Ddl Zan. L’Italia non può ignorare la Nota del Vaticano

Il Parlamento non è libero di adottare leggi che siano in contrasto con gli obblighi internazionali dello Stato

Articolo tratto dal Centro Studi Livatino – La prof.ssa Monica Lugato, ordinaria di Diritto internazionale alla LUMSA di Roma, approfondisce alcuni aspetti di diritto internazionale correlati alla Nota Verbale comunicata dalla S. Sede alla Repubblica Italiana il 17 giugno, con particolare riferimento alle conseguenze prospettabili quanto al rispetto degli obblighi che le due Autorità hanno reciprocamente assunto con l’Accordo di revisione del Concordato.

Risulta da notizie ampiamente diffuse nei media che in data 17 giugno 2021 la Santa Sede ha fatto pervenire al Governo italiano, attraverso i canali diplomatici, una Nota Verbale con la quale rappresentava che il disegno di legge N. 2005, recante Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità (comunemente noto come disegno di legge Zan) solleva – dal punto di vista della Santa Sede, e rispetto agli accordi internazionali che ne regolano i rapporti con lo Stato italiano – alcune preoccupazioni (su di essa su questo sito).

In diritto internazionale, la nota verbale è lo strumento formale di comunicazione fra enti sovrani, «mezzo proprio del dialogo nelle relazioni internazionali» (nelle parole del Segretario di Stato vaticano, Cardinale Pietro Parolin, Osservatore romano, 24 giugno 2021, p. 5) e, come tale, elemento tipico della pratica dei rapporti internazionali. La nota verbale, per prassi consolidata, esprime ufficialmente la volontà di manifestare un punto di vista e aprire un dialogo su una questione attinente ai rapporti internazionali fra autore e destinatario. Trattandosi di iniziativa di carattere diplomatico, essa si inserisce in un contesto di tipo negoziale, in cui questioni, anche di natura giuridica – come in questo caso, trattandosi di interpretazione e applicazione di un accordo internazionale – sono affrontate senza che diritti ed obblighi procedurali delle parti siano, come tali, specificamente e direttamente regolati. Dal punto di vista sostanziale, sottolineo che anche questa fase dei rapporti fra enti sovrani è retta dal principio di buona fede.

La questione o le questioni rappresentate nella Nota verbale n. 9212/21/RS (il cui testo è pubblicato nell’Osservatore romano, 24 giugno 2021, p. 5) attengono ai possibili profili di contrasto del citato disegno di legge n. 2005, qualora fosse approvato nei contenuti attuali, con il Trattato del 18 febbraio 1984 fra la Santa Sede e la Repubblica italiana (reso esecutivo in Italia con la legge 25 marzo 1985, n. 121). Secondo la Santa Sede, nella sua attuale formulazione la proposta legislativa sarebbe lesiva degli obblighi internazionali assunti dall’Italia con i Patti Lateranensi riguardo alla garanzia della «piena libertà» di svolgimento della sua missione, complessivamente considerata: «pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione» (art. 2, commi 1 e 3, del Trattato del Laterano): sarebbero in particolare lese la libertà di religione e di culto, di organizzazione, di insegnamento, di espressione, in violazione delle disposizioni suddette e di quanto disposto nel successivo articolo 9. La Santa Sede chiede quindi al Governo italiano di «tenere in debita considerazione» tali argomenti e «auspica» «una diversa formulazione del testo normativo» coerente con i Patti Lateranensi, richiamando il fatto che essi godono di copertura costituzionale nell’art. 7 della Costituzione italiana.

Quali conseguenze possono essere ricollegate a questa iniziativa dal punto di vista del diritto internazionale, nel quale essa va, come si è detto, inquadrata? E più specificamente, cosa si può dire del seguito che l’Italia deve o dovrebbe assicurarle?

La Nota non contesta la violazione degli obblighi internazionali che l’Italia ha nei confronti della Santa Sede in base al Trattato del Laterano: il disegno di legge non è ancora stato approvato e quindi non sussiste il presupposto della “attualità” dell’inadempimento. Per il momento, non si è di fronte ad un simile scenario.

La Nota, invece, avverte della possibilità che un inadempimento potrebbe verificarsi, al maturare di una determinata condizione. Così facendo, trova conferma quanto sopra detto, ossia che la Santa Sede si pone sul piano della diplomazia, intendendo avviare un dialogo, politico-diplomatico appunto, diretto a prevenire la controversia e l’eventuale inadempimento. Ora, adoperarsi per prevenire l’insorgere delle controversie internazionali e/o la violazione degli obblighi che esso pone, è certamente un comportamento coerente con due esigenze fondamentali del diritto internazionale, ossia la garanzia dei rapporti amichevoli fra gli Stati e il rispetto e l’esecuzione in buona fede degli obblighi assunti con i trattati (art. 26 Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati; preambolo e art. 2, par. 2, della Carta delle Nazioni Unite): è evidente che l’obbligo di eseguire in buona fede i trattati internazionali, altra specificazione del più generale obbligo di buona fede nei rapporti internazionali, include quello di astenersi dal compiere atti che frustrerebbero l’oggetto e lo scopo del trattato. Ma detta condotta è conforme altresì allo spirito del Trattato del Laterano, il quale impegna le Parti al rispetto reciproco come enti sovrani ciascuno nel proprio ordine e alla «reciproca collaborazione per la promozione dell’uomo e del Paese» (art. 1): infatti, la Nota sollecita alla collaborazione ai fini della effettiva garanzia dei diritti fondamentali di tutti e con ciò del bene del Paese. D’altra parte, adoperarsi per prevenire un illecito internazionale è altrettanto funzionale alle dinamiche del diritto internazionale, come di ogni ordinamento giuridico, nel quale l’osservanza del diritto risponde ad un interesse primario.

Dal punto di vista del diritto internazionale e delle relazioni amichevoli fra gli Stati, il Governo italiano, responsabile delle relazioni internazionali del nostro Paese, dovrebbe rispondere, sempre in via diplomatica, come è prassi abituale nei rapporti internazionali, alle preoccupazioni espresse dalla Santa Sede, rappresentando la propria posizione e, aggiungerei, fornendo assicurazioni circa la propria volontà che non si producano violazioni dei vincoli internazionali dello Stato. Giova qui ricordare che anche l’interpretazione dei trattati deve essere condotta in buona fede (art. 31 Convenzione di Vienna sul diritto dei trattai del 1969), il che conferma che l’Italia deve prendere in considerazione, in buona fede appunto, i rilievi delle autorità vaticane, i quali sono basati sull’interpretazione del Trattato del Laterano. Qualora all’esito di questo esame l’Italia dissentisse dalle tesi vaticane, contrapponendo ad esse una opposta tesi sulle questioni che esso solleva, ci troveremmo nella fattispecie regolata dall’art. 14 del Trattato del Laterano – come già suggerito nel precedente articolo a firma di Alfredo Mantovano, pubblicato lo scorso 23 giugno in questo stesso sito: di fronte ad una «difficoltà interpretazione o di applicazione» delle disposizioni del Trattato, le Parti «affideranno la ricerca di una amichevole soluzione ad una commissione paritetica da loro nominata». Si sarebbe determinata una controversia internazionale, rispetto alla quale vige l’obbligo per le parti di ricercarne una soluzione pacifica, cui l’art. 14 dà specifica espressione nei rapporti fra Italia e Santa Sede.

Ci si può ulteriormente chiedere quali conseguenze discendano nel diritto interno, sempre nella prospettiva del diritto internazionale, dalla presentazione della Nota e, in particolare, nei rapporti del Governo con il Parlamento, di fronte al quale pende il disegno di legge n. 2005. Per quanto nel nostro ordinamento la responsabilità dei rapporti internazionali del nostro paese, il cosiddetto “potere estero”, risieda nel Governo, il trattato internazionale vincola lo Stato nel suo complesso e quindi l’insieme dei suoi organi, Parlamento incluso. Quindi la Nota verbale non può ritenersi diretta al solo Governo, che ne è il destinatario formale. A mio avviso il Governo deve farsi parte attiva per portare la Nota verbale a conoscenza degli organi cui essa sostanzialmente si rivolge, affinché ne traggano le dovute conseguenze. Al riguardo, va sottolineato che secondo la Costituzione italiana il rispetto degli obblighi internazionali è elevato a vincolo per il legislatore nazionale (art. 117, 1°comma, Cost.): «La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario [dell’Unione europea, ndr] e dagli obblighi internazionali». E va anche sottolineato che il Trattato del Laterano, come si accennava, ha uno status “rafforzato” rispetto alla generalità degli accordi internazionali, essendo elevato a livello costituzionale per il tramite dell’art. 7 Cost. Pertanto, il Parlamento non è, in base alla Costituzione, libero di adottare leggi che siano in contrasto con gli obblighi internazionali dello Stato e ancora meno libero se si tratta di trattati che beneficino di garanzia costituzionale come il Trattato del Laterano. Solo i principi fondamentali dell’ordinamento costituzionale e i diritti inalienabili della persona umana sarebbero in questo caso la barriera insormontabile dai vincoli internazionali.

È dunque dovere costituzionale del Parlamento verificare in buona fede la fondatezza delle preoccupazioni espresse dalla Santa Sede, al fine di evitare che lo Stato commetta illeciti internazionali, prima di procedere alla approvazione di qualsiasi testo legislativo. Ciò è dovuto in generale nello spirito della amichevole collaborazione nei rapporti internazionali e, in particolare, in ragione dello specifico rispetto e cooperazione che impegnano Italia e Santa Sede nei loro reciproci rapporti. Nel caso di specie poi, non si può sottacere che le preoccupazioni espresse dalla Santa Sede non appaiono prive di fondamento, considerate le rilevanti limitazioni che il disegno di legge prefigura rispetto ad alcune libertà fondamentali garantite dalla Costituzione e da accordi internazionali dei quali l’Italia è parte. Il punto merita approfondimenti che rimandiamo ad altra sede.

Se il Parlamento non desse il seguito adeguato, in termini di puntuale approfondimento e riscontro, alla Nota verbale, la soluzione delle questioni sollevate dalla Santa Sede sarebbe affidata, sempre nel quadro nazionale, ad un inevitabile – allo stato – contenzioso promosso dai soggetti interni interessati (come associazioni cattoliche o la stessa Conferenza episcopale italiana) che finirebbe per coinvolgere, oltre alla Corte costituzionale – visto che sono in gioco diritti fondamentali oltre che il vincolo del rispetto degli obblighi internazionali –, anche la Corte europea dei diritti dell’uomo, che per giurisprudenza costante riconosce con particolare ampiezza la libertà religiosa individuale, collettiva e istituzionale: mentre la violazione del principio di buona fede da parte italiana potrebbe costituire la premessa di un contenzioso internazionale con la Santa Sede.

Tutto questo nulla toglie, naturalmente, alla laicità dello Stato italiano, ricordata dal Presidente del Consiglio e ribadita dalle autorità vaticane. Quella avviata dalla Nota vaticana è infatti dinamica perfettamente inquadrabile nella fisiologia dei rapporti internazionali che, come tale, andrebbe valutata e gestita, senza il clamore di sapore ideologico e preconcetto che sembra invece prevalere nei resoconti dei media. E dovrebbe esserlo, naturalmente, ma sembra trascurato da molti commentatori, a favore della più efficace tutela dei diritti di ognuno, di cui il nostro Paese vuole essere paladino, depurata dagli accenti di intolleranza che invece contraddistinguono il dibattito di questi giorni.

Monica Lugato è Professoressa ordinaria di Diritto internazionale alla LUMSA di Roma

Exit mobile version