Dimmelo tu cos’è lo spread

Una nuova legge introduce sui banchi di scuola l’educazione finanziaria, ma resta il problema del ritorno dell’etica nelle banche

Articolo tratto dal numero di Tempi in edicola (vai alla pagina degli abbonamenti)

Che cos’è l’inflazione? E un bond? Qual è la differenza tra un tasso di interesse semplice e uno composto? Tutte le recenti statistiche a livello europeo dicono che a domande come queste gli italiani sanno rispondere molto poco, piazzandosi in coda alle classifiche Ocse che rilevano il tasso di alfabetizzazione finanziaria dei paesi. Nonostante la proverbiale propensione al risparmio dell’Italia, dunque, nel paese ci sarebbe tanta ignoranza e questo trasforma i cittadini nel target perfetto a cui rifilare prodotti finanziari scadenti.

Così, dopo anni di dibattito e numerosi rinvii, il Parlamento – nell’ambito della legge di conversione del decreto risparmio approvata definitivamente il 16 febbraio 2017 – ha introdotto una norma che consente di fornire, partendo dalle scuole, almeno una preparazione di base. Insomma, l’educazione finanziaria è diventata legge. Inoltre, l’articolo 24 del decreto banche impegna il governo a elaborare entro sei mesi una “strategia nazionale” in materia (senza escludere i campi previdenziale e assicurativo) e istituisce un comitato ad hoc per promuove le opportune iniziative.

Il giusto entusiasmo per questo passaggio epocale (l’Italia è l’ultimo paese dell’area Ocse a introdurre una simile disciplina) rischia, però, di essere raffreddato da due considerazioni. La prima è che se sono stati trovati ben 20 miliardi di euro per ricapitalizzare le banche in crisi, si poteva fare qualche sforzo in più di 1 milione di euro all’anno per aumentare il grado di conoscenza dei cittadini in una fase in cui il rapporto di fiducia con il sistema rischia di incrinarsi a causa dei ripetuti scandali bancari in cui in tanti hanno visto dileguare i propri risparmi.

La seconda riguarda proprio lo spirito della legge. «L’approvazione di una legge sull’educazione finanziaria è senz’altro un passo importante ma non può rappresentare un scarico di responsabilità sui cittadini dell’inefficienza dei sistemi di controllo e di vigilanza», spiega Gaetano Megale, presidente di Progetica, società indipendente di consulenza specializzata nell’educazione e nella pianificazione finanziaria personale. «Sarebbe inoltre auspicabile che tutte le iniziative che saranno messe in campo restino indipendenti dagli interessi dell’industria dei prodotti e dei collocatori».

Secondo Megale, «è arduo sostenere che le decisioni efficaci e consapevoli delle persone (sulla gestione di risparmi, investimenti, indebitamento, pensionamento) dipendano essenzialmente dalla conoscenza e dalla comprensione della complessità dei prodotti finanziari». Tradotto in parole povere, se anche a scuola mi insegnano i rudimenti della finanza e seguo qualche corso, questo non mi mette al riparo dal rischio di investire in una polizza, in azioni o obbligazioni che possono mandarmi in mezzo a una strada. Prima di acquistare qualsiasi prodotto di questo tipo dovrei poter chiedere un consiglio disinteressato a qualcuno.

Ma la legge appena passata in Italia omette di contemplare la cosiddetta “consulenza oggettiva”, riportata proprio nella definizione Ocse di educazione finanziaria intesa cioè come capacità di effettuare scelte informate. Eppure gli esempi all’estero di questo tipo di approccio non mancano. In Inghilterra, per esempio, è attivo dal 2010 il Mas (Money advice service) un programma promosso dal governo che offre un servizio indipendente di consulenza ai cittadini anche attraverso il telefono e internet, oltre che di persona.

E a New York dal 2006 è in vigore il Fec (Financial empowerment center), un sistema esteso a diverse città statunitensi con l’obiettivo di migliorare le competenze di budgeting e money management, in altre parole la gestione e la riduzione dei debiti ed incrementare il risparmio. Anche nella città di Milano esiste un’iniziativa analoga promossa dal Comune in collaborazione l’Università Cattolica e la stessa Progetica. Ma si tratta di un’eccezione e diverso, certo, sarebbe avere un programma nazionale in questo senso.

Eppure, nell’attuale contesto di mercato c’è chi cresce nelle attività bancarie e finanziarie grazie ai princìpi di trasparenza. Proprio in questi giorni sono stati resi noti gli ultimi dati di bilancio di Banca Popolare Etica che ha raggiunto 40 mila soci e registra performance di mercato superiori alla media insieme con la controllata Etica sgr che gestisce fondi comuni d’investimento socialmente responsabili. Segno che la gente si fida sempre meno delle banche tradizionali? Andrea Baranes, presidente della Fondazione finanza etica e membro del cda della Banca risponde così: «Difficile affrontare il tema dell’educazione finanziaria senza parlare del fatto che molto spesso negli istituti bancari sono diffuse prassi come quelle di chiedere esplicitamente agli impiegati degli sportelli di vendere prodotti non in linea con i profili di rischio dei clienti perché questo consente ai top manager di realizzare risultati di breve periodo da cui dipendono le loro elevate remunerazioni».

In Banca Etica, per esempio, il rapporto tra lo stipendio del dipendente più alto e quello con la remunerazione più bassa non può essere superiore a 6 a 1, ma si tratta di un’eccezione. Baranes apre così un tema delicato che anche i sindacati dei bancari stanno affrontando dopo i numerosi episodi di malcostume venuti alla luce. Alessio Amadori è coordinatore nazionale dei consulenti finanziari del Fabi (sindacato bancario indipendente) e conclude così: «Lavoro in banca da quarant’anni e ho avuto esperienze anche all’estero, ma le mie conoscenze non mi mettono al riparo da rischi quando mi occupo di gestire i miei risparmi. Quasi sempre mi affido a un consulente. Il problema è che spesso nelle banche le leggi non vengono violate ma eluse o aggirate con seri danni per i clienti che si fidano di chi hanno di fronte. Per questo insieme con gli altri sindacati confederali dei bancari abbiamo avviato un percorso condiviso con l’ente di certificazione Uni per arrivare a redigere, entro fine anno, un codice di integrità che si ispira a princìpi e valori etici».

Foto Ansa

Exit mobile version