, sono estremi. Col richiamo all’Africa volevo comunicare anche il concetto che non dobbiamo pensare di essere noi i migliori e quelli che hanno sempre le idee più giuste.

Come dice anche Zygmunt Bauman nella parte finale del film, accettare il dialogo vuol dire essere disposti ad accettare che la propria posizione era sbagliata e quella altrui giusta.
Bauman è colui che ha scritto: «La società perfetta non esiste. L’unica società perfetta è quella che non crede di essere perfetta». Sono d’accordo con lui.

Negli anni Sessanta e Settanta la Svezia era vista come il paese dell’amore libero e del permissivismo sessuale, ma il quotidiano svedese Aftonbladet ha scritto che secondo uno studio la frequenza dei rapporti sessuali in Svezia in vent’anni è diminuita del 24 per cento. Secondo lei questa tendenza ha a che fare col modello dell’indipendenza individuale?
Anche in questo caso la cifra andrebbe verificata, ed è curioso che dopo la pubblicazione di questi articoli di giornale il ministero della Sanità abbia deciso di avviare un’inchiesta ufficiale per verificare se la situazione è quella denunciata. Se fosse confermata non ci sarebbe da stupirsi: sarebbe una prevedibile conseguenza dell’idea che per stare bene non dobbiamo avere bisogno degli altri.

@RodolfoCasadei

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