«È contro la legge». Tribunale ordina al sindaco di togliere il presepe dal Comune

Succede in Francia, a Béziers, dove un'associazione di sinistra ha fatto causa al primo cittadino perché «mette in scena la natività». L'ideologia rovina la società francese

Parigi. Negli ultimi anni, a ridosso del mese di dicembre, le associazioni laiciste fanno a gara per costringere la giustizia a rimuovere quel “pericoloso” simbolo della tradizione e dell’identità francesi che è il presepe. Ce l’hanno fatta anche quest’anno, a Béziers, nel sud della Francia, dove il sindaco Robert Ménard combatte da anni una crociata in solitaria contro questa torma di indignados. Mercoledì 14 dicembre, il Tribunale amministrativo di Montpellier ha ordinato al primo cittadino di Béziers di ritirare il presepe installato nel cortile del Comune, perché «mette in scena la natività» e la sua collocazione in un luogo pubblico «va contro le disposizioni dell’articolo 28 della legge del 9 dicembre 1905 e le esigenze legate al principio di neutralità delle persone pubbliche».

La battaglia laicista contro il presepe

La sentenza è stata accolta con costernazione dal sindaco di Béziers, tra i fondatori di Reporteurs sans frontières. «Obbediamo, ma sono dispiaciuto per questa decisione che è di una grande brutalità dinanzi a qualcosa che unisce», ha dichiarato Robert Ménard, sottolineando la forza simbolica e inclusiva del presepe, che va oltre l’aspetto religioso. Ménard l’aveva inaugurato il 2 dicembre davanti a centinaia di persone, tra cui molte famiglie con bambini al seguito, salutandone il carattere “culturale” e “festivo”. Ma non c’è stato niente da fare. La Ligue des droits de l’homme (Ldh), associazione vicina all’estrema sinistra, ha indossato l’elmetto laicista ed è andata fino in fondo nella sua furia iconoclasta.

Inizialmente, aveva sollecitato la prefettura dell’Hérault (il dipartimento di Béziers) «per far rispettare la legge». Ma in una lettera risalente al 5 dicembre, il prefetto aveva risposto che «lo Stato non avrebbe chiesto al sindaco di Béziers di rinunciare a quella installazione», perché il presepe è «un’animazione fra le altre». Indispettita dal muro alzato dalla prefettura, la Ldh, per voce della responsabile dipartimentale Sophie Mazas, aveva reagito con queste parole: «Il prefetto non usa più il suo potere e non fa applicare la legge. È per questo motivo che ci siamo rivolti al tribunale. La violazione sistematica della legge deve essere sanzionata».

Mercoledì, alla notizia della sentenza, ha stappato lo champagne. «Ci rallegra il fatto che il giudice abbia fatto rispettare la legge, ma ci facciamo molte domande sulla decisione del prefetto dell’Hérault di non far rispettare la legge. Chiederemo un appuntamento in prefettura, ma anche con la sua gerarchia», ha reagito Sophie Mazas con toni minacciosi.

«Una ideologia che rovina la società francese»

La giustizia ha dato al sindaco di Béziers un ultimatum di 24 ore per rimuovere il presepe, pena una multa di 100 euro al giorno. Il prossimo presepe che rischia di essere rimosso dai giudici è quello di Perpignan, città guidata dal vicepresidente del Rassemblement national, Louis Aliot. La giustizia, sollecitata dalla solita Ldh, si esprimerà il prossimo 20 dicembre, a cinque giorni dal Natale. Il 16 novembre, inoltre, il Consiglio di Stato francese si era già espresso contro il presepe allestito dal sindaco di Beaucaire, Julien Sanchez (Rassemblement national). Per l’editorialista e direttore della rivista politica L’Hémycicle, Éric Revel, dietro questi divieti c’è l’onda lunga del wokismo e della cancel culture: «Per decenni, il tema del presepe non è mai stato affrontato. È qualcosa di molto recente, perché c’è un legame col wokismo e la cancel culture. Siamo sommersi da questa ideologia che sta rovinando la società francese».

Lo stesso Consiglio di Stato che oggi si mostra rigidamente laicista indicava fino a sei anni fa che installare un presepe all’interno di un municipio era autorizzato, seppur nel rispetto di tre condizioni: che fosse “temporaneo”, che non fosse accompagnato da nessuna manifestazione di “proselitismo religioso” e che rivestisse il “carattere di una manifestazione culturale o quantomeno festiva”. Condizioni totalmente rispettate da Ménard e dai suoi colleghi, ma non per i magistrati, genuflessi alle mode del tempo.

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