Dante, il comunicatore

Il Sommo Poeta ha “piegato” tutto alla profonda e impetuosa esigenza di comunicare sé. Con disinvoltura, inventiva, genio, classe.

Organizzare un evento dal titolo “Comunicare Dante”, coinvolgere i più autorevoli studiosi italiani del Sommo Poeta per parlare di come farne riscoprire la grandezza e ritrovarsi a dire, quasi senza volerlo, che il comunicatore, il genio della mediazione di sentimenti, passioni, esperienze è stato proprio lui.

Il convegno in questione è quello proposto dalla Società Dante Alighieri e da Tv2000 il 5 ottobre scorso a Palazzo Firenze (sede della Dante), in occasione dell’avvio del programma di Tv2000 “Nel mezzo del cammin”, partito il 10 ottobre con il divulgatore dantesco Franco Nembrini. Andrea Riccardi, Presidente della Società Dante Alighieri, ne aveva annunciato l’intento: “Vogliamo far capire che Dante non è solo per specialisti”. Come? Proprio, paradossalmente, con l’aiuto degli specialisti.

Del resto Dante questo ha fatto, tutto ha “piegato” (lingua, filosofia, teologia, etc.) a questa profonda e impetuosa esigenza di comunicare sé. Con disinvoltura, inventiva, genio, classe. E non può che essere questa, oggi, la strada per leggerlo, capirlo e farlo scoprire a tutti, a partire dai più piccoli: comunicare, attraverso Dante, o forse con lui, noi stessi.

GIOVANNA FROSINI: “UNA LINGUA PER DIRE TUTTO”
Dante comunicatore, e perciò trasformatore creativo di ogni possibile strumento, a partire della lingua. Parola di Giovanna Frosini, docente di Storia della Lingua Italiana all’Università per Stranieri di Siena. “Il volgare, prima di Dante, era una lingua usata essenzialmente per scopi pratici e limitata a certi ambiti tematici, come quello amoroso. Con Dante diventa una lingua capace di dire tutto, di parlare di ogni espressione dell’umano”.

Come ci riesce? “In tanti modi, uno di questi è la varietà delle risorse. Riesce a valorizzare parole provenienti da ogni dove. In lui troviamo parole del latino, del francese, parole provenienti da diversi volgari regionali (per esempio il veneziano, il sardo, etc.), e anche tante forme non appartenenti alla grammatica del volgare fiorentino”.

C’è poi il ricorso, geniale, alle varianti. “L’italiano è di per sé lingua piena di varianti, cioè diversità di parole per esprimere sfumature di contenuto. Dante ha esaltato e moltiplicato questo valore”.

Dante comunicatore per caso? “Non direi, lo sforzo comunicativo si lega alla sua vita, segnata dalla grande frattura dell’esilio: in questa nuova dimensione, lontano da Firenze, non è più l’intellettuale cittadino, ma l’intellettuale che deve parlare a tutti. Ecco, è la vita che lo ha portato a impegnarsi per essere il poeta di tutti. Certo, quella che propone è l’esperienza propria, quella di un singolo, ma lo è in senso medievale, cioè non separato dalla comunità umana universale. Nel mezzo del cammin di “nostra” vita, recita il primo verso, non a caso con la prima persona plurale. E cioè: l’esperienza è mia ma è di tutti”.

IL GENIO DANTESCO: “RAPPRESENTARE L’INESPREMIBILE”
Il concetto di “comunicatore”, però, non va frainteso rispetto al significato attuale del termine. A tracciare la differenza è il professor Luca Serianni, Ordinario di Linguistica italiana all’Università La Sapienza di Roma.

“Il “comunicatore” dei giorni d’oggi – dice Serianni a Tempi – parte dalle scelte espressive più adeguate a far passare un messaggio (pensiamo a un intervento televisivo, non solo di tipo politico); nel grande poeta è in primo piano l’urgenza espressiva ed è l’altezza della sua poesia a far sì che determinati contenuti si imprimano nella mente del lettore e lo emozionino”.

La grandezza di Dante, la carica innovativa della sua lingua è nella grandezza della sua sfida: raccontare l’inesprimibile, il posto dove nessuno è stato mai.
“L’innovazione linguistica in Dante – spiega ancora Serianni – dipende dalla spinta a rappresentare l’inesprimibile (un viaggio ultraterreno), dalla sicurezza del poeta come onomaturgo, cioè come creatore di parole nuove, ma anche dal fatto che egli si colloca all’inizio di una tradizione letteraria e si assume, di fatto, il compito di segnarne gli avvii”.

Perché ci parla ancora? “Dante è lontano da noi storicamente ma è vicino emotivamente, per la ricchezza delle situazioni create, per le riflessioni sul destino dell’uomo, per la capacità di rappresentare l’essere umano nella pienezza delle sue passioni e delle sue sensazioni, dal dolore al risentimento politico, dall’amore all’avidità, fino alla gioia e all’appagamento di chi ha meritato il Paradiso. Non ci dividiamo più in guelfi e ghibellini, molti non credono più in Dio, ma continuiamo a essere partecipi delle azioni, delle emozioni, delle lotte che sono quelle, eterne, dell’essere umano”.

ENRICO MALATO: “LA PIU’ GRANDE LEZIONE MAI IMPARTITA ALL’UMANITA’”
Dante comunicatore, dunque. E chi è chiamato a esserlo, oggi e sempre, più dell’insegnante? Per Enrico Malato, Emerito di Letteratura italiana nell’Università di Napoli Federico II, Dante è stato anche questo. “La Divina Commedia è forse la più grande “lezione” che sia mai stata impartita all’umanità. Dante stesso si fa dire da Betrice, quando la incontra nel paradiso terrestre: «Però, in pro del mondo che mal vive… / ritornato di là (cioè sulla terra), fa che tu scrive». Cioè: ‘scrivi il tuo poema per ammaestramento degli uomini’.

Eppure oggi, proprio nel mondo della scuola, si fa fatica a proporlo, a renderlo appassionante per i ragazzi. “Dante è un poeta “difficile” – premette il professor Malato – capace di scoraggiare il lettore meno provveduto, se non viene aiutato a superare quelle difficoltà e a scoprire le sue bellezze e appassionarsi ad esse. Lo dice il poeta stesso ai suoi lettori, all’inizio del secondo canto del Paradiso: «O voi che siete in piccioletta barca», cioè ‘o lettori che non avete l’attrezzatura culturale per seguirmi nell’arduo cammino poetico che ora intraprendo’, «non vi mettete in pèlago, ché forse, / perdendo me, rimarreste smarriti», cioè ‘non vi mettente in mare, non seguitemi, perché rischiate di perdervi’.

Bisogna però, appunto, comunicarne la grandezza per noi, oggi. Quale? “La Divina Commedia – spiega Malato – è una summa straordinaria, unica, della civiltà del Medioevo, che a sua volta è il frutto di un ripensamento e un rinnovamento profondo, alla luce dei nuovi valori portati dal messaggio cristiano, della cultura classica. Piaccia o no, in quei secoli affondano le radici della nostra cultura moderna, non solo italiana o europea, ma dell’Occidente”.

PAOLO DI PAOLO: “LA COMMEDIA E’ UN VIDEOGIOCO A LIVELLI”
La grande sfida di insegnare Dante, però, non riguarda solo gli adolescenti ma anche i più piccoli. Guarda in questa direzione il tentativo di Paolo Di Paolo, il giovane scrittore che ha provato a riscrivere La Divina Commedia per bambini (illustrazioni di Matteo Berton, La Nuova Frontiera Junior, 2015). Un adattamento, dunque. Un po’ traditore, come tutti gli adattamenti, ma “fedele nella sua funzione di servizio” spiega Di Paolo. E cioè la sua messa al servizio dello scopo più grande: farci “incontrare” Dante.

Per Di Paolo i bimbi “non si sottraggono alle domande fondamentali ma, al contrario, le pongono. Anche quando sentono una storia chiedono il perché, anche quando questo perché non ha risposte. E del resto proprio la Divina Commedia anima dei perché che non hanno una risposta. Spesso siamo noi adulti a cercare delle risposte definitive e rassicuranti, mentre loro sono disponibili alle questioni aperte. Anche quando metti in campo un tema come Dio, loro non indietreggiano, ma, al contrario, si mettono in moto perché sono aperti. Rispetto ai grandi, per esempio, sono più pronti a smuoversi dall’immaginario classico del Dio con la barba bianca, e sono pronti a cogliere la suggestione dantesca di un Dio che è luce, un Dio in cui tutto l’universo è condensato, riassunto”.

‏Dante grande comunicatore? “Perché? C’è bisogno di dimostrarlo? Quanta parte del suo lessico è comprensibile a noi oggi? Tantissima: basti pensare al suo primo verso, per noi chiarissimo ancora oggi. Ma mi colpisce, più di ciò che riusciamo a capire, ciò che di lui riusciamo a sentire in fatto, appunto, di sentimenti. Se non ci fosse stato uno slancio verso gli altri, sarebbe riuscito a farci “sentire” in modo così straordinario, sette secoli dopo, cosa vuol dire trovarsi in esilio, o l’immaginare l’essere in un oltre tempo, un tempo fuori dalla vita? Senza una straordinaria attitudine comunicativa sarebbe stato davvero impossibile trapassare tutto ciò”.

LEDDA: “COMMEDIA POEMA BIBLICO”
Genio comunicatore anche come mediatore di conoscenza, e naturalmente di letture. A partire dai classici (Virgilio in primis) ma non ultimo, anzi primo, il libro dei libri: la Bibbia. Lo spiega il professor Giuseppe Ledda, Università di Bologna, che sul tema ha scritto l’interessante saggio “”La Bibbia di Dante” (Claudiana-EMI, 2015).

“Ovviamente il fine di Dante non è comunicare la Bibbia: non è un esegeta o un predicatore, tuttavia instaura con la Bibbia un rapporto speciale e privilegiato. Uno dei modi di questa ripresa biblica è quello di assumere modelli per la costruzione della propria identità di personaggio del poema e di poeta autore di un «poema sacro», che ha come fine la conversione morale e spirituale degli uomini e la loro salvezza. I profeti, gli apostoli sono i modelli più intensamente attivati in questa funzione e soprattutto, tra le singole personalità, David e Paolo, ma anche Mosè. Anche a livello linguistico – continua Ledda – il linguaggio biblico nutre la lingua del nuovo poema, fin dal primo verso, che riscrive un versetto di Isaia. Il poema di Dante, insomma, si propone come un poema biblico, costruito in gran parte con materiale biblico genialmente trasformato e rivitalizzato per formare un’opera del tutto nuova”.

‏Nella Commedia è spesso presente, inoltre, la figura Gesù, in particolare nel Paradiso. “Nel Paradiso la presenza di Gesù è continua, soprattutto nella riflessione teologica sull’Incarnazione e sulla Redenzione. Ma la presenza più spettacolare dal punto di vista poetico è nell’uso in quattro diversi episodi della triplice rima identica Cristo : Cristo : Cristo, in passi di straordinaria bellezza e intensità. Nell’ultimo di questi quattro episodi, ormai quasi alla fine del poema, poco prima della preghiera di san Bernardo alla Vergine, Dante è invitato dall’ultima guida a guardare verso Maria, definita con immagine di sublime e vertiginosa semplicità, «la faccia che a Cristo / più si somiglia»

DANTE PERSONAGGIO. “UN TIPO SOCIAL”
Del Dante personaggio ha parlato invece Bianca Garavelli, studiosa e scrittrice che ha messo Dante al centro della propria opera, “Le terzine perdute di Dante” ormai best-seller della Bur (Biblioteca Universale Rizzoli). “Dante personaggio”, diversamente da quanto si pensa, è un boom narrativo piuttosto recente, solo a partire dagli anni Duemila.

Perché si presta così tanto a essere personaggio? “Perché Dante, già nella Commedia, è di per sé un personaggio. In fondo La Divina Commedia è il primo poema epico in cui l’autore parla di sé, una grande autobiografia. E poi è davvero una persona emotiva, perché ci suscita empatia: lo vediamo emozionarsi, provare collera, compassione. E’ un personaggio, appunto”.

Con lei proviamo a immaginarlo come personaggio che si aggira per l’Italia (anzi, l’Europa) di oggi. Cosa penserebbe dell’Europa di oggi, del suo slancio e della sua crisi? “Dante aveva un’idea dell’Europa diversa da quella di oggi, anche in senso territoriale, ma di una cosa sono certa: si batterebbe per l’affermazione delle sue radici cristiane”.

In politica come si comporterebbe? “Proverebbe un grande senso di desolazione”. Un grillino? “Non credo. Secondo me sarebbe più vicino ai padri della Repubblica: persone integre, oneste, che non avevano il senso dello spettacolo. E soprattutto, secondo me, soffrirebbe nel vedere l’Italia così divisa, sia tra Nord e Sud che in una miriade di partiti-coriandoli”.

Che rapporto avrebbe con il web? “Sarebbe un social assoluto. Dice di appartenere al segno dei gemelli, che è uno dei segni più comunicativi e non a caso si ricollega con l’antico dio Mercurio, velocissimo e prontissimo comunicatore. E poi Dante era notoriamente curioso, sempre attratto dalle novità. Sì, sarebbe su Facebook e Twitter”.

‏Dante comunicatore? “Certamente, ne è un segno chiaro la scelta di scrivere un poema così importante in volgare e non in latino. Già questa è una scelta rivoluzionaria”.

Del resto è pronto a usare ogni strumento, anche con rischio, chi ha premura di dire qualcosa, chi ha per sé qualcosa di bello da raccontare. Così l’azione comunicativa diventa urgenza, diventa missione. E Dante, a suo modo, è stato un missionario. In tutti i luoghi e in tutti i tempi.

Pino Suriano è presidente Comitato di Matera della Società Dante Alighieri

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