E poi ci si chiede perché quei terroristi abbiano colpito proprio Barcellona

Mentre tutti avvertono l’esigenza di mettere in comune competenze e dati per schiacciare i jihadisti, la Catalogna va irresponsabilmente nella direzione contraria

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti) – Come se il 17 agosto sulla Rambla non fosse accaduto nulla. Come se il mondo, non solo gli addetti alla sicurezza di Barcellona, non avesse constatato che fra le cause della morte di 15 persone che passeggiavano in un pomeriggio estivo vi sia stata l’assenza di collaborazione fra la polizia regionale della Catalogna, i Mossos d’Esquadra, e la Guardia civil.

Lo sappiamo tutti, l’attentato al centro di Barcellona è stato preceduto da una esplosione che il giorno prima aveva distrutto una casa ad Alcanar, località a un centinaio di chilometri di distanza, uccidendo due persone e ferendone altre nel danneggiamento degli immobili vicini. La polizia regionale – per l’appunto, i Mossos – aveva inizialmente imputato la deflagrazione a una fuga di gas, trascurando la circostanza che dentro l’abitazione erano stati trovati decine di contenitori di butano e di propano: una quantità incompatibile con ordinarie esigenze familiari, comunque tale da destare sospetti. La stessa polizia regionale, convinta che si trattasse di un incidente domestico, aveva omesso nell’immediatezza qualsiasi approfondimento su altre sostanze che avevano contribuito alla esplosione (fra esse, la cosiddetta Tapt, o “madre di Satana”) e coloro che dimoravano in quella casa: incluso quel Abdelbaki Es Satty, il quarantenne imam marocchino di Ripoll (Spagna), che è poi risultato essere la mente degli attentati in preparazione e di quelli che si sono realizzati. Noto da oltre un decennio ai servizi di tutta Europa, e non solo, come jihadista attivo e pericoloso.

Di più: i Mossos hanno omesso qualsiasi segnalazione alla Guardia civil. Sarebbero ancora vive le vittime della Rambla se vi fosse stata adeguata attenzione e collaborazione fra la polizia regionale catalana e quella centrale spagnola? È un quesito che avrebbe dovuto inquietare spagnoli e catalani, spingendoli a dare maggiore efficienza al sistema, a rendere le informazioni immediate e circolari, a istituire organismi di raccordo, come in Italia avviene con il C.a.s.a., e a introdurre finalmente una formazione omogenea per evitare il ripetersi di buchi così clamorosi. Invece ci si ritrova nel pieno di una crisi che, iniziata all’insegna di slogan carichi di ideologia e di inettitudine nella gestione, oggi non si sa come far rientrare.

E Bruxelles non è da meno
Da un lato Carles Puigdemont, leader della coalizione anarco-trotzkista al governo a Barcellona dal 2015, in una recente intervista alla Süddeutsche Zeitung ha detto che il governo da lui presieduto «rappresenta la tradizione della Repubblica spagnola, schiacciata dall’esercito di Franco nella guerra civile». Ottant’anni dopo! Dall’altro il premier Mariano Rajoy e il suo Partito popolare, invece di disinnescare la tensione col riconoscimento di quella autonomia fiscale di cui godono Navarra e Paesi Baschi, dapprima ha traccheggiato, poi ha mandato la Guardia civil a gettare benzina sul fuoco con perquisizioni e arresti. E ci si chiede perché terroristi pur giovani, inesperti e improvvisati abbiano scelto Barcellona per i loro attentati?

Dunque, per tornare al 17 agosto, il problema non sono i singoli appartenenti ai Mossos che, intervenuti ad Alcanar sul luogo dell’esplosione, non hanno capito nulla di quanto era accaduto. Il problema è strutturale: in Catalogna si ha la presunzione di farcela da soli, anche sul fronte della sicurezza, perché la suggestione ideologica indipendentista conta di più; raccordarsi con la Guardia civil, che pure ha professionalità e informazioni maggiori rispetto alla polizia locale, ha il significato di mettersi nelle mani della polizia dello Stato occupante. Il voto referendario del 1° ottobre punta di fatto a consolidare questo deficit strutturale: mentre l’esigenza avvertita da tutti, dentro e fuori l’Europa, è di mettere in comune competenze e dati per schiacciare una aggressione tutt’altro che invincibile, a Barcellona si va a grandi e irresponsabili passi nella direzione contraria.

Si è molto discusso in questi giorni delle ripercussioni che un percorso indipendentista provocherebbe sull’economia catalana, sulla permanenza di importanti aziende in quel territorio, sulle ricadute in termini di occupazione: tutte cose importanti, ma fra le voci della crisi non ci sono pure la prevenzione e il contrasto al terrorismo? E se Rajoy finora ha mostrato incertezza e scarsa attitudine nella gestione della crisi, una questione del genere non dovrebbe interessare le istituzioni dell’Unione Europea? Sì, quelle che hanno sede a Bruxelles. Città nella quale le due forze di polizia esistenti hanno bisogno dell’interprete per comunicare, visto che ciascuna parla una lingua diversa…

Foto Ansa

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