Egitto: «Elezioni presidenziali entro giugno», militari ancora al potere

Quasi mezzo milione ieri in piazza Tahrir per chiedere che i militari lascino il potere ai civili. Hussein Tantawi, capo del Consiglio militare, dichiara alla folla: «Elezioni presidenziali entro giugno e governo di salvezza nazionale». Ma non è ancora chiaro chi dovrebbe prendere il posto dell'esecutivo dimissionario di Sharaf. Probabile ElBaradei

In centinaia di migliaia si sono recati ieri in piazza Tahrir, al freddo e a rischiare pallottole e lacrimogeni. E non cedono: insistono perché i militari lascino il controllo dell’Egitto ai civili. La risposta, in un discorso alla nazione in tv, del maresciallo Hussein Tantawi, capo del Consiglio militare subentrato all’ex presidente Hosni Mubarak, è stata però molto chiara: i militari andranno via con un referendum, se necessario, se la nazione che devono proteggere lo vuole veramente. A questa dichiarazione dell’attuale numero 1 del paese, la piazza, con una sola voce ha reagito con un grido, «via», e ha riecheggiato le scritte disseminate sugli edifici circostanti: «Salvate l’Egitto dai ladri e dai militari». La delusione che giovani e meno giovani egiziani ed egiziane hanno accumulato in questi dieci mesi, da quando il vecchio rais se n’è andato – proprio per mano di quei militari che oggi sono al suo posto – non è stata dissolta né attenuata da alcune concessioni che il Consiglio militare aveva deciso poco prima del discorso in tv.

Il vice di Tantawi, il generale Sami Anan ha avuto nel pomeriggio di oggi un faticoso incontro con le forze politiche di diverso schieramento. La riunione ha raggiunto quello che ai militari era forse sembrato un grosso obiettivo: accordi per tenere le elezioni presidenziali entro giugno 2012 (fino ad oggi non era stata mai fissata una data di una scadenza) e per formare un governo di salvezza nazionale, proprio come richiesto dalla piazza, ma senza indicarne i componenti. Proprio la formazione di nuovo governo andava incontro alla richiesta dei manifestanti di dimissioni di Essam Sharaf e dei suoi ministri, presentate ieri e che fino ad oggi erano rimaste in sospeso. «Le forze armate non aspirano a governare – ha detto Tantawi – e mettono gli interessi supremi del paese sopra ogni considerazione». Ma queste parole non hanno convinto chi era in piazza, forse anche perché nel frattempo ad Alessandria la polizia continuava a sparare contro i manifestanti e al Cairo vicino alla sede del Ministero dell’interno, adiacente a piazza Tahrir, i militari hanno dovuto rimpiazzare i poliziotti ad evitare che i 40 morti e 1700 feriti di questi quattro giorni aumentassero ancora in modo imprevedibile.

«Se per mandare via Mubarak ci sono voluti 15 giorni e abbiamo pagato un prezzo di 850 vittime – si chiede con tristezza Omar, giovane studente di medicina che aiuta in uno dei sei ospedali da campo spuntati come funghi sulla piazza – quanti giorni e quante vittime ci vorranno per mandar via questi militari?». Ma Ahmed, poco lontano, gli fa notare che quei militari hanno facilitato l’allontanamento del vecchio rais. Non è affatto chiaro chi potrà prendere il loro posto per mandarli via.

Intanto è arrivata la conferma che il 28 novembre si terranno le elezioni per la nomina del Parlamento anche se molti candidati hanno bloccato in segno di protesta la campagna elettorale. Come detto ieri a Tempi.it dall’inviato al Cairo per il Christian Science Monitor Kristen Chick, «molti chiedono che le elezioni vengano posticipate perché non credono che, finché i militari sono al potere, potranno mai verificarsi elezioni libere e giuste, non pilotate».

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