Ddl Zan, asterischi falsosuono e lo stipendio di Gilda

Ho insegnato per 42 anni e non posso restare indifferente al dibattito sul disegno di legge: “Misure di prevenzione e contrasto della discriminazione e della violenza per motivi fondati sul sesso, sul genere, sull’orientamento sessuale, sull’identità di genere e sulla disabilità” (ddl Zan, ndr).
Da studentessa liceale, da grande appassionata di Educazione civica, ho sempre avuto un concetto alto della Legge. Per me una proposta di legge non è semplice ripetizione di norme già definite dagli ordinamenti dello Stato, ma è una novità che tiene comunque presenti più fattori in gioco, dovendo interessare una nazione intera.
Abbiamo già un sistema legislativo che punisce ogni forma di violenza e tutela qualsiasi cittadino. Alla base dalla nostra cultura occidentale, c’è il concetto di “persona” (che esprime la singolarità di ogni individuo), concetto assoluto ed imprescindibile, che non dipende dall’appartenenza ad un gruppo né è legato ad una specificità di qualsiasi genere.
Una legge, tuttavia, ha anche una forte connotazione educativa nei confronti delle nuove generazioni.
Ecco, nella mia esperienza di scuola, ho sempre creduto nell’insegnamento personalizzato, cioè nell’aiutare ogni alunno, in quanto persona unica, a trovare la propria strada, il proprio interesse, la propria motivazione, in vista di un percorso originale, dove la libertà si coniuga con la responsabilità, di fronte alla propria vita ed alla comunità dove si è inseriti.
Nel mio percorso di ricerca pedagogica mi sono accorta di quanto deleteri fossero interventi e proposte a gamba tesa, calati dall’alto, che non tenevano conto del delicato percorso degli alunni. Queste imposizioni, purtroppo frequenti nella scuola, derivanti da mode, da ideologie o dalle idee del pensatore “illuminato” di turno, rischiano di compromettere lo sviluppo armonico della persona, che ha bisogno del suo significato e del suo tempo per crescere nel contesto della scuola, sostenuta dagli insegnanti che ne conoscono i punti di forza e le fragilità.
Questo ddl ha le caratteristiche di un intervento prepotente e irrispettoso della capacità dei docenti di individuare il momento giusto per introdurre contenuti e riflessioni nel contesto classe o su domande specifiche di un alunno.
Il teologo protestante Reinhold Niebuhr sosteneva che «non esiste niente di più incomprensibile della risposta a una domanda che non si pone”. È proprio il caso del ddl in questione (ideologico e moralistico), che vuole indirizzare culturalmente la scuola ed imporre una visione elitaria dell’educazione.
Questa proposta non tiene conto di tutta la formazione pedagogica, psicologica e scientifica degli ultimi anni. Sì, scientifica, perché non si poggia su dati concreti dal punto di vista dell’apprendimento e dell’insegnamento, né considera il fattore tempo, collegato al bisogno dello studente ed alla scelta del docente, in quella che è la relazione indispensabile per una crescita armonica delle comunità di apprendimento.
E non è solo un problema di autonomia scolastica, ma di rispetto della libertà di insegnamento del singolo docente, come garantita dalla Costituzione.
Le leggi hanno il dovere di favorire il consolidarsi di un contesto sano, dove le relazioni non siano condizionate da ideologie e da elementi divisivi.
Questo ddl, al contrario, introduce una forma di violenza nelle aule scolastiche imponendo iniziative ed obblighi, come, ad esempio, la famigerata giornata nazionale che si vuole introdurre nel calendario scolastico.
È difficile rintracciare, in questa proposta, criteri di ragionevolezza, di logica, di ampiezza culturale; c’è solo la volontà di tacitare qualsiasi altra posizione educativa.

Dott.ssa Anna Rita Prioretti
Docente di ruolo nella Scuola dell’Infanzia statale, in pensione

La lettera della nostra professoressa colpisce nel segno, e c’è poco da aggiungere alle sue argute parole. Mi permetto solo una segnalazione fuori contesto (ma neanche troppo): l’articolo dello scrittore Maurizio Maggiani apparso ieri su Repubblica (“Io non sono un asterisco”).

Scrive Maggiani: «Ho ricevuto un invito a una manifestazione culturale piena di buona volontà indirizzato a un asterisco, car* amic*. Non andrò, io non sono un asterisco, ho solo qualche modesta certezza su me medesimo ma so per certo che non necessito di un richiamo a fondo pagina, posso essere caro e forse anche amico, ma non un impronunciabile *».

Il fatto è che questa neolingua fatta tutta di ø, + e * è qualcosa di surreale e non si capisce perché dovremmo tutti arrenderci a utilizzarla, al di là delle “buone intenzioni” di chi la promuove. Perché, va bene tutto, ma «la lingua conta, eccome, la lingua è potere, sovvertire la lingua è sovvertire il potere». E poiché è «potere e lotta», scrive Maggiani, «non tollero l’imposizione, neppure quella grammaticale quando ne sento il falsosuono; men che meno tollero l’imposizione a fin di bene, perché non vedo alcun bene nell’imporre, nessuna bellezza, ma ancora il palesarsi di un’intenzione di potere, la vostra lingua che si fa canone e il canone legge».

Soprattutto, nota il nostro scrittore, ed è qui il punto interessante della questione, «creare una parola non significa costruire una verità, ma una realtà sì, una realtà destinata a consolidarsi o dissolversi nel confronto con le multiformi e cangianti realtà individuali e collettive». Ecco, “creare una realtà”, è questo il punto, sia del ddl Zan sia della neolingua degli asterischi.

È a questo che vogliono piegarci. Con un nota bene finale. La creazione di questa realtà artificiale è una grande arma di “distrazione di massa”, anche per quelle persone omosessuali che si dice di voler proteggere e tutelare.

L’ha capito bene lo stesso Maggiani che conclude scrivendo: «Resta il fatto che la Gilda, che ha venticinque anni, è lesbica e fa la commessa per settecento euro al mese, per la cronaca tanto quanto il suo vicino di banco maschio etero, perché qui da noi la parità dei sessi laggiù in basso è ormai conquistata, ecco, al momento la Gilda si sentirebbe assai più appagata nel vincere la lotta per un salario dignitoso che stravincere quella per la sovversione dell’alfabeto. Resta il fatto che la vittoria per l’alfabeto si fa sempre più vicina e quella per il salario sempre più lontana. Ragion per cui mi chiedo se i valorosi combattenti del + e del * e della ø stiano intanto lavorando con pari alacrità per la Gilda oltreché per sé stessi, per il potere sui segni o per la libertà dal bisogno, da ogni bisogno».

Foto “Asterisk” da cutesmallfuzzy  – CC BY-NC 2.0

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