Dove sbaglia il vescovo di Padova

Al numero 2.310 del Catechismo universale della Chiesa cattolica si legge che «I pubblici poteri, in questo caso (il caso in cui sussistono le condizioni per la legittimità della difesa nazionale, fissate al n. 2.309, ndr), hanno il diritto e il dovere di imporre ai cittadini gli obblighi necessari alla difesa nazionale. Coloro che si dedicano al servizio della patria nella vita militare sono servitori della sicurezza e della libertà dei popoli. Se rettamente adempiono il loro dovere, concorrono veramente al bene comune della nazione e al mantenimento della pace». Basterebbe questa citazione confutare la posizione espressa dal vescovo di Padova mons. Antonio Mattiazzo sui militari italiani caduti in Afghanistan.

 

Il presule avrebbe, secondo i giornali, recentemente dichiarato: «Certo, sono dispiaciuto per la morte di questi ragazzi. Ma andiamoci piano però con una certa esaltazione retorica: non facciamone degli eroi. Quelle non sono missioni di pace: vanno lì con le armi, e quindi il significato è un altro, non dobbiamo dimenticarlo. Magari poi si scopre che un soldato è morto per una mina fabbricata in Italia». A parte il fatto che in Afghanistan la gente non muore a causa di mine italiane, ma degli ordigni esplosivi seminati sul territorio dai talebani, non risulta, dalla lettura del Catechismo della Chiesa cattolica, che difesa della sicurezza e della libertà dei popoli e uso delle armi siano intrinsecamente in contraddizione, come vuol far credere il vescovo di Padova.


Forse il presule col suo intervento voleva sottolineare la dimensione profetica dell’agire cristiano, quella incardinata sulle parole del Vangelo: “A chi ti percuote su una guancia, offri anche l’altra”. Una dimensione che non è certamente estranea al Catechismo sopra citato, dove al numero 2.306 leggiamo: «Coloro che, per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, rinunciano all’azione violenta e cruenta e ricorrono a mezzi di difesa che sono alla portata dei più deboli, rendono testimonianza alla carità evangelica. Purché ciò si faccia senza pregiudizio per i diritti e i doveri degli altri uomini e delle società. Essi legittimamente attestano la gravità dei rischi fisici e morali del ricorso alla violenza, che causa rovine e morti».

 

Il Catechismo, però, è equilibrato; afferma sia i doveri istituzionali della Chiesa che quelli profetici, e mette in guardia dai pericoli che derivano dall’appiattirsi unilateralmente su una sola delle due dimensioni: i rischi fisici e morali del ricorso alla violenza, il rischio di pregiudicare il diritto alla sicurezza dei più deboli attraverso una pratica integralista della non violenza. Mons. Mattiazzo, invece, è tutto squilibrato sul versante profetico. E attira su di sé una facile accusa di incoerenza: come può un vescovo della Chiesa cattolica italiana, che ha firmato un’intesa con lo Stato italiano in base al quale riconosce detto Stato e riceve una quota delle sue entrate fiscali, assumere una posizione apertamente anti-istituzionale, com’è quella che sottintende che i veri cristiani non dovrebbero mai portare armi?

 

Per essere coerente col profetismo di cui si fa portabandiera, il vescovo dovrebbe rinunciare alla quota del sostentamento del clero di provenienza fiscale e ai servizi che lo Stato fornisce a lui come agli altri cittadini: Servizio sanitario nazionale, assegno pensionistico, servizi di utilità pubblica, ecc. Chi rifiuta di contribuire alla sicurezza dello Stato in nome di altri princìpi, non dovrebbe poter usufruire dei vantaggi che la vita dentro ai confini militarmente difesi dello Stato gli garantisce. Altrimenti cade nel fariseismo. 
 
 

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